(continua dalla prima pagina)
Riguardo ai contenuti del DDL non mi soffermo sui temi del reclutamento già affrontato dal Collega Mayol, condividendo le sue valutazioni. Mi soffermerò solamente sugli interventi previsti in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario, riservandomi eventualmente di intervenire successivamente su altri numerosi aspetti della riforma. In astratto è sicuramente condivisibile l’opzione della qualità. La scelta però di perseguire la qualità senza investimenti produce effetti concreti di segno opposto a quelli preventivati. Ciò a maggior ragione in un sistema drammaticamente sottofinanziato quale il sistema universitario italiano. Molti Atenei, in conseguenza dei tagli finanziari già previsti dalle norme in vigore, rischiano di non potere coprire le spese ordinarie insopprimibili. Il DDL Gelmini prevede che tutti gli interventi in materia di qualità siano realizzati a carico dell’attuale FFO, già drammaticamente tagliato. Sono così previsti ben sette prelievi dalle scarse risorse destinate alle spese di funzionamento ordinario per incentivare comportamenti “virtuosi” degli Atenei. Le conseguenze potrebbero essere devastanti in particolare per le università meridionali, amplificando gli effetti già palesati quest’anno con l’erogazione della fondo incentivante del 7%, da cui sono stati esclusi quasi tutti gli Atenei del Sud, penalizzati pertanto da una eguale decurtazione della loro quota di FFO. D’atra parte gli stessi Atenei che risulteranno “incentivati”, saranno costretti ad operare al di sotto degli standard finanziari internazionali per la limitatezza complessiva delle risorse destinate alle Università. Queste scelte, correlate con le restrizioni sul turnover e con l’irrigidimento dei requisiti minimi preannunciato nella nota 160 del MIUR sulla razionalizzazione dell’offerta formativa, sembrano delineare una prospettiva di contrazione drastica dei parametri dimensionali principali del sistema universitario (numero dei corsi di studio e organico docenti). Mi domando se la comunità accademica non debba contrastare una tale prospettiva, non per una difesa corporativa di sue prerogative ed interessi, ma per le conseguenze negative che il ridimensionamento dell’università potrà avere sulla competitività del Paese.
Per ciò che riguarda il modello di “governance” dell’Ateneo ritengo che esso debba essere funzionale al potenziamento della sua capacità di interagire proficuamente con la realtà territoriale assolvendo anche ad una funzione di soggetto attivamente promotore di innovazione e di sviluppo e di tramite, attraverso la sua internazionalizzazione, tra sviluppo locale e progresso scientifico e tecnologico globale. Le dimensioni del nostro Ateneo, in misura abnorme, maggiori degli standard dimensionali delle università europee e americane, possono essere di ostacolo. Negli ultimi anni, prima l’autonomia statutaria degli Atenei voluta da Ruberti, poi la legge sui Megatenei, hanno consentito la sperimentazione di un processo di decentramento istituzionale con la costituzione dei Poli, processo teso a ridurre le inevitabili inefficienze derivanti dal gigantismo del nostro Ateneo. Ritengo che i risultati ottenuti sono solo parzialmente soddisfacenti e che avrebbero potuto essere più incisivi se si fosse strutturato l’Ateneo come Federazione di Poli autonomi, con una struttura di governo strategico centrale snella ed autorevole. Condivido pertanto la proposta del Collega Mayol di un Ateneo federato in grandi scuole, dotate di una forte autonomia gestionale e regolamentare, accentuando quindi in misura rilevante rispetto all’attuale articolazione in Poli il decentramento di funzioni dal centro alla periferia. Istituzione di grandi Dipartimenti a cui demandare la programmazione della didattica e della ricerca. Poche Scuole con grande autonomia gestionale. Eliminazione delle Facoltà e dei Poli nell’attuale articolazione. É da considerare a tal fine però che l’attuale stesura del DDL Gelmini (art. 2) attribuisce alle Scuole soltanto competenze in materia di coordinamento didattico e che pertanto esse non potrebbero essere dotate di alcuna forma di autonomia gestionale. L’applicazione dell’articolo 2 del DDL dovrebbe portare infatti ad una configurazione dell’Ateneo fondata oltre che sulla struttura centrale, soltanto su dipartimenti sicuramente potenziati, rispetto alla situazione attuale, e sulle scuole con funzioni di coordinamento didattico. Una tale scelta costituirebbe però, nella realtà del nostro Ateneo, un inaccettabile ritorno ad un modello marcatamente centralistico. L’unica via praticabile, per non tornare indietro ed andare avanti nel processo di decentramento, è quella di realizzare la sperimentazione, prevista dallo stesso articolo 1 del DDL Gelmini, di “modelli organizzativi e funzionali sulla base di specifici accordi di programma” con il MIUR. D’altra parte l’attuale articolazione in Poli deriva dall’accordo di programma stipulato sulla base della legge sui Megatenei, legge di cui l’attuale stesura del DDL non prevede l’abrogazione.
