Collusione fra economia e criminalità organizzata. Se ne è parlato il 12 ottobre a Monte Sant’Angelo, nell’ambito del corso di Economia e Gestione, rivolto agli studenti del secondo anno di Economia e Commercio, tenuto dal prof. Riccardo Vona. In cattedra per un giorno il Sostituto Procuratore Distrettuale Antimafia di Napoli Giovanni Conzo. “Il contatto con i magistrati ci consente di scoprire mondi incredibili”, dice nel suo intervento di saluto il Rettore Massimo Marrelli. “Il taglio di questa chiacchierata sarà tecnico. Noi ci occupiamo di imprese ed il fenomeno economico legato al contrasto dell’economia illegale è estremamente complesso”, spiega in apertura il prof. Vona preannunciando un ciclo di seminari. Poi lascia alla visione di un breve filmato promosso dal Movimento Agende Rosse sulla trattativa Stato-Mafia a vent’anni dalle stragi nelle quali persero la vita i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e le loro scorte. “Il Movimento si chiama così per il colore dell’agenda che Borsellino portava sempre con sé, sparita dopo la strage”, sottolinea il magistrato, impegnato in prima fila nella lotta al clan dei Casalesi, prima di cominciare il suo intervento. “Come le intercettazioni hanno dimostrato, lo scopo delle organizzazioni criminali è fare soldi mediante assoggettamento ed omertà, estorcendo tangenti agli imprenditori che spesso preferiscono andare a processo per favoreggiamento, rischiando di perdere l’impresa piuttosto che collaborare con lo Stato”. La camorra, prosegue il giudice, aspira ad amministrare il territorio, mediante il controllo delle attività di produzione e distribuzione di beni e servizi che si esplica attraverso tre diversi modelli di azienda criminale. Il primo, quello predatorio, incarna l’industria della tranquillità che assicura protezione o presta denaro a tassi usurai a piccole e medie imprese respinte dalle banche. Il modello parassitario si basa sulla gestione delle aziende legate al gioco d’azzardo, alle scommesse, alla produzione di prodotti contraffatti (vestiti, prodotti elettronici…) e prosciuga il mercato legale perché nessuno può reggerne i costi. Al livello simbiotico, invece, corrisponde il completo scioglimento dell’impresa camorristica nel tessuto economico lecito. Fra gli esempi più diffusi: società di vigilanza, imprese di costruzioni, consorzi. Nella rete di questo sistema sociale ed economico, ci finiscono anche iscritti alle associazioni antiracket e i grossi imprenditori della Confindustria i quali accettano i soldi della camorra perché fanno comodo siglando un patto fra malavita, economia e politica: il controllo dei voti garantisce anche quello degli appalti.
“Voi che un giorno lavorerete in banca, diventerete consulenti d’impresa o manager, dovete starci vicini perché esiste una rete di professionisti che appoggia la camorra e amministratori che vanno avanti con difficoltà. Siate vicini allo Stato, pretendendo che distribuisca le risorse in maniera imparziale e giusta”, conclude il magistrato.
Il dibattito. Dalla platea le domande non si fanno attendere. È il prof. Vona a dare la stura al dibattito: “Come si fa a scoprire che un’azienda, magari di qualità, ha una matrice criminale?”. “È difficile tornare indietro?” (studente). “È difficile, perché i figli dei boss hanno tutti studiato nelle migliori università straniere, in Svizzera o negli Stati Uniti. Il nostro unico strumento sono i collaboratori di giustizia ma, per legge, affinché una testimonianza sia ritenuta valida, occorrono più dichiarazioni e ci sono cose delle quali sono a conoscenza solo i capi o le persone ai più alti livelli. Servirebbe una riforma giudiziaria che tenesse conto delle disparità fra i beni dichiarati e quelli realmente posseduti. In Italia, a differenza di quanto accada all’estero, l’autoriciclaggio, ovvero il riciclo dei propri beni da parte del mafioso, non è reato. Questi sono problemi che ci tarpano le ali”, risponde Conzo.
