“L’effetto ‘collo di bottiglia’ si verifica al quarto anno”

Dopo essersi fatti le ossa sulle materie di base, gli studenti del II anno di Medicina nel secondo semestre affrontano le prove di Genetica Umana e Medica, di Fisiologia I, di Microbiologia e Immunologia, più l’idoneità di Inglese. “E’ un semestre relativamente tranquillo – afferma il prof. Sergio Cocozza, Coordinatore del IV ciclo – La percentuale di coloro che non danno tutti gli esami in tempo è fisiologica: varia dal 15 al 20 per cento”. Le materie da studiare sono stimolanti ma a volte i ragazzi non vi si applicano con la necessaria calma: “Gli studi di Medicina hanno ritmi veramente intensi. Per questo motivo gli studenti badano a superare gli esami e non perdere il passo. Si sentono su un treno che va a velocità forsennata e temono di non farcela. Sono in una situazione di stress per cui concentrano le loro energie sul tentativo di anticipare le domande che gli verranno poste, anziché sull’apprendimento dei contenuti”. 
I prossimi mesi serviranno agli iscritti del II anno per recuperare qualche carenza accumulata in precedenza e gettare le fondamenta della preparazione da mettere a punto negli anni successivi. “L’effetto ‘collo di bottiglia’ si verifica nel IV anno, oltre che con l’esame di Anatomia – sostiene il professore – Ma la difficoltà di una prova non è mai oggettiva, è un problema di percezione”. Cocozza spiega che i ragazzi si abituano alla modalità di un esame e qualsiasi innovazione formale finisce per creare delle difficoltà: “Lo studente si adatta ad una situazione, si concentra a capire cosa il docente si aspetta da lui. Basta una leggera modifica della struttura della prova che va in crisi”. Per esempio, nelle ultime due sessioni di Genetica, il rinnovamento del database delle domande è coinciso con un drastico abbattimento delle performance: “Se lo studente fosse orientato a capire la Genetica, anziché cosa io voglio all’esame, tutta una serie di problemi sarebbero risolti”. Invece di approfondire i contenuti, gli studenti si fossilizzano sugli aspetti burocratici: “In trenta anni di insegnamento è capitato al massimo 4 o 5 volte che siano venuti a ricevimento a chiedermi spiegazioni supplementari. Però mi contattano di continuo per sapere in quale aula si tiene l’esame e a che ora”.
Il programma di Genetica è affascinante ma farlo proprio può comportare alcune difficoltà. Lo scritto è composto da 60 domande ed il voto con cui lo si supera è importante perché condiziona il risultato della prova orale: “Può variare al massimo del 10%”, precisa il professore che intende rimarcare il valore dello scritto: “Il fatto che non vi sia un interlocutore umano costituisce l’aspetto negativo dei quiz; quello positivo è dato dall’assoluta oggettività della prova”. La disciplina è molto legata al ragionamento: “Una volta comprese le regole e le leggi, si è in grado di rispondere agli esercizi di tipo matematico, per esempio indicare la probabilità di malattia dei figli di due soggetti con determinate caratteristiche. Diamo poca importanza alla parte nozionistica. Non si valuta uno studente dai nomi dei geni che conosce”. La parte applicativa tuttavia rimane modesta. “Come in tutte le discipline bisognerebbe sforzarsi di potenziare le attività di laboratorio. Sono formative ma, mi chiedo, quanti degli studenti andranno a fare ricerca? Il 99% diverrà medico. Sarebbe molto più urgente far svolgere loro maggiore pratica clinica. Da questo punto di vista rimaniamo indietro rispetto agli altri paesi europei. La Facoltà ha fatto passi da gigante da quando mi sono laureato io, ma si poterebbe fare molto di più”. Alcuni docenti sostengono che sia inutile che gli studenti vadano in corsia prima di aver appreso la Patologia e superato le Cliniche, facciamo notare al professore. “Io li manderei sin dal primo anno in una clinica per iniziare ad interagire umanamente e tecnicamente con il paziente – ribatte – All’estero si fa così. I nostri laureati, a fronte di una preparazione teorica molto buona, non hanno esperienze pratiche comparabili”.
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