“Sotto la stessa luna”, film del giovane regista napoletano Carlo Luglio, proiettato il 27 aprile presso l’Università Orientale, è un esempio evidente di come film di questo tipo non possano esaurirsi nella sola visione, ma necessitano di ramificarsi e svilupparsi in ogni direzione, anche attraverso la vivacità dell’ambiente universitario. Un film “tecnicamente motivato e circostanziato”, com’è stato definito dal prof. Valerio Caprara, docente di Storia e critica del cinema a L’Orientale, cui è stata affidata la presentazione del film, in grado di fondere armonicamente forma e contenuto. Una volta stabilito il contenuto, Luglio ha scelto una sua forma e lo ha presentato come meglio riteneva permettendo al suo pubblico non solo di schierarsi, ma soprattutto di partecipare a questo viaggio attraverso diverse culture e diversi mondi. E lo stesso regista, passo dopo passo, ha accompagnato nella visione del film e nell’idea che vuole trasmettere, partendo da una storia realmente accaduta.
Assistere alla proiezione vuole dire immergersi in una realtà e farne pienamente parte per circa un’ora e mezza. E’ difficile poterlo definire in altro modo, dal momento che la musica, le immagini, i dialoghi, i personaggi affascinano gli occhi e la mente dello spettatore, e lo inducono ad interrogarsi e a prendere coscienza di ciò che gli sta intorno.
Il film narra la vita quotidiana di una comunità Rom ai margini della periferia napoletana, Scampia, che si intreccia con quella di un ex capozona, Franco, ormai in via di redenzione -dopo un anno e otto mesi di galera cerca di dare una svolta alla propria vita- e con quella del gruppo di un giovane boss emergente, Tonino. Sin dal principio la musica svolge un ruolo fondamentale: non è soltanto il sottofondo della narrazione, ma la accompagna in ogni suo punto, con i ritmi caratteristici dei due mondi qui protagonisti, tanto differenti quanto simili sotto molti punti di vista. Oliver e Pavel sono due fratelli. Pavel è appena uscito di galera, e non sembra intenzionato a cambiare, al contrario di Oliver, il più buono tra i due, che cerca di allontanare suo fratello dalla cattiva strada e di coinvolgerlo in lavori più onesti. Ma cambiare vita non è facile, e, piuttosto che vivere così, Pavel dice a suo fratello di non voler continuare con queste umiliazioni, che non vuole più vederlo tra la folla come uno zero, che vuole vederlo valere, e per questo lo coinvolge nelle sue attività poco legali. Tonino e il suo gruppo mal tollerano uno sguardo di troppo alla ragazza del boss e i traffici di Pavel e compagni nella sua zona, e questo sottile microcosmo sarà presto destinato a disfarsi. Una figura diversa in questo quadro è quella di Franco: ormai pentito del suo passato cerca un riscatto. Vuole ricominciare e vuole farlo con la sua donna, Jasmine, lontano da questa vita. Lui fa un po’ da collante tra i due mondi, quello di Scampia e quello dei Rom. Abbandonato il primo, è ormai completamente integrato nella vita di questa comunità, tanto da abbracciarne la cultura e le tradizioni. La mattina in cui Franco è in partenza per Milano con la sua nuova famiglia, due uomini in sella ad una moto fanno incursione nel campo e sparano sulla folla uccidendo due ragazzi, Mirko e Goran (fatto accaduto nel giugno 2004). La paura dilaga nel campo, i suoi abitanti non si sentono più sicuri e dopo varie discussioni decidono di andare via. E inizia, così, il lungo esodo della comunità verso un’altra zona.
Uno dei problemi fondamentali del cinema moderno sta proprio nel modo in cui viene raccontata la trama, ciò che il regista Luglio nello specifico chiama “l’inquadratura”: l’educazione e la discrezione del racconto, nel rispetto dei sentimenti e delle emozioni altrui. Ed è proprio questo che ha tentato di fare, creando distacco e allo stesso tempo un certo pudore rispetto alla materia da raccontare. E seguendo questo schema è stato perseguito l’obiettivo con cui questo film è nato, cioè quello di avere presa sulla coscienza degli individui, comunicare la nostra realtà e farci interrogare su di essa.
Alla proiezione hanno preso parte altre figure che hanno contribuito alla realizzazione del film: il vicepresidente di “Opera Nomadi” Marco Nieli e Maria Franco, che ha lavorato presso il carcere minorile di Nisida. Nieli si è impegnato in prima persona assieme a “Opera Nomadi” cercando di costruire per queste comunità una prospettiva e un’alternativa di vita. Compito, però, tutt’altro che facile. Troppo spesso siamo abituati a leggere solo notizie negative sui Rom, ma in realtà, secondo lo stesso Nieli, sono i “poteri forti” a rendere la vita degli abitanti di Scampia e dei Rom a percorsi obbligati, negando a questi ultimi i basilari diritti umani e civili.
Quando è stato proiettato nel carcere di Nisida, il film ha suscitato un grande dibattito poiché, lì il 90% dei ragazzi e delle ragazze sono Rom. Il dibattito però non si è esaurito nell’arco di un tempo relativamente breve, ma è diventato la chiave per questi ragazzi per mettere a fuoco aspetti salienti della loro vita: il rapporto tra la loro cultura di appartenenza e la nostra, l’ambiente in cui si vive, il rapporto con le istituzioni…
Per tutte queste ragioni il film ci offre uno spaccato realistico della nostra società, intriso però di una magia e di un simbolismo che mette in evidenza le differenze e le somiglianze tra queste due culture. Ma soprattutto rappresenta uno dei tentativi per raccontare Scampia e i Rom in maniera non stereotipata ma più critica e coscienziosa. Un racconto attraverso il quale emerge un ritratto dei Rom con una loro identità, con una cultura propria che non si concilia affatto con l’etichetta con cui troppo spesso vengono indicati, cioè di un popolo senza terra, un popolo senza identità.
