Ansie, progetti e bilanci ad un passo dalla laurea

Coronare i propri sacrifici con i confetti rossi: è la meta agognata da tutti gli universitari. Un giorno gioioso che sta per arrivare per molti studenti del Corso quinquennale in Scienze della Formazione Primaria. Le sedute di laurea si terranno a giugno e luglio. Il lavoro di tesi, per loro, è bipartito ma collegato: da una parte la teoria di base e dall’altra il tirocinio. Tanti i temi oggetto di tesi ma per la maggior parte vertono sulla letteratura: dall’analisi di un romanzo di Edmondo De Amicis per Adelaide Cantile, alla dislessia collegata con la lettura e la comprensione del testo narrativo per Luca Tessitore; dal progetto su Pirandello e il poeta spagnolo Unamuno per Maria Sabatino, a Montale e il rapporto con le donne della sua vita per Giusy Aversano, dall’evoluzione della figura del maestro in un viaggio dall’antica Grecia fino al ‘900, collegato all’Odissea con il gioco e le illustrazioni per Maria Teresa Salzillo, al lavoro sulla fiaba della Gatta Cenerentola per Francesca Cipollaro, fino all’orsacchiotto Gigiotto di Nadia Gragnianiello, assoluto protagonista di una storia che riguarda la formazione, l’educazione e i diritti del bambino.
Emozioni e sentimenti diversi con la laurea praticamente dietro l’angolo: c’è chi si sente positivo e affronta l’attesa in modo sereno e chi è intimorito all’idea di dover parlare davanti ai professori ma soprattutto ai parenti, che ovviamente non toglieranno loro gli occhi di dosso neanche un istante. Tra i laureandi c’è molta determinazione. Nonostante ripetano che la laurea è solo una formalità, hanno molta voglia di indossare la corona d’alloro (o il cappello, c’è chi lo preferisce) e proclamarsi ufficialmente pronti ad intraprendere il percorso che conduce alla professione che sognano: l’insegnante. “Tutti puntiamo al concorso per docenti che si spera potremmo sostenere l’anno prossimo – dice Maria – La maggior parte di noi è accomunata dalla passione per i bambini. In realtà i bambini ci aiutano a crescere. Io mi sento molto più grande quando sono al loro fianco, mi lascio investire dalla loro energia che è una vera e propria risorsa. Riempirmi della loro bellezza mi fa sentire felice”. “Mia madre è un insegnante, ma ero già molto decisa e propensa a intraprendere questa strada, perché non mi immagino in altre vesti, questo lavoro fa parte di me”, confessa Francesca.
Il percorso in Scienze della Formazione Primaria è più lungo rispetto agli altri e prevede un tirocinio intenso di ben quattro anni. “Il primo anno è basato principalmente sull’osservazione, poi è un crescendo. Pian piano gli insegnanti che ci affiancano ci insegnano a sostenere le dinamiche del lavoro. Col tempo perdiamo anche il timore di intervenire e acquisiamo più sicurezza e più spazio nell’ambito della classe. Per me è stato tutto molto graduale e alla fine, al quarto anno, ho avuto la possibilità di gestire anche intere lezioni”, racconta Adelaide. “L’insegnante deve avere con sé la sua ‘cassetta degli attrezzi’ e servirsi delle strategie giuste – precisa Nadia – Il mio mezzo di comunicazione è l’arte. Con i bambini dell’infanzia ho inventato  canzoni, lavoretti manuali. Per la primaria, invece, ho organizzato laboratori con cartelloni, inventato slogan, drammatizzato storie. In ogni caso bisogna puntare sul lavoro di squadra, su idee fantasiose e sorprendenti. Tutto questo  attira i piccoli più di ogni altra cosa”.
Volgendo lo sguardo al passato, ai cinque anni trascorsi, affiorano i ricordi. Alcuni sono saldati, indelebili nella memoria. Dalla fatica per superare gli esami più difficili, alla delusione per qualche voto insoddisfacenti, all’abbandono dei metodi di studio liceali. Ma non solo. “Non potrò mai dimenticare le parole di miei genitori quando decisi di iscrivermi all’università: ‘inizia con il piede giusto!’. Li presi sulla parola e quel 7 ottobre che non dimenticherò mai, il mio primo giorno da universitaria, ho salito i gradini del Suor Orsola non con il piede destro, come mi aveva suggerito l’istinto, ma con il sinistro. Questo divertente rituale l’ho ripetuto tutti gli anni e… ha funzionato! Ho dato soddisfazioni ai miei genitori e soprattutto a me stessa”, dice Francesca. L’università non è solo studio “matto e disperatissimo” ma anche divertimento e un’oasi di amicizie fraterne, come sottolinea Maria Teresa. “Le mie colleghe sono state fondamentali, mi hanno aiutato davvero molto. Abbiamo trascorso molto tempo insieme al tirocinio ed ai laboratori, quindi ho avuto modo di legarmi al gruppo. Ci suddividevamo il carico di impegni e ci sostenevamo a vicenda. Oggi posso dire di aver costruito dei rapporti saldi e veri”, dice Maria. “Il mio Corso di Studi è preferito dalle donne – sottolinea Luca – Gli uomini sono la minoranza, infatti all’inizio ne eravamo 15, poi siamo diminuiti. Forse perché le donne sono inclini a scegliere una laurea più lunga o anche perché con i bambini serve pazienza e le donne ne sono dotate. Penso, comunque, che l’insegnamento sia una professione che necessita di entrambe le figure di riferimento, sia uomo che donna, perché comporta due approcci diversi”.
A conti fatti c’è chi vorrebbe correggere qualche errore commesso durante il percorso, chi rimpiange di non aver smorzato l’ansia nelle circostanze più critiche per viversi le esperienze in modo più spensierato. L’essere arrivati in tempo alla conclusione degli studi, l’aver seguito un percorso lineare, così come la consapevolezza di essere già con un piede nel mondo del lavoro rappresentano motivo di grande soddisfazione. “Mi porto dietro 5 anni vissuti pienamente. Il primo, così come accade a tutti gli studenti, è stato quello più difficile, soprattutto per gli esami, perché non avevo ancora il giusto metodo di studio. Ho frequentato tutto ciò che c’era da frequentare, ho dato il massimo e speso tutte le mie energie – dice Adelaide – Calarmi nel ruolo dell’insegnante è stato impegnativo. La teoria serve tantissimo ma la pratica è tutta un’altra cosa. I bambini dell’infanzia, a differenza di quanto si possa pensare, sono i più complicati da gestire, perché non ancora disciplinati e  molto capricciosi, ma proprio per questo non bisogna assecondarli! I bambini più grandi, invece, ci hanno accolto con più consapevolezza nelle classi:  avevano imparato che noi eravamo il diversivo nella giornata scolastica”.
Francesca Corato
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