Biram, ex schiavo in Mauritania, racconta all’università la sua toccante storia

“Li ho bruciati non come fecero i nazisti per sopprimere la cultura ma per amore della libertà”, così Biram Dah Abeid, ex schiavo, l’uomo più amato e più odiato della Mauritania (il potere organizza manifestazioni contro di lui e le folle lo acclamano come il nuovo messia), motiva il suo gesto – la distruzione di libri che giustificano lo schiavismo – ai presenti nell’Aula 28 di Giurisprudenza il 31 ottobre. Il Presidente dell’Sos esclaves Mauritanie e fondatore dell’IRA (Initiative de Resurgence du mouvement Abolitionniste de Mauritanie) è ospite della Facoltà per raccontare la sua storia. “Biram fa parte di un’associazione che prova a contrastare il fenomeno della schiavitù, della compravendita di esseri umani. Non ha vita facile nel suo paese, perché è sotto processo per aver bruciato testi che interpretano le scritture del Corano e giustificano lo schiavismo”, spiega il prof. Sergio Moccia, Direttore del Dipartimento di Scienze penalistiche, criminologiche e penitenziarie. “L’abbiamo invitato per avere un confronto con fenomeni che spesso non conosciamo a fondo, ma che ci riguardano, perché prima di essere giuristi, siamo esseri umani”, introduce il docente. Ad ascoltare la storia di Biram, studenti di Giurisprudenza e di Scienze del Servizio Sociale, coinvolti dal prof. Marco de Martino, affidatario di Diritto penale. Prima del toccante racconto del militante, il Magistrato Nicola Quatrano, Presidente dell’Osservatorio internazionale per i diritti, chiarisce il concetto di schiavitù, poco conosciuto in Occidente. “Essere schiavo vuol dire non avere diritti. È una condizione simile a quella del clandestino, ma peggiore. Non puoi prendere una casa in affitto, sposarti o avere un figlio. Praticamente dipendi sempre da qualcuno e sei esposto a violenze e sopraffazioni di carattere agricolo, domestico e sessuale da parte del padrone”. La schiavitù in Mauritania è una realtà molto concreta, abolita da una legge del 1981, frutto di una lunga lotta dei militanti del movimento abolizionista. “Questa legge l’ha vietata formalmente, ma non ha previsto conseguenze legali per chi la pratica. Non è stata di fatto sanzionata, né criminalizzata. Solo nel 2007 ne è stata varata un’altra che criminalizza i comportamenti schiavisti”. In Mauritania si è schiavi per nascita, cioè il figlio dello schiavo appartiene al padrone. “C’è un dibattito aperto tra i militanti sul carattere di questa pratica. Qualcuno la considera espressione di una tradizione antica, Biram punta sulla valenza razzista di quest’ultima”. Il sovversivo ha compiuto diversi gesti dimostrativi. “È andato a liberare gli schiavi, denunciando alle autorità la loro situazione, ma l’élite mauritana è costituita dagli arabo-berberi, che appoggiano la cultura schiavista. Dopo numerosi sit-in davanti a commissariati e tribunali, il tema che era considerato tabù, grazie a Biram e alla sua organizzazione è diventato di discussione pubblica”. Il militante è stato arrestato nel 2012 per aver dato alle fiamme testi che esaltano ciò contro cui combatte. “Il potere brucia i libri per mantenere la sua autorità, l’oppresso lo fa per cancellare il simbolo della sua oppressione”. Attualmente in Mauritania sono molti gli haratine, schiavi affrancati per questioni economiche, non etiche o morali. “Questi conservano l’obbligo di fedeltà al padrone, infatti gli prestano lavoro gratuito. È l’interpretazione scorretta delle scritture del Corano, che di fatto proibisce la schiavitù, a tenere queste persone legate al proprio padrone, nella convinzione che, se non gli presti servizio, non andrai in Paradiso”, conclude il Magistrato. Sono questi i testi che Biram ha bruciato, libri relativi al quindicesimo-sedicesimo secolo che interpretano le sacre scritture. L’Islam, invece, non ha nulla a che vedere con le pratiche schiaviste.
“Questi libri vogliono esprimere il punto di vista di chi li ha scritti”, esclama l’ex schiavo con vigore e convinzione. Parla francese, ma chiunque lo capirebbe per l’intensità del suo sguardo, la rabbia e la decisione con cui accompagna le dure parole. “I libri che ho bruciato dicono che la donna è bugiarda, che non può scegliere marito, non può esprimere desiderio sessuale, non può chiedere il divorzio, ma può essere picchiata e violentata dall’uomo”. Dividono l’umanità in due categorie, oppressori e oppressi. “Gli schiavi sono una proprietà, come un tavolo o una sedia. Lo schiavo non ha diritto a una paga, né al riposo. Non ha diritti sui suoi bambini, ma si può vendere”. Le Organizzazioni per i diritti umani e gli europei, prima del gesto di Biram, non erano a conoscenza del contenuto dei testi. “Le autorità mauritane hanno convocato esponenti dei paesi occidentali per arrestarmi, dicendo che avevo bruciato testi sacri”. È il terrorismo musulmano a convincere e frenare le autorità europee. “I governi antidemocratici utilizzano questo sistema di pressione”. Anche il modo in cui è stato arrestato lo dimostra. “Hanno fatto circondare la mia casa dall’esercito, gettando gas lacrimogeni all’interno, in tarda serata. Mi sarei arreso se me l’avessero chiesto, ma loro hanno voluto usare lo strumento del terrore, come con l’America e l’Europa”. La propaganda tendeva a rendere diabolico il gesto del militante. “In TV veniva annunciata la mia morte. Solo grazie a mia moglie e agli altri attivisti dell’IRA, come Ivana Dama, il Parlamento Europeo ha sostenuto la mia liberazione”. Conclude con un appello ai governi: “L’Europa non deve aspettare l’incarcerazione delle persone prima di intervenire e non deve sostenere economicamente un popolo che riduce in schiavitù, ma deve aiutare associazioni come l’IRA, che vogliono risolvere questa situazione”.
Allegra Taglialatela
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