Esordio per l’ADE sulla centralità del paziente

Cogliere e interpretare il non detto. Ascoltare con attenzione il malato per non incorrere nell’errore di trattarlo come un’equazione matematica da risolvere seguendo regole applicate passo dopo passo. “La centralità del paziente in medicina: competenze comunicative e relazionali del medico” è il titolo dell’ADE, rivolta agli studenti di Medicina, che punta a unire l’empatia alla tecnica, a riportare nel presente quell’immagine antica di medico che tiene il polso al paziente, perché in quel gesto “c’era un atto terapeutico. Era un modo per entrare in una profonda connessione emotiva. È quello che permette di ascoltare e che invita il paziente ad abbattere le difese e a tradurre in parole indizi, segni e sintomi che potrebbero restare nell’ombra”. 
Il 10 maggio la prima lezione di un progetto curato dal prof. Nelson Mauro Maldonato, docente di Psicologia clinica, dalla prof.ssa Maria Francesca Freda (docente di Psicologia clinica al Dipartimento di Studi Umanistici) e dal prof. Roberto Vitelli. È rivolta a massimo 25 studenti. Aver sostenuto l’esame di Psicologia clinica l’unico prerequisito per iscriversi: “con medicina centrata sul paziente si intende la capacità di ascolto, la pazienza di concentrarsi sulle sue esigenze più profonde. Immaginiamo un neuropsichiatra infantile che non riesce a cogliere i segnali che il bambino lancia attraverso il corpo. Come sarà la visita? Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. Quattro gli incontri in calendario. Concetti di Psicologia della comunicazione clinica e di medical decision making alcuni dei temi affrontati in aula. Agli aspetti teorici si affiancheranno delle simulazioni: “ci metteremo in gioco in una sorta di scena aperta dove ognuno restituisce all’altro la propria percezione di cosa vuol dire vivere la condizione di paziente”. Una condizione che, tra imprescindibili abilità tecniche, costituirà la quotidianità di tutti gli aspiranti medici: “gli studenti che si trovano di fronte a un percorso medico orientato verso un sapere tecnico spesso dimenticano di avere a che fare con gli aspetti psicologici e psicopatologici dei pazienti. A questo si dovrebbe porre rimedio”. Lo chiede un’epoca nella quale “l’idea di un’assistenza compassionevole che risponde ai bisogni del paziente sta sempre più cedendo il passo all’esigenza di restituirgli il ruolo centrale che per lungo tempo gli è stato negato. La relazione non è un ornamento che umanizza la medicina, ma rappresenta una risorsa formidabile per il miglioramento dei procedimenti di cura, dei modelli biomedici e delle metodologie”. Insomma, ascoltare è già un inizio di cura: “la competenza più grande, così come la più impietosa analisi dei fatti, non può mai essere dissociata dalla conoscenza delle regolarità psicologiche e della sensibilità dell’altro. La medicina è un’arte eccelsa, ma resterebbe povera se si limitasse a trattare tecnicamente gli uomini nel cono d’ombra della sofferenza. Penso che la capacità di mettersi in connessione profonda con i pazienti sia qualcosa di non ovvio, ma un destino da perseguire con intelligenza. L’ADE è uno dei modi per raggiungere questo obiettivo”.
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