Franco Pepe, miglior pizzaiolo dell’anno, si racconta agli studenti

Una testimonianza ispirata all’amore per il lavoro e la propria terra al corso di Ragioneria ed Economia Aziendale del prof. Roberto Maglio. Protagonista, il 17 ottobre presso l’aula G4 di Monte Sant’Angelo, Franco Pepe, fondatore di Pepe in Grani, la pizzeria di Caiazzo (provincia di Caserta) premiata come migliore dell’anno, unico pizzaiolo tra gli Ambasciatori del Gusto, il programma del Ministero per le Politiche Agricole volto a promuovere il Made in Italy nel mondo. “Mio nonno ha iniziato a panificare negli anni ’30. In seguito, mio padre ha aperto la pizzeria nella quale ho lavorato anch’io – racconta l’ospite ai ragazzi che ascoltano attenti – Alla base di qualsiasi successo c’è la continuità lavorativa; la mia famiglia ha sempre panificato, senza mai saltare un anno o un mese”. Franco comincia a scrivere un nuovo capitolo della storia familiare nel 2011 quando, alla morte del padre, lascia l’attività condotta con i fratelli per rilevare uno stabile del Settecento e aprire un locale che deve la sua fama alla qualità dei prodotti e all’unicità di sapori che appartengono alla tradizione, continuamente rinnovata. “Non siamo in un luogo turistico, da noi le persone devono venirci di proposito e talvolta aspettare”. Concepisce un luogo innovativo, con la cucina aperta, sale riservate e delle camere, che ricorda le locande di una volta e capovolge la visione della pizza come alimento mordi e fuggi. La degustazione diventa un momento contemplativo, di riflessione, degno dei giorni festivi. Una proposta gastronomica costruita sulla formula alchemica tradizione-territorio-formazione con la trasformazione dei doni profumo, sapore e leggerezza in una leva economica che ha riportato giovani laureati sui terreni dei nonni, abbandonati dai genitori, con la voglia di recuperare antiche produzioni e avviare nuove aziende agricole diventate fonti occupazionali e presidio territoriale, grazie alla collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici, diretto da Antonio Limone, con il quale sono stati avviati il monitoraggio e la mappatura delle aree integre. Un’intuizione grazie alla quale tanti giovani vendono oggi in tutto il mondo, con ricette Franco Pepe, cipolle di Alife, pomodori selezionati da semi che risalgono all’Ottocento, il Grano Autonomia, coltivato durante la guerra e riscoperto dopo una ricerca di due anni, il Pomodoro Riccio dell’Alto Casertano, un formaggio conciato recuperato dalla ricetta del Cinquecento di una focaccia condita con pomodoro, basilico, pepe e sugna. “Ho iniziato con sette ragazzi in pizzeria, che oggi sono diventati trentaquattro e fanno esperienze anche in Franciacorta e a Ginevra. Andare in giro per l’Italia negli anni degli scandali della Terra dei Fuochi e della mozzarella contaminata dicendo ‘vengo dall’Alto Casertano’ è stato un un percorso in salita, una scommessa sul mio territorio”. Una scommessa vinta da cui è nata una ‘valigia del territorio’, un bagaglio non per un viaggio di emigrazione, ma di ritorno, un dialogo con i sapori di un paese di 5.500 abitanti e una comunità di lavoro che riscuote consensi ovunque. “Con cinque chilometri quadrati ho fatto la pizza, non credo che in Italia esista un territorio con altrettanta ricchezza così concentrata. Il nostro saper fare, il saper fare di ciascuno di noi è molto importante, dobbiamo crederci. È questo il mio messaggio per voi”. Tra i più recenti primati, il premio Gambero Rosso per una pizza con la confettura di albicocche del Vesuvio; il primo assegnato dalla prestigiosa società a una pizza dolce. Dialogare con i sapori significa, nella visione di Franco Pepe, fare Economia. Un processo virtuoso che può andare avanti solo con la continuità delle idee e l’evoluzione da artigiano a imprenditore e da prodotto buono a ‘sano’, per la quale il pizzaiolo moderno deve dotarsi di nuove competenze. Un punto sul quale Pepe, laureato all’ISEF e per molti anni organizzatore di eventi sportivi, non ha dubbi: “serve una scuola di formazione per pizzaioli di alto profilo. Io sono pizzaiolo, ma non è scritto da nessuna parte. Oggi ci sono tanti aspetti di cui tenere conto, anche tecnologici, perché i forni elettrici di ultima generazione sostituiscono perfettamente il forno a legna e ci hanno permesso di portare la pizza in luoghi inimmaginabili, come il Louvre o l’Hotel Cristallo di Cortina”. 
Simona Pasquale
Le domande 
degli studenti
“Quanto grava in Italia la pressione fiscale?”. “Molto, circa il 40-45% dei ricavi perché si deve avere tutto in regola. Funziona ma occorrono sempre nuove idee e  continuità lavorativa, non ci possono essere periodi in cui non si guadagna”. 
“Perché non ha aperto altri punti vendita?”. “Come pizzaiolo, non voglio essere una lavatrice di soldi, con un nome ma senza più il prodotto. Uno dei nodi è la formazione: voglio che le persone trovino la mia filosofia di pizza anche quando non ci sono. Il mio pallino è dar vita ad una scuola professionale del pizzaiolo con competenze tecnico-scientifiche, non i diplomi che si prendono in venti giorni. Da me, prima di arrivare all’impasto, un ragazzo deve fare un percorso di un anno”.
“I terreni da cui vengono i prodotti sono stati bonificati?”. “Sono tutti controllati, li conoscevo e sapevo che erano fertili e sani. In più abbiamo fatto in modo che le aziende agricole avessero una garanzia per i prodotti coltivati su quei terreni”. 
“Fa Pubblicità?”. “La pubblicità è la mia pizza, ho avuto un consulente di grafica per la scelta del nome, ma ho fatto un cammino tutto in crescendo, ascoltando solo il cliente”. 
“La cucina aperta dà al punto vendita trasparenza. È un caso di innovazione di prodotto con sperimentazioni che si cominciano a vedere anche a Napoli”, sottolinea il prof. Maglio nel suo intervento. “La mia formazione è iniziata nel laboratorio di mio padre che era un buco. Volevo che la mia cucina fosse aperta, è fondamentale il contatto con il cliente, mostrare la preparazione, la manipolazione delle materie prime, avere la consulenza di un sommelier. Io voglio emozionare il palato, accontentare i clienti affinché ritornino. Oggi l’alta cucina ha subito una crisi che l’ha costretta a dialogare con la pizza ed ha sviluppato per essa un interesse che dieci anni fa non c’era”.
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