Una scultura realizzata con i materiali trovati qua e là in spiaggia. Rifiuti messi ai margini trasformati in risorse, restituiti a vita nuova in un’opera densa di un significato che fuoriesce con forza già dal titolo: “L’Insostenibile peso dei sentimenti”. Quell’opera ha ricevuto il secondo premio alla Biennale di arte contemporanea di Salerno. L’autore riassume così il lavoro: “ho raccolto materiale di risulta sulla spiaggia e l’ho trasformata in opera d’arte”. Un processo che si ricollega alla vita di tutti i giorni, a quella professione che ai margini di tutto lo porta a raccogliere “persone messe al bando dalla società, ma che hanno un valore, una forza che va riconosciuta e affermata”. Quell’artista è un professore di Psicologia clinica col sogno di tornare in India. Quell’artista è il Direttore di Sinapsi, Centro che potrebbe continuare a guidare a breve nelle vesti di Presidente Onorario. Quell’artista si chiama Paolo Valerio, è nato nel ’48, e ha insegnato alla Federico II fino allo scorso 31 ottobre, ultimo giorno prima della pensione.
Professore, nel ’72 si laurea in Medicina con uno studio sui tumori. Poi il passaggio a malattie nervose e mentali. Come mai?
“C’è un filo rosso che accomuna mondi apparentemente distanti. Da studente di Medicina mi interessavano gli ambiti della ricerca di base, quindi entrai all’Istituto di Patologia generale diretto da Luigi Califano, nonno dell’attuale Presidente della Scuola di Medicina. Andando avanti mi appassionai ad altro, passando alla Psichiatria infantile. Nel ’78, il professor Gustavo Iacono mi chiese di passare dalla Neurologia alla Psicologia. Accolsi subito la sua proposta perché pensavo fosse l’ambito disciplinare che più mi interessava”.
Abbiamo già individuato il suo Maestro?
“Gustavo Iacono è la prima persona che per me ha incarnato il ‘Maestro’ come uomo e scienziato. Ha segnato una svolta nella mia vita, tanto da convincermi a fare un salto nel vuoto. Passare da Medicina a Psicologia era atipico”.
Si è mai pentito?
“Mai! È stato vitalizzante. Quel salto mi ha permesso di realizzarmi come persona e come esperto di alcuni settori della mia attività scientifica. Ai giovani dico: ‘mai fermarsi’. Se c’è un sogno nel cassetto va portato avanti”.
Dagli anni ’70 arriviamo al 2018. Ottobre è stato l’ultimo mese da professore universitario.
“Cambia tutto, ma se hai voglia di lavorare non cambia niente. L’unica differenza è che prima ero un docente, oggi sono un pensionato. Nel frattempo in questo mese ho avuto due belle soddisfazioni. Ho partecipato alla mia ultima seduta di laurea come coordinatore di una tesi sul transessualismo, tema a cui tengo molto, e ho vinto il secondo premio alla Biennale di arte contemporanea di Salerno con un’opera nell’ambito della ecosostenibilità. Mi fa anche piacere che è stata prevista una mia relazione al Convegno mondiale sulla trasformazione educativa ospitato dalla Federico II”.
Cosa le mancherà di più dell’Università?
“Gli studenti e il ruolo svolto come psicologo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria. Però sono certo che tutti i semi piantati cresceranno. C’è un gruppo di giovani che mi considera un punto di riferimento e con i quali andrà avanti la lotta alle discriminazioni. Forse l’unica cosa che mi fa piacere è l’essere un po’ più libero per andare a farmi un viaggio”.
Per andare dove?
“Tornerei in India, un luogo che ho scoperto da studente di Medicina. È un Paese fatto di misticismo e spiritualità. Ci sono stato un mese e mezzo, poi sono tornato per l’esame di Anatomia Patologica. Ai giovani dico: ‘andate’. È un modo per vivere lontani da codici culturali, stereotipi e giudizi”.
Quelli combattuti finora da Sinapsi. Cosa accadrà adesso che lei va in pensione?
“Sinapsi ha docenti e collaboratori che hanno l’inclusione come motto fondamentale per offrire a tutti pari opportunità. Non mi piace la parola portatore di handicap. Nessuno porta un handicap. L’handicap lo costruisce il contesto. Spero che Sinapsi prosegua sempre ad abbattere barriere architettoniche e culturali per garantire a tutti gli studenti pari opportunità”.
Ciro Baldini
Professore, nel ’72 si laurea in Medicina con uno studio sui tumori. Poi il passaggio a malattie nervose e mentali. Come mai?
“C’è un filo rosso che accomuna mondi apparentemente distanti. Da studente di Medicina mi interessavano gli ambiti della ricerca di base, quindi entrai all’Istituto di Patologia generale diretto da Luigi Califano, nonno dell’attuale Presidente della Scuola di Medicina. Andando avanti mi appassionai ad altro, passando alla Psichiatria infantile. Nel ’78, il professor Gustavo Iacono mi chiese di passare dalla Neurologia alla Psicologia. Accolsi subito la sua proposta perché pensavo fosse l’ambito disciplinare che più mi interessava”.
Abbiamo già individuato il suo Maestro?
“Gustavo Iacono è la prima persona che per me ha incarnato il ‘Maestro’ come uomo e scienziato. Ha segnato una svolta nella mia vita, tanto da convincermi a fare un salto nel vuoto. Passare da Medicina a Psicologia era atipico”.
Si è mai pentito?
“Mai! È stato vitalizzante. Quel salto mi ha permesso di realizzarmi come persona e come esperto di alcuni settori della mia attività scientifica. Ai giovani dico: ‘mai fermarsi’. Se c’è un sogno nel cassetto va portato avanti”.
Dagli anni ’70 arriviamo al 2018. Ottobre è stato l’ultimo mese da professore universitario.
“Cambia tutto, ma se hai voglia di lavorare non cambia niente. L’unica differenza è che prima ero un docente, oggi sono un pensionato. Nel frattempo in questo mese ho avuto due belle soddisfazioni. Ho partecipato alla mia ultima seduta di laurea come coordinatore di una tesi sul transessualismo, tema a cui tengo molto, e ho vinto il secondo premio alla Biennale di arte contemporanea di Salerno con un’opera nell’ambito della ecosostenibilità. Mi fa anche piacere che è stata prevista una mia relazione al Convegno mondiale sulla trasformazione educativa ospitato dalla Federico II”.
Cosa le mancherà di più dell’Università?
“Gli studenti e il ruolo svolto come psicologo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria. Però sono certo che tutti i semi piantati cresceranno. C’è un gruppo di giovani che mi considera un punto di riferimento e con i quali andrà avanti la lotta alle discriminazioni. Forse l’unica cosa che mi fa piacere è l’essere un po’ più libero per andare a farmi un viaggio”.
Per andare dove?
“Tornerei in India, un luogo che ho scoperto da studente di Medicina. È un Paese fatto di misticismo e spiritualità. Ci sono stato un mese e mezzo, poi sono tornato per l’esame di Anatomia Patologica. Ai giovani dico: ‘andate’. È un modo per vivere lontani da codici culturali, stereotipi e giudizi”.
Quelli combattuti finora da Sinapsi. Cosa accadrà adesso che lei va in pensione?
“Sinapsi ha docenti e collaboratori che hanno l’inclusione come motto fondamentale per offrire a tutti pari opportunità. Non mi piace la parola portatore di handicap. Nessuno porta un handicap. L’handicap lo costruisce il contesto. Spero che Sinapsi prosegua sempre ad abbattere barriere architettoniche e culturali per garantire a tutti gli studenti pari opportunità”.
Ciro Baldini