“I millennials sono entrati all’Università”, le metodologie didattiche per insegnare agli studenti della generazione Z

Parola d’ordine: innovare! In un mondo in cui ogni cosa cambia alla velocità della luce, il docente non può rischiare di rimanere indietro. Cambiano gli studenti, cambiano le loro esigenze e le loro richieste. Come si può fare didattica innovativa? Che rapporto c’è tra il vecchio e il nuovo? In che modo le nuove tecnologie digitali aggiornano o trasformano la lezione tradizionale? Questi i temi della riflessione “Metodologie didattiche innovative nell’esperienza della Scuola Politecnica e delle Scienze di Base”, incontro che si è tenuto giovedì 14 novembre al Complesso Universitario di Monte Sant’Angelo.
Sala Azzurra. Inaugura la chiacchierata il prof. Piero Salatino, Presidente della Scuola, che pone all’attenzione dei colleghi due dati da non sottovalutare: “L’Italia è fanalino di coda nell’accesso agli studi universitari con il 25% di giovani che ha un titolo di studi terziario. Quello che forse non tutti sanno è che la vera ragione o forse una delle principali per cui ciò avviene è l’elevatissimo tasso di insuccesso universitario. La nostra percentuale di successo è del 45%, vuol dire che solo 45 persone su 100 ce la fanno. Gli altri 55 no”. Basso tasso di cultura terziaria, alto tasso di insuccesso, responsabilità è la parola chiave: “Questo problema è comune, non è solo del Rettore, del Presidente della Scuola, del Coordinatore del Corso. La tentazione di dire che ci troviamo di fronte degli studenti scalcinati è forte e, se vogliamo, esercitiamo pure questo nostro diritto – scherza – Ma la verità è che tutti noi siamo chiamati ad una grande responsabilità”. A questo punto, la riflessione scende in profondità isolando due grandi macro-tematiche. La prima riguarda l’articolazione dei titoli di studi universitari “che dal mio punto di vista non esercitiamo adeguatamente. Laurea, Laurea Magistrale, Master, Dottorato di ricerca, aggiungiamoci anche l’esperienza degli ITS con un dualismo ancora irrisolto rispetto all’esperienza ancora più recente delle Lauree Triennali professionalizzanti e vediamo quanti e quali sono gli strumenti di cui disponiamo. Noi continuiamo a fare il mono-prodotto”. Altra grande tematica è proprio la revisione di questo prodotto – dei contenuti, dei metodi e degli strumenti della didattica – in relazione a quello che è il nuovo bacino di fruitori: “Dall’anno scorso i nostri immatricolati sono tutti nativi digitali, i millennials sono entrati all’università. Oggi l’accesso all’informazione è rapidissimo, che senso ha insegnare delle cose che devono essere mandate a memoria? Il nostro approccio deve permettere di trarre il meglio che si può nel rapporto in aula con lo studente perché sviluppi attitudini, senso critico, capacità di ragionare, ma con modalità nuove. Di tutto questo dobbiamo tenerne conto”.
“Parlare di soft skills 
con un ragazzo del 2000 
è anacronistico”
 La discussione entra, poi, nel vivo con l’intervento ‘Didattica e generazione Z’ del prof. Giuseppe Cirino, Delegato del Rettore alla Didattica: “Ieri sera avete visto il tg? – chiede il docente – Si parlava del reclutamento dei soldati. Prima c’era lo zio Sam, c’era I want you… oggi si usano i giochi di guerra. Perché? Perché c’è la generazione Z”. Partono le slide: un’audiocassetta e una matita, dei gettoni telefonici. “I giovani di oggi non riconoscono questi oggetti. Ma chi è che ci divide in generazioni? Chi brandizza. La Silent Generation, i Baby Boomers, che siamo noi, la Generation X, i Millennials…”. E poi c’è la Generazione Z, i nati dal ’97, la generazione del Google time: “0,03 secondi, che è il tempo che impiega Google a fornirci i risultati di ricerca. Ecco chi avete davanti”. Scuola e università, media e internet, famiglia e istituzioni, in quest’ordine, dovrebbero avere un ruolo chiave nella formazione culturale: “Le statistiche ci dicono che le istituzioni sono sentite lontane, che sei giovani su dieci preferiscono informarsi attraverso web e social. Parlare di soft skills con un ragazzo del 2000 è anacronistico, loro sono più veloci di noi”. Intanto le slide scorrono: “Osservate questa piramide – e proietta il diagramma dell’apprendimento attivo e passivo, una delle immagini più impiegate dai docenti durante l’incontro – Dopo due settimane si ricorda il 10% di quanto letto, il 20% di quanto sentito, il 30% di quanto visto, il 50% di quanto visto e sentito, il 70% di quanto detto, il 90% di quanto detto e fatto. Allora ecco… rinnovare la didattica non vuol dire che tutto ciò che è vecchio sia sbagliato. È la staticità ad essere sbagliata in un contesto in cui è richiesto un forte dinamismo”. Grafici alla mano, è purtroppo dimostrato che gli insegnanti italiani sono ancora tra i più legati alle metodologie didattiche tradizionali, che non si sentono incentivati ad apportare delle modifiche e che l’uso delle TIC (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) a scuola è ancora piuttosto basso. In conclusione, dunque, quali sono le tecniche interattive più utili per destare l’attenzione degli studenti? Sicuramente il coinvolgimento, anche nella valutazione, l’apprendimento attivo e collaborativo e l’interazione tra docente, studente e ambiente di apprendimento attraverso progetti, ricerca, attività di tipo laboratoriale. “Innovare significa sviluppare nuovi approcci culturali, non solo introdurre metodologie tecnologiche digitali. Significa porre al centro l’apprendimento e non l’insegnamento. L’innovazione tecnologica è un potente motore di cambiamento, se guidata da nuovi approcci culturali alla formazione”. 
