Giudici e avvocati, un rapporto da costruire

Quale dovrebbe essere il giusto ruolo di un giudice e quanto è importante che si instauri un buon rapporto tra questi e l’avvocato, nel corso di un processo? Sulla base di questi interrogativi, conditi da una serie di aneddoti pieni di sottile ironia, ha preso forma l’Elogio dei Giudici scritto da un avvocato, il libro di Piero Calamandrei, che ha inaugurato la sezione ‘Letteratura’ all’interno della rassegna ‘Cinema Letteratura e Diritto’. A proporne la lettura agli studenti della Facoltà di Giurisprudenza: un avvocato, Vincenzo Siniscalchi, e un giudice, Livio Pepino. Il magistrato Linda D’Ancona ha introdotto la discussione, attraverso il racconto di una sua personale vicenda. “Questo libro mi è stato regalato all’inizio della mia carriera in magistratura”, ha rivelato alla platea di studenti e docenti, intervenuti il 16 novembre presso la Sala degli Angeli. Poi ha offerto degli spunti per un approccio, affinché gli studenti si rendano conto da subito quanto sia necessaria una giusta dose di impermeabilità da parte del giudice nei confronti dell’imputato e dei rapporti tra la magistratura e altri organismi, ad esempio la politica. “Calamandrei è considerato uno dei padri fondatori ed è a tutt’oggi un punto di riferimento importante anche per chi come me svolge questa professione da tanti anni”.
Il Preside della Facoltà di Giurisprudenza, prof. Franco Fichera, ha sottolineato: “la nostra rassegna ospita una conferenza come questa perché venga data agli studenti la possibilità di confrontarsi con i tanti e differenti aspetti del mondo giuridico, alla luce di un’opera letteraria di immenso valore”. 
“Il testo al quale ci riferiamo è stato scritto durante gli anni della dittatura ma è di un’attualità sorprendente per le regole comportamentali che suggerisce – ha detto l’avv. Siniscalchi rivolgendosi direttamente ai ragazzi presenti (“volti svegli e per niente rintontiti dai programmi televisivi”) – Specialmente in un periodo in cui assistiamo al dilagare di salotti televisivi, all’interno dei quali si vedono solo dei ‘declamatori di parole’ e alle inutili discussioni sulla separazione delle carriere. Questo testo è diretto e contiene numerosi elementi di socialità, che gli rendono un importante merito: leggendolo nessuno si sente escluso dalla possibilità di accedere a questa sorta di missione, che è il nostro mestiere”.
I relatori hanno letto alcuni dei brani del testo, considerati tra i più significativi. Secondo il giudice Pepino: “Ci sono dei passaggi narrativi che con una buona sceneggiatura consentirebbero di realizzare una brillante commedia all’italiana. Leggendo capitoli come quello sull’immobilità di alcuni giudici durante un’udienza, mi viene da pensare a dei divertenti sketch del grande Totò. Il modo in cui i giudici vengono descritti è assolutamente dissacrante e l’elogio contenuto nel titolo è in realtà un desiderio di come debba comportarsi un buon giudice”.
La conferenza è stata seguita da studenti della Facoltà di Giurisprudenza, ma anche da alcuni ragazzi delle scuole superiori. Un pubblico abbastanza eterogeneo. Se i laureandi considerano il seminario un modo per iniziare ad affacciarsi con occhio critico alla futura professione, gli allievi del primo anno si sentono un po’ spaesati. Chiara, Giulia e Maria alla fine della conferenza si lamentano perché “il foglio delle presenze non passa e ancora una volta siamo costrette a tornare a casa tardissimo”. Due di loro vengono da Salerno e, sebbene si sentano molto più fortunate rispetto a colleghi che si sono iscritti presso l’Ateneo di Fisciano o alla Federico II seguendo stipati in aule da oltre mille persone, borbottano per la mancanza di tempo da dedicare allo studio. “E’ importante essere seguiti dai professori e poiché siamo meno di 150 a lezione la cosa diventa più fattibile. D’altra parte, con tutte queste attività extra (che danno diritto a soli 4 crediti per la frequenza all’intero ciclo) gli unici giorni per metterci a studiare sono nel fine settimana”. Mario, all’ultimo anno di Giurisprudenza, sta già lavorando come giornalista presso una televisione locale e probabilmente seguirà questa strada, piuttosto che quella dell’avvocatura o della magistratura, “tuttavia – ha detto – trovo che questi momenti rappresentino un importante arricchimento culturale e personale, al di là della professione che ognuno sceglierà dopo la Laurea”.
Anna Maria Possidente
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