Festa dell’Europa a Scienze Politiche

L’anniversario della storica dichiarazione di Schuman, che istituì nel 9 maggio 1950 una prima forma di comunità europea nell’acronimo CECA, è stata celebrata anche al Dipartimento di Scienze Politiche Jean Monnet della  Seconda Università con il contributo degli studenti dei laboratori di lingua araba, francese e spagnola e del Collettivo Teatrale Universitario che ha portato in scena ‘Il Clandestino’ di Patrizio Ranieri Ciu. Una Festa dell’Europa che è stata innanzitutto un tripudio di culture e colori diversi e poi una riflessione sull’attuale ed urgente sfida delle migrazioni, sulle frontiere e i muri, mentali prima che territoriali, sul diritto d’asilo, sui confini all’interno della comunità europea, questo fazzoletto di terra che diventa sempre più piccolo e diviso e che fatica ad immaginarsi grande così come in principio era stato concepito. “Il senso di questo evento – spiega il prof. Aldo Amirante, docente di Diritto Internazionale e moderatore del dibattito – sta nell’affrontare dal punto di vista scientifico, filosofico, giuridico ed emotivo la coralità delle tematiche legate alla Giornata dell’Europa”. In un grave contesto di diffusa disaffezione dei cittadini nei confronti del progetto europeo e di una generale schizofrenia, generata dall’emergenza, di cui sono preda gli Stati membri dell’UE. Ad inaugurare la celebrazione un dialogo in lingua francese, una lettura ‘de un noèl musulman di Anne’ di Rosine Delbart, che ha posto l’accento sulle frontiere di tipo religioso. La bambina musulmana protagonista desidera essere come gli altri suoi coetanei cristiani, la sua è una richiesta rivolta al papà di superare il muro della religione, che non è più vista come strumento di dialogo e incontro, perché attraverso essa ci si può capire di più. Il padre, dal suo canto, percepisce una frontiera nell’essere musulmano rispetto ai cristiani ma è una frontiera dettata dalla paura della diversità. “La questione delle migrazioni e delle frontiere è davanti a noi ogni giorno – sottolinea il prof. Gianmaria Piccinelli, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche – in questo contesto l’Europa si mostra incapace di reagire all’innalzamento dei muri di ferro, di filo spinato, anche nel formulare idee e strategie per il futuro che sono fondamentali per tracciare una strada unica da percorrere”. Il problema è che le frontiere nella nostra era sono qualcosa di estremamente liquido, sono frontiere mobili. “Basti pensare all’esternalizzazione della gestione dei flussi migratori di cui sono due gli effetti – precisa il prof. Piccinelli – il primo, più immediato, è quello di tener fuori gli emigranti e capire se hanno diritto o meno di entrare, il secondo, sulla base di accordi politici, commerciali, economici, finanziari, è rappresentato dai crimini che questi Stati commettono nei confronti degli esterni”. Ma le frontiere tra Oriente e Occidente sono anche culturali, ad esempio esiste un confine laddove cambia la direzione della scrittura, sono legate alla concezione del tempo (quello delle preghiere e quello meccanico) e, non da meno, sono etiche ed estetiche e, in particolare, riguardano lo status della donna e le questioni di genere che passano per il velo che le musulmane desiderano indossare. “Quello che noi oggi non riusciamo a capire e che ci preoccupa è il velo integrale – spiega il direttore di Dipartimento – ci chiediamo come può una donna occidentale decidere di indossarlo, chiudersi all’interno della sua frontiera dietro la quale la percezione del mondo esterno è totalmente differente. Noi lo colleghiamo a una questione di sicurezza ma è una interpretazione molto maschilistica a mio avviso. Se la riconoscibilità e il volto di una persona sono un elemento etico ed estetico fondamentale, è lì che dobbiamo lavorare: non strappando veli alle musulmane o intimando loro quale castigo ma semplicemente rimanendo coerenti con quei valori che riteniamo fondanti e fondamentali per la nostra cultura europea”. Una coerenza che convince ma che oggi manca, che può abbattere e superare tutte queste frontiere. Il reading dei ragazzi del laboratorio di arabo ha interessato una poesia simbolo dei musulmani nata dalla penna di Mahmud Darwish sulla necessità di esibire un documento