Poi spazio alle esperienze innovative. Per il Dipartimento di Biologia prende la parola la prof.ssa Barbara Majello, Coordinatrice della Laurea Triennale in Biologia. Come bisogna procedere? Sperimentando ogni giorno: “Faccio didattica in aula esattamente come faccio ricerca”. Due le parole chiave all’attenzione degli ascoltatori, curiosità e interazione, e quattro le tecniche didattiche proposte: lezioni frontali, esperienze pratiche di laboratorio, utilizzo/sperimentazione di metodologie didattiche moderne e lezioni in co-presenza di ricercatori esperti. “C’è grande entusiasmo per le lezioni con laboratorio perché proiettano nel mondo del lavoro, in più, ai ragazzi fa bene lavorare in gruppo. Hanno bisogno di imparare a comunicare quello che hanno imparato”. Con quali obiettivi? “Coinvolgerli attivamente, stimolare il lavoro di gruppo, promuovere conoscenze e abilità e sviluppare la creatività”. Dunque, learning by doing: didattica, ricerca e azione nell’ottica di una contaminazione reciproca. “Un buon esempio è l’esperimento pilota del Corso di Biologia con il Workshop di Modellazione Stampa 3D nell’ambito di una convenzione per tirocini e tesi con lo ScampLab della cooperativa sociale L’Uomo e il Legno di Scampia. Con una parte di lezioni svolte all’università e una parte sul territorio, abbiamo voluto formare nuove competenze e nuove opportunità di lavoro in ambito innovativo e culturale”. Dalla professoressa arriva anche la proposta di questionari di autovalutazione per docenti “che si interroghino su quanto fatto e sugli strumenti utilizzati” e di incontri da programmare per il 2020 sui temi della didattica attiva e dell’apprendimento. 
Quiz su 
smartphone a 
Termodinamica
Altra esperienza estremamente innovativa è stata proposta agli studenti del Corso di Termodinamica. Si tratta di una didattica interattiva mediante smartphone e la racconta il prof. Stefano Guido, Corso di studi in Ingegneria Chimica e delegato Erasmus+ del Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale. In cosa consiste l’esperimento? Nell’utilizzo della piattaforma Kahoot! per somministrare agli studenti, tramite smartphone, dei quiz a scelta multipla con l’obiettivo di valutare il loro apprendimento, gradimento e la loro partecipazione attiva o meno al corso. Da cosa nasce l’idea? “Ci chiedevamo come tenere desta l’attenzione degli studenti, soprattutto in classi molto numerose, e con Termodinamica eravamo a circa 200 ragazzi. Il punto era trovare un contatto diretto con loro. Guardando un po’ di letteratura scientifica, ho individuato gli Student Response System, SRS, che prevedono la somministrazione di questionari e la raccolta in tempo reale delle risposte mediante dispositivi clicker”. Intanto i tempi erano maturi perché “gli smartphone stessi venissero usati come clicker. Ormai tutti gli studenti possedevano uno smartphone e potevamo provare ad usarli per uno scopo didattico”. La sperimentazione ha riguardato gli anni 2014/15, 2015/16 e 2016/17: “essendo solo una sperimentazione, durante il corso sono stati sottoposti, senza preavviso, solo quattro questionari da dieci domande”. Con quale risultato? Gli studenti hanno gradito e c’è stato un leggero aumento di promossi all’esame entro la sessione autunnale. “Questo metodo sarebbe utile anche all’inizio dell’anno accademico, per comprendere quanto delle materie di base studiate l’anno precedente sia rimasto e colmare sin dall’inizio eventuali lacune”, conclude il prof. Guido. 
