Bioarcheologia e Archeobotanica: alla scoperta delle nuove discipline del Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo

Da circa un anno a L’Orientale è stato attivato sul Corso di Laurea Triennale in ‘Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente’ un Laboratorio di Bioarcheologia, accessibile anche agli studenti del corrispondente percorso Magistrale. L’ingresso di questa disciplina rappresenta una novità che va ad arricchire ulteriormente un panorama già molto differenziato di studi archeologici offerti presso l’Ateneo. “Analogamente alle altre specializzazioni archeologiche, anche per la bioarcheologia il fine ultimo è sempre una quanto più esauriente e completa ricostruzione della storia dell’uomo nelle comunità del passato, naturalmente secondo una propria prospettiva, ovvero considerando, in particolare, le potenzialità offerte dallo studio dei resti vegetali e animali rinvenuti nei contesti pre-protostorici”, spiega il prof. Matteo Delle Donne, docente del Laboratorio. Quest’ultimo, infatti, focalizza l’attenzione su temi che erano “in precedenza trattati in modo più o meno approfondito nell’ambito degli altri insegnamenti del Dipartimento”. Qual è l’oggetto di studio di questa disciplina? “La bioarcheologia si occupa del recupero, dell’analisi e dello studio dei resti organici, quali resti umani, animali e vegetali provenienti da contesti archeologici, al fine di ottenere informazioni ecologiche ed economiche delle comunità umane del passato. Rientra nell’ambito della più ampia archeologia ambientale e si propone di approfondire l’antico rapporto tra l’uomo e l’ambiente, utilizzando metodi, tecniche e conoscenze proprie delle scienze naturali”. Da quanto tempo esiste? “In Italia, già nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, si pubblicavano lavori che utilizzavano un approccio di studio che oggi definiremmo interdisciplinare, nei quali l’illustrazione delle evidenze archeologiche di numerosi siti pre-protostorici si intrecciava alla presentazione delle analisi naturalistiche dei reperti rinvenuti nel corso di queste indagini”. Quali informazioni è possibile desumere dallo studio dei resti bioarcheologici? “A differenza delle archeologie incentrate sull’analisi di manufatti, resti strutturali o testimonianze artistiche, la bioarcheologia si interessa degli ‘ecofatti’, ad esempio resti di semi o frutti, ossa animali o umane, e di come questi si sono preservati nei giacimenti archeologici. Lo studio dei resti può chiarire l’originario contesto ambientale e in che modo questo veniva sfruttato dalle comunità antiche, ma anche documentare e risolvere i temi fondamentali del rapporto uomo-ambiente nel passato, tra cui la dinamica evolutiva dei gruppi umani, le pratiche agricole e di allevamento, le abitudini alimentari, l’evoluzione del clima e dell’ambiente, la conoscenza delle antiche malattie. In questa ottica, quindi, ogni sito archeologico può essere considerato come un vero e proprio ‘archivio biologico’ nel quale le tracce della biodiversità del passato si possono preservare per secoli o millenni”. L’archeologia che si fa a L’Orientale è settata su due diverse configurazioni geografiche, l’Oriente e l’Occidente. In che modo esse dialogano nell’ambito del Laboratorio? “Nel corso delle lezioni sono continuamente prese in esame le culture dell’Asia e dell’Africa antica, nelle loro interazioni reciproche e soprattutto con il Mediterraneo, grazie a una scelta di casi studio esemplificativi di queste diverse aree geografiche, quali ad esempio il Sudan Orientale, l’Eritrea, l’Egitto, la Siria, l’Iran, il Pakistan e l’Italia meridionale”. In che modo ha dovuto rielaborare le attività laboratoriali in fun- zione della DAD? “In questo momento, purtroppo, l’attività laboratoriale sarà sostituita da un approfondimento su casi studio specifici che, in ogni caso, mireranno a fornire conoscenze utili per lo svolgimento del lavoro di scavo e di laboratorio”. Qual è lo stato dell’arte nel campo dell’indagine archeologica che incrocia la sua strada con la biologia e a che punto si situa la ricerca condotta in Ateneo? “Negli ultimi anni la ricerca bioarcheologica a L’Orientale ha registrato un rapido incremento, in particolare all’interno delle missioni operanti in Africa. Tra queste, le indagini condotte nell’ambito della missione archeologica italiana dell’Università in collaborazione con l’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente nel Sudan Orientale), diretta dal prof. Andrea Manzo, hanno mostrato le potenzialità offerte da questo tipo di ricerca relativamente alla definizione delle modalità di coltivazione e domesticazione di alcuni coltivi africani, come il sorgo”. Sulla Magistrale lo studio della bioarcheologia vira sull’approfondimento dell’Archeobotanica. Di cosa tratta? “Rientra anch’essa nell’archeologia ambientale e studia i resti vegetali conservatisi nei depositi archeologici al fine di definire aspetti fondamentali della vita quotidiana delle società umane pre-protostoriche”. Cosa illustrerà, infine, durante le lezioni per il biennio? “Le varie tipologie di resti vegetali che è possibile recuperare nel corso dello scavo di un sito archeologico. Generalmente, vengono suddivise in due categorie, quella dei macroresti, semi, frutti e legni, e quelle dei microresti, come i pollini. Ognuna di queste categorie di resti richiede peculiari tecniche di campionamento e diverse modalità di trattamento. Particolare attenzione sarà poi posta sull’interpretazione paleoambientale e paletnobotanica dei risultati. Ulteriori approfondimenti saranno dedicati all’illustrazione delle ultime metodologie di indagine della diagnostica chimico-fisica, ad esempio SEM-EDS, e della biologia molecolare, come l’estrazione del DNA da reperti vegetali antichi. Saranno di volta in volta presentati casi di studio archeobotanico realizzati in contesti dell’Asia Centrale, del Vicino Oriente, dell’Egitto, dell’Africa Orientale e dell’Italia centromeridionale”.
Sabrina Sabatino

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