“Se non ci sarà un’inversione di rotta, l’università pubblica in Italia è destinata a scomparire nel giro di non molti anni”. Il prof. Alessandro Dal Piaz, settanta anni compiti ad aprile, la metà dei quali, dal 1974 al 2009, spesi come docente di Progettazione urbanistica alla Facoltà di Architettura della Federico II, si congeda dall’Ateneo lanciando un grido di allarme. E’ da qualche settimana in pensione, ma prosegue la sua attività professionale, che lo coinvolge, tra l’altro, nei piani provinciali di Benevento e di Salerno. Lontano dalle aule – non interromperà tuttavia completamente i rapporti con l’ateneo, perché potrebbe tenere nel secondo semestre un corso a contratto – racconta i suoi 35 anni di docenza e non nasconde la sua preoccupazione sui destini dell’università e della facoltà a lui tanto cara.
Professore, non ha paura di passare per inguaribile pessimista?
“Correrò il rischio, non fosse altro che per l’affettuoso ricordo che mi lega ai tanti studenti brillanti che ho avuto, i quali hanno tentato la carriera universitaria, riportandone grande delusione. L’università pubblica è in fase di smantellamento: sempre meno risorse, sempre meno concorsi, un ricambio bloccato”.
Lei dunque non consiglierebbe ad un suo laureato di intraprendere la carriera universitaria?
“Si può anche consigliare, in teoria, ma in pratica non c’è alcuna prospettiva. Spiace dirlo ma è così”.
Come è cambiata la Facoltà di Architettura da quando lei era assistente, alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ad oggi, quando va in pensione?
“C’è stata la moltiplicazione dei Corsi di Laurea. Una volta ci si laureava in Architettura e basta, oggi l’offerta didattica è molto più varia. Non si sono moltiplicati, purtroppo, gli sbocchi professionali. La riforma del tre più due, inoltre, obbliga a fare le cose più in fretta. E’ cambiato profondamente il ruolo del docente e il rapporto tra quest’ultimo e gli allievi. Abbiamo l’obbligo di ridurre tutto all’essenziale. Forse per questo è più difficile rendere produttivo il rapporto dei professori con gli studenti. I più bravi tra i ragazzi, tuttavia, riescono ugualmente ad acquisire le competenze che faranno di loro bravi architetti o intelligenti pianificatori”.
Quali sono stati i suoi Presidi in Facoltà?
“Da studente ebbi il professore Iossa, che insegnava Scienze delle costruzioni. Da docente: Venditti, Siola, Cesarano, Gravagnuolo, Claudi”.
Chi è stato il migliore?
“Ognuno aveva molti pregi e non pochi difetti. Tutti hanno lavorato bene, o almeno al meglio delle possibilità soggettive ed oggettive, per la Facoltà di Architettura”.
Osservata con gli occhi di un pianificatore, come si è evoluta Napoli durante gli anni in cui lei è stato docente in Facoltà?
“Il piano regolatore è stato una tappa utile ed importante. Ha aperto prospettive che la città, purtroppo, stenta a sfruttare come dovrebbe e come potrebbe. Resta irrisolto il rapporto tra Napoli e i Comuni della sua periferia. Per molti di essi, tra l’altro, resta da percorrere un futuro che non sia solo, come ora, ipermercati e centri commerciali”.
Fabrizio Geremicca
Professore, non ha paura di passare per inguaribile pessimista?
“Correrò il rischio, non fosse altro che per l’affettuoso ricordo che mi lega ai tanti studenti brillanti che ho avuto, i quali hanno tentato la carriera universitaria, riportandone grande delusione. L’università pubblica è in fase di smantellamento: sempre meno risorse, sempre meno concorsi, un ricambio bloccato”.
Lei dunque non consiglierebbe ad un suo laureato di intraprendere la carriera universitaria?
“Si può anche consigliare, in teoria, ma in pratica non c’è alcuna prospettiva. Spiace dirlo ma è così”.
Come è cambiata la Facoltà di Architettura da quando lei era assistente, alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ad oggi, quando va in pensione?
“C’è stata la moltiplicazione dei Corsi di Laurea. Una volta ci si laureava in Architettura e basta, oggi l’offerta didattica è molto più varia. Non si sono moltiplicati, purtroppo, gli sbocchi professionali. La riforma del tre più due, inoltre, obbliga a fare le cose più in fretta. E’ cambiato profondamente il ruolo del docente e il rapporto tra quest’ultimo e gli allievi. Abbiamo l’obbligo di ridurre tutto all’essenziale. Forse per questo è più difficile rendere produttivo il rapporto dei professori con gli studenti. I più bravi tra i ragazzi, tuttavia, riescono ugualmente ad acquisire le competenze che faranno di loro bravi architetti o intelligenti pianificatori”.
Quali sono stati i suoi Presidi in Facoltà?
“Da studente ebbi il professore Iossa, che insegnava Scienze delle costruzioni. Da docente: Venditti, Siola, Cesarano, Gravagnuolo, Claudi”.
Chi è stato il migliore?
“Ognuno aveva molti pregi e non pochi difetti. Tutti hanno lavorato bene, o almeno al meglio delle possibilità soggettive ed oggettive, per la Facoltà di Architettura”.
Osservata con gli occhi di un pianificatore, come si è evoluta Napoli durante gli anni in cui lei è stato docente in Facoltà?
“Il piano regolatore è stato una tappa utile ed importante. Ha aperto prospettive che la città, purtroppo, stenta a sfruttare come dovrebbe e come potrebbe. Resta irrisolto il rapporto tra Napoli e i Comuni della sua periferia. Per molti di essi, tra l’altro, resta da percorrere un futuro che non sia solo, come ora, ipermercati e centri commerciali”.
Fabrizio Geremicca