di identità per essere accettato o meno, qualcosa che ha a che fare con logiche prettamente occidentali. I confini europei, un tempo soltanto continentali ed insulari, oggi devono fare i conti con due tipi di fondamentalismi, religioso e, non meno pericoloso, dell’indifferenza e della meccanicità delle relazioni finanziarie. “In una situazione del genere, la vecchia concezione della politica segnata dai confini va in crisi perché contraddice lo spirito dell’Europa in due punti – suggerisce il prof. Giuseppe Limone, docente di Filosofia del Diritto del Dipartimento di Giurisprudenza – dal punto di vista esterno, non è l’Europa che dice di essere, e dal punto di vista interno l’Europa non riesce ad essere ciò che dice di essere. È nata una nuova strategia, il terrorismo fondato sul suicidio che mette in scacco qualsiasi discorso di confine e anche qualsiasi tecnica politica di attacco al nemico che è disposto già a morire”. Il nemico è interno – aggiunge il prof. Limone – è l’Europa stessa che ha prodotto il suo nemico, inculcando quei diritti umani e quel forte indizio di benessere di cui si è fatta portatrice: “Ha prodotto quello che io chiamo il nuovo Frainkstein, fatto di guerre coloniali e finanziarie che hanno distrutto tessuti esterni, creato compressioni di diritti e barriere”. Qual è la soluzione? L’Europa oggi si trova in una situazione completamente nuova per cui è necessario pensarla in termini planetari. Bisognerebbe che si formulasse un’idea, una politica, un’organizzazione dell’accoglienza come Europa di fronte ad una migrazione che è di tipo strutturale e non congiunturale. “L’Europa è peggiorata nell’ultimo anno, in conseguenza alla crisi siriana – spiega la prof.ssa Francesca Giordani, docente di Diritto internazionale del Dipartimento di Scienze Politiche – Solo nel mese di settembre sono state avanzate 60 mila richieste di asilo dai profughi siriani. La Commissione Europea ha elaborato proposte, sostenute dal nostro Stato, ma ognuno fa un po’ come crede in assenza di una linea comune, c’è chi chiude e chi apre le frontiere, producendo solo confusione”. Secondo i dati forniti dall’Onu i migranti nel mondo sfiorano la cifra di 250 milioni, tra cui 60 milioni di persone fuggono perché costrette, i cosiddetti migranti forzati (rifugiati, profughi che ne sono 20 milioni, sfollati interni che noi non vedremo mai e sono i più numerosi), di questi 3000 sono morti nel Mediterraneo solo nel 2015, nella tratta Siria-Italia. “Il diritto internazionale non detta obblighi
in materia di migrazioni – dice la prof.ssa Giordani – con la Convenzione di Ginevra, la Magna Carta, si definisce universalmente la figura del rifugiato ma ad oggi non c’è una norma vincolante in materia. Se gli Stati aprono le frontiere lo fanno solo per ragioni umanitarie”. E tra questi figurano sorprendentemente Turchia, Iraq, Libano, Giordania, Egitto che accolgono un numero maggiore di profughi siriani rispetto agli Stati dell’UE. Il salto di qualità giuridico è stato fatto nel 1999 con il Trattato di Amsterdam. “È quindi dai primi anni 2000 che l’UE ha competenza in materia. Nasce infatti l’idea di istituire un sistema comune sull’Asilo che poggia su un dato fondamentale: si applica a persone bisognose di protezione sussidiaria internazionale”. Sul dramma dei migranti mutilati che perdono dignità, salute e spesso la vita è incentrato il reportage di Oscar Martinez, ‘La Mordida de la Bestia’, di cui i ragazzi del laboratorio di spagnolo hanno letto uno stralcio.
Claudia Monaco
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