Riguardo ai contenuti del DDL non mi soffermo sui temi del reclutamento già affrontato dal Collega Mayol, condividendo le sue valutazioni. Mi soffermerò solamente sugli interventi previsti in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario, riservandomi eventualmente di intervenire successivamente su altri numerosi aspetti della riforma. In astratto è sicuramente condivisibile l’opzione della qualità. La scelta però di perseguire la qualità senza investimenti produce effetti concreti di segno opposto a quelli preventivati. Ciò a maggior ragione in un sistema drammaticamente sottofinanziato quale il sistema universitario italiano. Molti Atenei, in conseguenza dei tagli finanziari già previsti dalle norme in vigore, rischiano di non potere coprire le spese ordinarie insopprimibili. Il DDL Gelmini prevede che tutti gli interventi in materia di qualità siano realizzati a carico dell’attuale FFO, già drammaticamente tagliato. Sono così previsti ben sette prelievi dalle scarse risorse destinate alle spese di funzionamento ordinario per incentivare comportamenti “virtuosi” degli Atenei. Le conseguenze potrebbero essere devastanti in particolare per le università meridionali, amplificando gli effetti già palesati quest’anno con l’erogazione della fondo incentivante del 7%, da cui sono stati esclusi quasi tutti gli Atenei del Sud, penalizzati pertanto da una eguale decurtazione della loro quota di FFO. D’atra parte gli stessi Atenei che risulteranno “incentivati”, saranno costretti ad operare al di sotto degli standard finanziari internazionali per la limitatezza complessiva delle risorse destinate alle Università. Queste scelte, correlate con le restrizioni sul turnover e con l’irrigidimento dei requisiti minimi preannunciato nella nota 160 del MIUR sulla razionalizzazione dell’offerta formativa, sembrano delineare una prospettiva di contrazione drastica dei parametri dimensionali principali del sistema universitario (numero dei corsi di studio e organico docenti). Mi domando se la comunità accademica non debba contrastare una tale prospettiva, non per una difesa corporativa di sue prerogative ed interessi, ma per le conseguenze negative che il ridimensionamento dell’università potrà avere sulla competitività del Paese.
Per ciò che riguarda il modello di “governance” dell’Ateneo ritengo che esso debba essere funzionale al potenziamento della sua capacità di interagire proficuamente con la realtà territoriale assolvendo anche ad una funzione di soggetto attivamente promotore di innovazione e di sviluppo e di tramite, attraverso la sua internazionalizzazione, tra sviluppo locale e progresso scientifico e tecnologico globale. Le dimensioni del nostro Ateneo, in misura abnorme, maggiori degli standard dimensionali delle università europee e americane, possono essere di ostacolo. Negli ultimi anni, prima l’autonomia statutaria degli Atenei voluta da Ruberti, poi la legge sui Megatenei, hanno consentito la sperimentazione di un processo di decentramento istituzionale con la costituzione dei Poli, processo teso a ridurre le inevitabili inefficienze derivanti dal gigantismo del nostro Ateneo. Ritengo che i risultati ottenuti sono solo parzialmente soddisfacenti e che avrebbero potuto essere più incisivi se si fosse strutturato l’Ateneo come Federazione di Poli autonomi, con una struttura di governo strategico centrale snella ed autorevole. Condivido pertanto la proposta del Collega Mayol di un Ateneo federato in grandi scuole, dotate di una forte autonomia gestionale e regolamentare, accentuando quindi in misura rilevante rispetto all’attuale articolazione in Poli il decentramento di funzioni dal centro alla periferia. Istituzione di grandi Dipartimenti a cui demandare la programmazione della didattica e della ricerca. Poche Scuole con grande autonomia gestionale. Eliminazione delle Facoltà e dei Poli nell’attuale articolazione. É da considerare a tal fine però che l’attuale stesura del DDL Gelmini (art. 2) attribuisce alle Scuole soltanto competenze in materia di coordinamento didattico e che pertanto esse non potrebbero essere dotate di alcuna forma di autonomia gestionale. L’applicazione dell’articolo 2 del DDL dovrebbe portare infatti ad una configurazione dell’Ateneo fondata oltre che sulla struttura centrale, soltanto su dipartimenti sicuramente potenziati, rispetto alla situazione attuale, e sulle scuole con funzioni di coordinamento didattico. Una tale scelta costituirebbe però, nella realtà del nostro Ateneo, un inaccettabile ritorno ad un modello marcatamente centralistico. L’unica via praticabile, per non tornare indietro ed andare avanti nel processo di decentramento, è quella di realizzare la sperimentazione, prevista dallo stesso articolo 1 del DDL Gelmini, di “modelli organizzativi e funzionali sulla base di specifici accordi di programma” con il MIUR. D’altra parte l’attuale articolazione in Poli deriva dall’accordo di programma stipulato sulla base della legge sui Megatenei, legge di cui l’attuale stesura del DDL non prevede l’abrogazione.
Prof. Ing. Massimo D’Apuzzo
Presidente del Polo delle Scienze e delle Tecnologie
Università degli Studi di Napoli Federico II
Presidente del Polo delle Scienze e delle Tecnologie
Università degli Studi di Napoli Federico II