L’INTERVENTO. Una proposta dopo i recenti fatti di cronaca in città e nell’hinterland napoletano
È facile, è difficile parlare a caldo: le emozioni, le più disparate – dalla rabbia alla disillusione, dalla ricerca del capro espiatorio a quella del leader “salvatore” – prendono necessariamente il sopravvento e non solo a Napoli e per il caso Napoli. Ma certo l’esasperazione, per le vicende tristi e talvolta raccapriccianti che vengono dalla nostra città e dal suo hinterland, va troppo spesso, e purtroppo, fuori dal consueto.
Allora, man mano che il clima si raffredda, col rischio che pur conosciamo bene che dopo un po’ tutto si smorzi – perché quanto tempo è che ci ripetiamo gli stessi allarmi e invochiamo la stessa necessità del cambiamento? Mesi? Anni? Forse di più… – ad iniziare dall’attenzione dei media, forse può farsi il punto per non ricadere negli stessi errori?
Certo non sono qui a pretendere di fare questo punto, dopo aver letto, ascoltato e anche visto attraverso l’opinione social tante voci, tantissime e molto spesso autorevoli, anche nel senso di pura protesta, che hanno individuato cause, proposto ricette. Fondate su impegni e professioni diverse, religiose, sociali, educative, istituzionali e quali espressioni di movimenti dal basso.
Perché questa è una paradossale verità che accompagna Napoli nel tentativo di fronteggiare i suoi drammatici problemi: dalla disoccupazione alla povertà, dalle diseguaglianze educative al lavoro nero e minorile, dalle culture degradate alle manifestazioni delle forze criminali e così via.
E il paradosso è la presenza di esperienze, progetti, continue iniziative che dal mondo della scuola – pur con tutte le sue contraddizioni dovute ai limiti che gli impone il contesto istituzionale innanzitutto in termini di povertà di risorse – si allargano fino a includere il privato sociale, il terzo settore, le associazioni di volontariato, le realtà religiose e, magari, anche la terza missione delle università e anche il supporto finanziario e non solo di imprese private.
Qui scelgo di non nominare nessuno in particolare proprio perché, piuttosto, meriterebbe che si mettesse in fila l’elenco di tali forze che lottano per la nostra città a vario titolo e in vari modi, e non voglio dimenticare l’impegno che c’è nelle istituzioni, da quello dei governi a quello delle forze dell’ordine e della magistratura, che pure scontano responsabilità e ritardi ma, quasi sempre, in un quadro di sotto-dotazione delle risorse che lo Stato nazionale riserva in genere al Meridione: più tagliando che potenziando!
Mi permetto solo di osservare che tante di queste iniziative sono divenute nel tempo oggetto non solo di studio e ricerca ma anche di imitazione e contaminazione con altre realtà territoriali nazionali e, non raramente, internazionali.
Naturalmente, qui proprio in questa testata giornalistica per una nicchia, fatta però di un pubblico affatto particolare, quello della creazione e diffusione di conoscenza come l’università, non posso non ricordare il patrimonio culturale e professionale che le comunità accademiche napoletane e campane in senso più lato hanno già messo a disposizione di Napoli e dei suoi problemi, prescindendo dal “nome” di questa o quella delle nostre Università.
E, infatti, proprio un modestissimo ma sentitissimo appello alle colleghe e ai colleghi è il motivo che mi ha spinto a esprimere proprio su questa sede questo sintetico pensiero. Cioè, se ammettiamo che dentro e fuori l’accademia c’è tanta ricerca, tanta conoscenza, tanto spirito di servizio professionale e tanto impegno civile e se anche concordiamo sul fatto che, tristemente, procediamo di emergenza in emergenza e che non si riesce ad uscirne fuori allora mi e vi chiedo: ma non è forse venuto il momento di unire le forze e garantire più continuità? Non è possibile che abbiamo tanto e che però non lo valorizziamo come si deve? Che non riusciamo a costituire un sistema di sinergie destinato a durare nel tempo?
Allora perché non creiamo un tavolo, una conferenza, un qualcosa come un punto di riferimento certo, identificabile e permanente – chiamiamolo come si vorrà – che produca innanzitutto una conoscenza sistemica, organizzata e ben visibile, sia dei problemi che ci affliggono, che delle soluzioni che si sperimentano. Non voglio parlare di valutazione, perché anche qui si crea uno specialismo che non credo vada bene. Servono più specialismi che parlino tra loro e serve anche il generalismo della gente comune, delle cittadinanze, delle voci dei quartieri, delle famiglie e anche delle identità perdute e marginali.
Non è possibile che alcuni dei limiti alle nostre (dalle istituzioni ai movimenti) forze provengano ANCHE dalla segmentazione, dalla presunzione, dal non ascolto e, forse più spesso di quanto ce ne rendiamo conto, dalla competizione che esiste nel mondo che siamo costretti a vivere di questi tempi? Dove le risorse sono sempre più scarse, per i progetti del sociale come per le scuole, per i governi locali come per le università e, inutile negarlo, per i dispositivi di prevenzione come per quelli delle “punizioni”, pur anche non volendo contare che in minima parte su logiche securitarie.
Tante volte ci si rivolge al Sindaco come garante e non credo che cambi molto quale sindaco e per quale colore politico. Certo però se il Comune di Napoli, insieme con le università napoletane, volesse promuovere un tavolo di confronto e, soprattutto, di ascolto e restituzione alle cittadine e ai cittadini e alle altre istituzioni e realtà del sociale, credo che sarebbe molto utile.
Una sede dove garantire la circolazione dei saperi e delle pratiche sistematica, dalle statistiche ai resoconti di adeguatezza delle iniziative tutte, nessuna esclusa, dove sia garantita la continuità dello scambio e della sollecitazione coi media e coi social, dove ci sia una seria attenzione all’ascolto e che si fondi sulla messa insieme delle forze, innanzitutto, della conoscenza e della ricerca.
Perché poi due pericoli si paventano ancora: la “nuova” emergenza che verrà e il “noi” contro il “voi”, con richiami violenti – dal lanciafiamme alla castrazione – purtroppo anche da parte del noi.
Prof. Roberto Serpieri
Ordinario di Sociologia dell’Educazione
Dipartimento di Scienze Sociali
Università degli Studi Federico II