“Ci sono posti, come il mio paese, in cui la percezione della corruzione è ovunque, ed ogni famiglia, come lo Stato, è dovuta scendere a compromessi. Inoltre, il controllo fiscale dello Stato non dà spiragli, si potrà risolvere tutto questo in poche generazioni?” (studente di Sant’Antimo). “Le imprese straniere non investono perché la camorra vuole imporre, anche alle società internazionali, i propri metodi. Un imprenditore onesto, però, non ha paura di dire come ha fatto i soldi”.
“Si parla di lotta all’Antistato, di cittadini che dovrebbero riacquistare fiducia nello Stato. Come si fa quando si scopre che una sua parte considerevole è collusa con la criminalità e la sostiene?” (studentessa). “Com’è possibile che le banche neghino i prestiti ad imprese oneste?” (studente). “Se non si investe perché c’è la camorra e tutti lo sanno, perché non si interviene? Quando ci sarà l’intervento dello Stato?” (studentessa). “Lo Stato siamo tutti noi, anche quando andiamo a votare. Falcone e Borsellino dicevano che la mafia, in quanto fenomeno umano, avrà una fine, ma io vedo quante cose restano ancora da fare. Abbiamo arrestato quasi tutti nel clan dei Casalesi, ma restano delle aree grigie, sulle quali è difficile intervenire a causa di una norma che ingombra. Infatti, il patto fra un politico e la mafia deve essere provato, anche se il semplice accordo è già un disvalore sociale. Stando così le cose, anche chi è assolto non dovrebbe amministrare i nostri beni”.
Simona Pasquale
“Voi che un giorno lavorerete in banca, diventerete consulenti d’impresa o manager, dovete starci vicini perché esiste una rete di professionisti che appoggia la camorra e amministratori che vanno avanti con difficoltà. Siate vicini allo Stato, pretendendo che distribuisca le risorse in maniera imparziale e giusta”, conclude il magistrato.
Il dibattito. Dalla platea le domande non si fanno attendere. È il prof. Vona a dare la stura al dibattito: “Come si fa a scoprire che un’azienda, magari di qualità, ha una matrice criminale?”. “È difficile tornare indietro?” (studente). “È difficile, perché i figli dei boss hanno tutti studiato nelle migliori università straniere, in Svizzera o negli Stati Uniti. Il nostro unico strumento sono i collaboratori di giustizia ma, per legge, affinché una testimonianza sia ritenuta valida, occorrono più dichiarazioni e ci sono cose delle quali sono a conoscenza solo i capi o le persone ai più alti livelli. Servirebbe una riforma giudiziaria che tenesse conto delle disparità fra i beni dichiarati e quelli realmente posseduti. In Italia, a differenza di quanto accada all’estero, l’autoriciclaggio, ovvero il riciclo dei propri beni da parte del mafioso, non è reato. Questi sono problemi che ci tarpano le ali”, risponde Conzo.
“Ci sono posti, come il mio paese, in cui la percezione della corruzione è ovunque, ed ogni famiglia, come lo Stato, è dovuta scendere a compromessi. Inoltre, il controllo fiscale dello Stato non dà spiragli, si potrà risolvere tutto questo in poche generazioni?” (studente di Sant’Antimo). “Le imprese straniere non investono perché la camorra vuole imporre, anche alle società internazionali, i propri metodi. Un imprenditore onesto, però, non ha paura di dire come ha fatto i soldi”.
“Si parla di lotta all’Antistato, di cittadini che dovrebbero riacquistare fiducia nello Stato. Come si fa quando si scopre che una sua parte considerevole è collusa con la criminalità e la sostiene?” (studentessa). “Com’è possibile che le banche neghino i prestiti ad imprese oneste?” (studente). “Se non si investe perché c’è la camorra e tutti lo sanno, perché non si interviene? Quando ci sarà l’intervento dello Stato?” (studentessa). “Lo Stato siamo tutti noi, anche quando andiamo a votare. Falcone e Borsellino dicevano che la mafia, in quanto fenomeno umano, avrà una fine, ma io vedo quante cose restano ancora da fare. Abbiamo arrestato quasi tutti nel clan dei Casalesi, ma restano delle aree grigie, sulle quali è difficile intervenire a causa di una norma che ingombra. Infatti, il patto fra un politico e la mafia deve essere provato, anche se il semplice accordo è già un disvalore sociale. Stando così le cose, anche chi è assolto non dovrebbe amministrare i nostri beni”.
Simona Pasquale