In padella, con la salsiccia, sott’olio e in molte altre ricette. Alzi la mano chi, a Napoli e dintorni, non ha mai mangiato i friarielli. Verdura dalle origini umili e popolari e dalle molteplici virtù che il 20 dicembre è andata perfino in cattedra. Presso il Polo Scientifico di Via Vivaldi dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, infatti, si è tenuto l’evento dedicato al progetto VALFIT – Valorizzazione del Friariello tra Innovazione e Tradizione. Dura 20 mesi, è stato avviato qualche tempo fa ed è finanziato con 298 mila euro dalla Regione Campania, in particolare dall’assessorato all’Agricoltura.
Tra i vari esperti, la prof.ssa Stefania De Pascale, che insegna ad Agraria dell’Ateneo Federico II, ha ripercorso la storia e gli studi scientifici sul friariello, partendo dalle ricerche pionieristiche di Francesco De Rosa nel 1893, fino al riconoscimento internazionale del termine friariello nel volume The Brassica rapa Genome del 2015. Il prof. Antonio Ferrante, docente presso l’Università di Milano, ha approfondito l’importanza dei marchi di qualità come strumenti per promuovere i prodotti orticoli.
La sfida dell’Igp
Le conclusioni sono state affidate agli interventi di Francesca Masci, che ha illustrato il progetto e il percorso per ottenere il marchio IGP (Indicazione Geografica Tipica), e di Italo Sant’Angelo, esperto che sta seguendo la richiesta formale per il riconoscimento IGP del friariello napoletano. Ha concluso l’incontro la prof.ssa Pasqualina Woodrow, che insegna Genetica Agraria alla Vanvitelli, responsabile tecnico-scientifica del progetto VALFIT. “Quest’ultimo si propone – spiega ad Ateneapoli – di valorizzare il friariello per accrescere la competitività dei produttori locali e generare valore aggiunto; di preservare la biodiversità e migliorare il processo produttivo, aumentando l’efficienza e la qualità; di sperimentare innovativi metodi di raccolta e mondatura, per offrire un prodotto già pulito e pronto all’uso nella preparazione di piatti da cuocere; di promuovere la conoscenza attraverso attività informative sulla corretta alimentazione, corsi di formazione e azioni di disseminazione dei risultati”.
Obiettivi ambiziosi, insomma, per una verdura che appartiene alla famiglia delle Brassicacee ed è una varietà di broccoletto di rapa (conosciuto anche come ‘cima di rapa’), che appartiene alla stessa famiglia. “È una coltura secondaria – informa la docente – piantata dopo il pomodoro da industria e che ha un impatto ambientale quasi nullo, perché sfrutta la fertilità residua del terreno e beneficia della sua naturale resistenza ai parassiti. Grazie alla presenza di glucosinolati, composti che gli conferiscono il caratteristico sapore amaro e proprietà benefiche per la salute umana, non ha bisogno di massicci trattamenti chimici”.
Chiarisce: “I friarielli, in particolare, sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa, utilizzati in preparazioni alimentari tipiche della cucina napoletana. Nel dialetto napoletano la parola friariello è utilizzata per indicare la cima del broccoletto di rapa da friggere, da saltare in padella con olio bollente. Nel linguaggio napoletano, il verbo friggere suona ‘friere’ o ‘frijere’ da cui, appunto, il nome ‘friariello’”.
I 6 tipi di friarielli
In che consiste il progetto? Il gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche (Distabif) della Vanvitelli “sta effettuando analisi morfologiche, caratterizzazione molecolare, biochimica, nutraceutica su campioni di friarielli forniti da 3 aziende agricole coinvolte nel progetto: 3 di Villa Literno e una di Giugliano. Ci si propone, attraverso uno studio multidisciplinare, di identificare, caratterizzare e valutare le proprietà biologiche e agronomiche di 6 ecotipi campani di friariello: cinquantino, sessantino, novantino, centoventino, aprilatico, marzatico. Si effettua la determinazione qualitativa e quantitativa dei principali composti a valenza nutraceutica e salutistica (proteine totali, lipidi ed acidi grassi, polifenoli, amminoacidi essenziali ed altri componenti) attraverso metodi standardizzati e innovativi. Si procede poi con l’analisi dei contenuti di elementi chimici essenziali: calcio, ferro, fosforo, magnesio, potassio, rame, selenio, sodio e zinco e la determinazione qualitativa e quantitativa degli elementi chimici prevalentemente metallici nelle parti edibili degli ecotipi investigati”.
La squadra della Vanvitelli impegnata nel progetto è costituita, oltre che dalla prof.ssa Woodrow, dai professori Petronia Carillo, Ordinario di Agronomia dei sistemi erbacei, Antimo Di Maro, Associato di Biochimica, Stefania Papa, Associato di Ecologia. Il progetto prevede anche incontri di divulgazione nelle scuole e disseminazione dei risultati alle aziende potenzialmente interessate. Di quest’ultimo aspetto si occupa l’associazione Acli Terra Provincia di Caserta. Un’altra associazione – Pina Di Donna – ha il compito di partecipare alla diffusione dei principi della corretta alimentazione tra i ragazzi delle scuole.
Tutela per contrastare il fenomeno delle imitazioni
I produttori si trovano spesso a fare i conti con un mercato che non garantisce un prezzo sufficiente a coprire i costi di produzione, sottolinea la prof.ssa Woodrow, “ciò costringe talvolta gli agricoltori ad abbandonare il raccolto, interrandolo, senza riuscire ad ottenere un ritorno economico adeguato. La richiesta di una tutela sul mercato europeo per il friariello napoletano è fondamentale per garantire una maggiore visibilità e valorizzazione del prodotto, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Una protezione ufficiale potrebbe contribuire a contrastare il fenomeno delle imitazioni, come nel caso dei broccoletti di rapa coltivati in altre aree, che vengono erroneamente commercializzati come autentico friariello napoletano”.
La valorizzazione del friariello come prodotto distintivo della tradizione culinaria napoletana, con una certificazione di origine, potrebbe, dunque, rappresentare “un’opportunità importante per l’economia locale, soprattutto in Terra di Lavoro, favorendo non solo il miglioramento delle condizioni economiche per gli agricoltori, ma anche il rafforzamento dell’identità e della tradizione gastronomica della zona. Un’adeguata tutela potrebbe, quindi, diventare un motore di sviluppo per l’intero territorio, aumentando la competitività del prodotto sui mercati internazionali e prevenendo il fenomeno delle frodi alimentari”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 1 – 2025 – Pagina 5