Ad Etnomusicologia percorso laboratoriale “improntato ad una ecologia del suono”

“Il corso si inaugura quest’anno, in maniera effettiva. In precedenza è stato tenuto da colleghi musicologi che hanno un’altra formazione, legata soprattutto alla musica classica europea, ricordo infatti percorsi sulla canzone napoletana. Con me, invece, cambia un po’ l’approccio e il repertorio di riferimento. L’etnomusicologia guarda all’Asia, all’America”. La prof.ssa Simona Frasca, ricercatrice di Etnomusicologia a Studi Umanistici, nonché musicologa e critico musicale, presenta così l’omonimo corso che ha appena preso il via, per l’attuale anno accademico, con il secondo semestre. Attraverso una piccola digressione di carattere storico, si scopre il punto di scaturigine e lo scopo di questa disciplina. “Negli anni ’60 è successo qualcosa di molto interessante. La tecnologia, con musicassette e dischi, ci ha permesso di guardare a musiche cosiddette primitive. Quelle di popoli che vivono fuori dalle nostre coordinate. E questo è il vero messaggio che deve giungere agli studenti, parlando di etnomusicologia si trattano le dimensioni culturali a tutto tondo”. Nelle intenzioni di Frasca, accanto alla classica impostazione frontale, dovrebbe diventare centrale un percorso laboratoriale improntato ad una “ecologia del suono”, perché “riflettendo, capiamo di essere circondati da rumori cui prestiamo un ascolto distratto. Mi piacerebbe, numeri degli studenti permettendo, di mettere al centro l’ascolto. Visivamente siamo molto più scaltri e stimolati mentre il fronte acustico, come testimoniano pure gli smartphone, dei quali vengono sponsorizzate soprattutto le fotocamere e poco gli impianti audio, sembra passato in secondo piano”.


‘Mixed by Erry’


E a quella dialettica del progresso tecnologico, che porta con sé un avanzamento nelle pratiche e nei mezzi come pure problemi di natura etica, va ascritto il libro di Frasca ‘Mixed by Erri’, edito da “Ad est dell’equatore” e spunto per il soggetto di un film che sta girando il regista Sydney Sibilia, sui fratelli Frattesi, produttori di audiocassette pirata negli anni ’80 e ’90. Un progetto, quello della docente, cominciato ben quattro anni fa, tutto sullo sconvolgimento del panorama musicale provocato da Enrico e Giuseppe – i due Frattesi – che ha segnato, nel bene e nel male, un punto di non ritorno. Una biografia tribolata che, a leggerla nei passaggi più noti, pare un’invenzione cinematografica. E invece la strada percorsa dai due, paradossalmente, è quella inversa: dal mondo reale al grande schermo, alla carta stampata. “La cassetta pirata, a differenza del disco, è stato uno strumento di democratizzazione della musica. Tutti, in quegli anni, con una cassetta vergine duplicavano canzoni e creavano intere compilation dalla radio, dagli amici. Io personalmente ho ascoltato tanta musica così. È innegabile la grandissima apertura data all’ascolto. Certo, d’altra parte ha consentito la proliferazione della pirateria musicale, ma questo rovescio è insito naturalmente nelle trasformazioni”.


Caruso al Mann

Se Napoli ha dato i natali ai fratelli Frattesi, che hanno innescato un cambiato di prospettiva nella diffusione della musica, andando a ritroso sono partenopee pure le radici di una pietra miliare di una modernità precoce e per questo, forse, poco compresa all’epoca: Enrico Caruso, una star a tutti gli effetti rappresentante dell’italianità – a lungo bistrattata soprattutto in America. Proprio alla stella nostrana, in occasione del centenario della sua scomparsa, è stata dedicata la Mostra “Enrico Caruso – Da Napoli a New York” (oltre 250 immagini fotografiche), curata dalla studiosa Giuliana Muscio, inaugurata lo scorso 20 dicembre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Frasca, nell’occasione, ha offerto la propria consulenza musicale. Ma non è tutto, perché dal 9 marzo e fino al 20 aprile, avranno luogo pure “Sette conversazioni” su Caruso, in collaborazione con il Corso di Laurea in Cinema, Musica e Spettacolo. Ancora alla docente il ruolo di curarne due. “Per la Mostra mi sono occupata dei percorsi musicali – spiega – Muscio ed io ci lavoriamo da almeno 10 anni e con un’idea ben precisa. Mettere a fuoco elementi su Caruso che poche volte sono venuti fuori e che hanno poco a che fare con Napoli. Cioè la sua grandissima capacità di dialogare con i media: stampa, cinema, disco. Il suo è stato un approccio di grandissima modernità. Gran parte dei materiali sono di provenienza americana, mentre per gli ascolti è stato coinvolto l’Istituto Centrale per i beni audiovisivi e sonori”. Qual è, quindi, la rivoluzione “carusiana” nel Paese a stelle e strisce, dove l’italiano medio era visto come l’anticamera di un inglese improponibile, povero e ignorante? “Lui apre la strada alla tecnologia nella musica, se lo conosciamo è perché ha inciso dischi con una voce, la sua, discograficamente perfetta”. L’aneddoto sul cinema rappresenta al meglio la grandezza del personaggio. “Ha fatto due film. Il primo è andato perso mentre l’altro è My Cousin, oggetto tra l’altro della prima conversazione con Masecchia. Nella pellicola è centrale il pregiudizio razziale, perché è la trasposizione cinematografica di una canzone del 1908, appunto My Cousin, parodia dell’italiano emigrante e rozzo. Questa è la modernità di Caruso, che, disegnando la copertina dello spartito musicale, gioca con il pregiudizio e lo rovescia a proprio vantaggio”.


Claudio Tranchino 

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