Ciampi apre l’anno accademico

Aula Magna storica stipata, duecento docenti delle dodici facoltà rigorosamente in toga –gli altri si sono dovuti accomodare (non è mancato qualche mugugno) nei locali collegati in video alla Facoltà di Lettere-, un ricco parterre di autorità accademiche, civili, militari e religiose. Clima delle grandi occasioni il 13 dicembre per l’inaugurazione del 776esimo anno accademico dell’Ateneo Federico II. Ospite d’eccezione il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi accompagnato dalla moglie Franca. 
La solenne cerimonia si apre con la relazione del Rettore Fulvio Tessitore, il quale ricorda come l’Ateneo fridericiano sia “la più antica Università di Stato e laica del mondo, in quanto nata, appunto, in data certa non per iniziativa privata o ecclesiastica (com’era stato il caso delle precedenti Università di Parigi e di Bologna), bensì di un sovrano”, un Ateneo unico dell’intero Mezzogiorno continentale fino agli anni Venti. 
Una relazione, quella del Rettore, pacata nei toni ma ferma e decisa. E di alto profilo. Pur senza addentrarsi nella querelle di fine anno che lo ha visto contrapposto al Ministro Zecchino per la gestione delle facoltà mediche, Tessitore non ha mancato di lanciare qualche provocazione e di ribadire il suo dissenso ad ogni forma di numero chiuso. “La politica degli accessi non deve consistere in una preliminare selezione arbitraria (affidata, come oggi si fa, ai quiz, che in genere favoriscono gli stupidi più che gli intelligenti) o tanto meno nella difesa corporativa di questo o quell’ordine professionale, come si corre il rischio che avvenga qualora il numero programmato sia riservato a scelte parziali per alcuni corsi di laurea, con effetti squilibranti per il corpus disciplinare complessivo degli Atenei”. Al contrario la programmazione “deve consistere in una progettazione libera e flessibile, rispettosa degli sbocchi professionali valutati, però, in prospettiva, ossia, senza alcuna tentazione allo schiacciamento sulle immediate esigenze del mercato del lavoro”. La riforma, dice Tessitore, deve investire sulla professionalità dei docenti e sulla individuazione di un nuovo tipo di studente. “Il solo modo per assicurare la capacità di riconversione che, oggi, nella dimensione media di una vita lavorativa, stimata in trent’anni, deve avvenire due o, addirittura, tre volte”.
Autonomia. E’ spesso confusa con la deregulation, una interpretazione che “punta, senza riconoscerlo, sulla privatizzazione del sistema universitario e, dentro ciascuna Università, è interessata a rafforzare l’autonomia delle parti rispetto al tutto, il che equivale a proteggere il corporativismo delle Facoltà, specie delle più forti, o presunte tali, a danno delle altre ritenute più deboli”. Lo Statuto dell’Ateneo Federiciano (“la cui redazione mi vanto di aver procurato nel mio primo anno di Rettorato”), definito in un congresso dell’Accademia dei Lincei un documento esemplare nel nuovo modo d’essere delle Università, va in tutt’altra direzione. Tra i principi: l’incompatibilità tra le cariche accademiche, la limitazione di tutti i mandati elettivi, la garanzia della rappresentanza di tutte le aree disciplinari e di tutte le componenti della vita accademica negli organi di governo, l’organizzazione in Poli “dotati di larga autonomia gestionale e propositiva ma non sono microatenei, né sono prodromici ad essi”. Tessitore, infine, sintetizza le realizzazioni che l’Ateneo porta in dote (articolo in pagina). 
Una dura requisitoria, l’intervento successivo di Marco Cantelmi, Presidente del Consiglio degli Studenti d’Ateneo. Indice puntato contro il Ministro Zecchino, reo di non aver consultato rappresentanze ed organizzazioni studentesche nella fase preparatoria della riforma universitaria e di aver introdotto il “criterio della preparazione adeguata”, una “nuova limitazione agli accessi delle Facoltà, che ci vede profondamente contrari. Non è estendendo il numero chiuso che si risolvono i problemi degli Atenei, Non è favorendo gli studenti più ricchi, e quindi, con più tempo e mezzi a disposizione, che cambieremo in meglio il funzionamento delle università”.  Che fine ha fatto il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari?- chiede Cantelmi:  “non è forse a causa di lentezze ed errori burocratici (commessi proprio dal Ministero) che non lo si riesce a insediare da due anni?”. Altre accuse: “da quaranta anni non vengono ridiscussi i programmi d’insegnamento, nessuno li ha mai posti in discussione”; le scuole post-universitarie “sono ancora a livello preistorico e soprattutto sono poche. L’unica proposta che ci è stata fatta tanto per cambiare, è quella di renderle quanto più chiuse e inaccessibili”. E poi le speranze: “un concreto piano per inserire i laureati nel mondo del lavoro italiano e non spingere tanti giovani brillanti ad andare all’estero per essere valorizzati”. 
“Bisogna ricominciare a parlare di Università, e di questo Ateneo, a partire dal senso di appartenenza, l’unico capace di contribuire a trasformare un insieme di esperti in un centro di eccellenza”, ha detto Maria Palumbo, membro del Senato Accademico espressione del personale tecnico amministrativo ed ausiliario; è la prima volta che la categoria è rappresentata al femminile.  “Il grado più elevato di scolarizzazione, l’acquisizione di alte competenze, di professionalità tecniche uniche, rende lo stigmatizzato personale non docente interlocutore credibile, valido, ed indipendente sia nei riguardi dell’utenza interna, studenti e docenti, sia soprattutto dei soggetti esterni, realtà economiche ed industriale”, sottolinea la dottoressa Palumbo. Imprescindibile il coinvolgimento  di una delle risorse strategiche strutturate dell’ateneo: il personale, in tutti i settori: “dalla riuscita del piano di decongestionamento, alla funzionalità e fruibilità dei servizi, al consolidamento dell’immagine e dell’attività dell’ateneo verso l’esterno”.
Ha chiuso la cerimonia, la lezione inaugurale del professore Louis Godart su “La nascita della scrittura in Europa”.
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