Nicla Abate
Assistere alla proiezione vuole dire immergersi in una realtà e farne pienamente parte per circa un’ora e mezza. E’ difficile poterlo definire in altro modo, dal momento che la musica, le immagini, i dialoghi, i personaggi affascinano gli occhi e la mente dello spettatore, e lo inducono ad interrogarsi e a prendere coscienza di ciò che gli sta intorno.
Il film narra la vita quotidiana di una comunità Rom ai margini della periferia napoletana, Scampia, che si intreccia con quella di un ex capozona, Franco, ormai in via di redenzione -dopo un anno e otto mesi di galera cerca di dare una svolta alla propria vita- e con quella del gruppo di un giovane boss emergente, Tonino. Sin dal principio la musica svolge un ruolo fondamentale: non è soltanto il sottofondo della narrazione, ma la accompagna in ogni suo punto, con i ritmi caratteristici dei due mondi qui protagonisti, tanto differenti quanto simili sotto molti punti di vista. Oliver e Pavel sono due fratelli. Pavel è appena uscito di galera, e non sembra intenzionato a cambiare, al contrario di Oliver, il più buono tra i due, che cerca di allontanare suo fratello dalla cattiva strada e di coinvolgerlo in lavori più onesti. Ma cambiare vita non è facile, e, piuttosto che vivere così, Pavel dice a suo fratello di non voler continuare con queste umiliazioni, che non vuole più vederlo tra la folla come uno zero, che vuole vederlo valere, e per questo lo coinvolge nelle sue attività poco legali. Tonino e il suo gruppo mal tollerano uno sguardo di troppo alla ragazza del boss e i traffici di Pavel e compagni nella sua zona, e questo sottile microcosmo sarà presto destinato a disfarsi. Una figura diversa in questo quadro è quella di Franco: ormai pentito del suo passato cerca un riscatto. Vuole ricominciare e vuole farlo con la sua donna, Jasmine, lontano da questa vita. Lui fa un po’ da collante tra i due mondi, quello di Scampia e quello dei Rom. Abbandonato il primo, è ormai completamente integrato nella vita di questa comunità, tanto da abbracciarne la cultura e le tradizioni. La mattina in cui Franco è in partenza per Milano con la sua nuova famiglia, due uomini in sella ad una moto fanno incursione nel campo e sparano sulla folla uccidendo due ragazzi, Mirko e Goran (fatto accaduto nel giugno 2004). La paura dilaga nel campo, i suoi abitanti non si sentono più sicuri e dopo varie discussioni decidono di andare via. E inizia, così, il lungo esodo della comunità verso un’altra zona.
Uno dei problemi fondamentali del cinema moderno sta proprio nel modo in cui viene raccontata la trama, ciò che il regista Luglio nello specifico chiama “l’inquadratura”: l’educazione e la discrezione del racconto, nel rispetto dei sentimenti e delle emozioni altrui. Ed è proprio questo che ha tentato di fare, creando distacco e allo stesso tempo un certo pudore rispetto alla materia da raccontare. E seguendo questo schema è stato perseguito l’obiettivo con cui questo film è nato, cioè quello di avere presa sulla coscienza degli individui, comunicare la nostra realtà e farci interrogare su di essa.
Alla proiezione hanno preso parte altre figure che hanno contribuito alla realizzazione del film: il vicepresidente di “Opera Nomadi” Marco Nieli e Maria Franco, che ha lavorato presso il carcere minorile di Nisida. Nieli si è impegnato in prima persona assieme a “Opera Nomadi” cercando di costruire per queste comunità una prospettiva e un’alternativa di vita. Compito, però, tutt’altro che facile. Troppo spesso siamo abituati a leggere solo notizie negative sui Rom, ma in realtà, secondo lo stesso Nieli, sono i “poteri forti” a rendere la vita degli abitanti di Scampia e dei Rom a percorsi obbligati, negando a questi ultimi i basilari diritti umani e civili.
Quando è stato proiettato nel carcere di Nisida, il film ha suscitato un grande dibattito poiché, lì il 90% dei ragazzi e delle ragazze sono Rom. Il dibattito però non si è esaurito nell’arco di un tempo relativamente breve, ma è diventato la chiave per questi ragazzi per mettere a fuoco aspetti salienti della loro vita: il rapporto tra la loro cultura di appartenenza e la nostra, l’ambiente in cui si vive, il rapporto con le istituzioni…
Per tutte queste ragioni il film ci offre uno spaccato realistico della nostra società, intriso però di una magia e di un simbolismo che mette in evidenza le differenze e le somiglianze tra queste due culture. Ma soprattutto rappresenta uno dei tentativi per raccontare Scampia e i Rom in maniera non stereotipata ma più critica e coscienziosa. Un racconto attraverso il quale emerge un ritratto dei Rom con una loro identità, con una cultura propria che non si concilia affatto con l’etichetta con cui troppo spesso vengono indicati, cioè di un popolo senza terra, un popolo senza identità.
Nicla Abate