Per il Collegio di Architettura interviene la prof.ssa Mariangela Bellomo che propone non un’esperienza specifica, bensì una riflessione sui metodi didattici applicati ad Architettura: “Impieghiamo varie forme didattiche: frontale, applicativa e laboratoriale. Le lezioni frontali si svolgono per lo più con una metodologia deduttiva e qui c’è l’utilizzo di piattaforme come Kahoot! e lo studente viene invitato ad interagire e a produrre e presentare elaborati. La didattica laboratoriale, invece, è induttiva, si cambia registro e si impara sul luogo. Anche in questo caso c’è interazione di gruppo, si lavora tra colleghi e con materiale concreto”. Quali sono gli strumenti a disposizione degli studenti? Quelli tradizionali come matita, foglio e squadretta. Gli informatizzati, l’autoCAD. Poi i digitali, quindi BIM, Rhinoceros e Grasshopper e, infine, la modellazione con plastici, 3D stamp, macchina a controllo numerico. “Accanto a questo ci sono i sopralluoghi, gli incontri con gli stakeholders e le interviste, particolarmente importanti, perché gli studenti devono imparare ad interagire, a porre domande e a filtrare le risposte”. Anche dalla docente arriva una proposta: “una piattaforma che possa unire i vari Collegi per un’interazione dei saperi”.
La seconda parte dell’incontro è dedicata a “Federico”, il progetto di formazione cominciato ad aprile e indirizzato ai ricercatori a tempo determinato di tipo b (RTDB). Prendono la parola i professori Maura Striano e Roberto Serpieri. “Il nostro Ateneo è avanti sotto certi aspetti, ma, sotto certi altri, non riesce a fare tesoro di quello che ha – esordisce il prof. Serpieri – Sapevamo che riflettere sugli RTDB avrebbe aperto all’innovazione e così è stato anche con la call for projects che si è chiusa a settembre e che ha inteso portare avanti azioni di innovazione e miglioramento della qualità didattica”. Prosegue la prof.ssa Striano: “Eravamo convinti che in Ateneo ci fossero tante buone pratiche sommerse di insegnamento. Abbiamo scelto come sede la Apple Academy proprio perché pensata per fare lavoro di gruppo”. Alta la partecipazione a ‘Federico’ con 101 RTDB coinvolti e due dozzine i progetti presentati alla call.
Laboratori di 
compostaggio
Cominciano proprio le testimonianze. Si va dalle attività di laboratorio alla flipped classroom nell’esperienza della prof.ssa Giovanna Tomaiuolo per le lezioni di Meccanica dei fluidi complessi. Come opera la docente? “Con lezioni frontali, perché c’è bisogno che io scriva alla lavagna dei concetti affinché gli studenti li fissino, seminari su argomenti specifici, esercitazioni pratiche in aula con facili esperimenti e in laboratorio con le attrezzature reali e con la presentazione di un elaborato alla classe che viene valutato non solo da me, ma dagli stessi colleghi”. Diversi i concetti chiave che la docente identifica nelle sue slide. Tra questi il problem based learning e la valutazione tra pari: “Nell’apprendimento tradizionale, in classe si comprende, si ricorda e si applica, mentre fuori dalla classe si analizza, si valuta e si crea. Noi vogliamo sovvertire e capovolgere questo orientamento”.
Ancora il Dipartimento di Biologia con due progetti presentati dai professori Tiziana Angrisano e Giovanni Libralato. Il primo è Teaching for learning e lo illustra la prof.ssa Angrisano: “L’obiettivo è analizzare i metodi di insegnamento da introdurre mediante sperimentazione in aula e incentivare il pensiero interdisciplinare attraverso la costituzione di un gruppo di 30 docenti e con l’utilizzo di strumenti come le google classroom, Kahoot!, di metodologie come le flipped classroom, i lavori di gruppo, le esercitazioni sul campo, lezioni trasversali e il proseguimento dei workshop di modellazione 3D”. Il prof. Libralato, invece, presenta COMPoST, COMPetenze a SisTema: “un progetto che parte dalla volontà di arrivare ad una contaminazione tra discipline diverse”. Il progetto, dedicato ai sistemi innovativi di compostaggio che utilizzano larve di mosche, è indirizzato “ad un massimo di 60 studenti che si iscriveranno al laboratorio Compost, da dividere in 15 gruppi”. Quali le tecniche didattiche innovative da mettere in pratica? “Role playing, problem solving, learning by doing, con una didattica in co-presenza e gruppi di lavoro autonomi”. 
In conclusione c’è la prof.ssa Emma Maglio con due progetti presentati per Architettura: DArC_DiARC tra Architetture e Città: Engaged Architecture e IN-OUT LAB. Per una rinnovata comunità di pratica e apprendimento. Uso di risorse multimediali, idee spontanee, sopralluoghi per Engaged Architecture “con l’obiettivo di avvicinare gli studenti e la didattica al territorio. Gli studenti stessi, poi, produrranno dei materiali audio-video che serviranno da tutorial ai colleghi degli anni successivi”. Sviluppare la creatività con un apprendimento che sia una scoperta e impiego del metodo della challenge based learning sono alla base, invece, del secondo progetto: “Fondamentale è che le discipline teoriche, applicative e progettuali lavorino tutte insieme”.
Chiude con un’ultima proposta il prof. Giuseppe Cirino: quella di “un libro trasversale che favorisca la contaminazione dei saperi. Che non sia scritto, ma on-line e che si possa sempre aggiornare”. 
Carol Simeoli
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