I pizzaioli storici in cattedra: una lezione di gusto ad Economia

Un seminario innovativo, dal sapore antico e delizioso. Promosso dalla cattedra di Economia e Gestione della prof.ssa Cristina Mele e moderato dal docente a contratto Marco Palmieri, si è svolto martedì 21 novembre, presso l’Aula A2 di Monte Sant’Angelo, il seminario, in collaborazione con l’Unione delle Pizzerie Storiche Napoletane ‘Le Centenarie’, i dieci locali storici consorziatisi circa un anno fa, per rafforzare il richiamo di una tradizione, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. “Questo disco di acqua e farina, grazie al quale tutto il mondo ci conosce e ci invidia, è diventato il nostro biglietto da visita”, dice Salvatore Grasso, titolare della Pizzeria Gorizia, leggendo il messaggio di Antonio Starita, il Presidente dell’Unione, che non ha potuto prendere parte all’evento. Un excursus storico che inizia con l’apertura, nel 1738, di quella che oggi è l’Antica Pizzeria Port’Alba. “Un laboratorio, un forno e un banco, dove venivano gli ambulanti a ritirare un prodotto molto diverso da come lo conosciamo, con pecorino, sugna, basilico e piccoli pesci come alici e cicinielli. Non c’era ancora il pomodoro, portato dagli spagnoli”, dice Gennaro Luciano. Nel 1830 l’attività viene rifondata, diventando la prima pizzeria al mondo, con tavoli e sedie. È in questo periodo che la cultura napoletana comincia ad essere associata alla pizza, diventata ormai rossa e con la mozzarella, anche se non ancora battezzata ‘Margherita’ e la Pizzeria diventa un luogo di ritrovo per artisti e scrittori. Si racconta che a Port’Alba Gabriele D’Annunzio, vincendo una scommessa con Ferdinando Russo, abbia scritto il testo della canzone ‘A vucchella. Durante l’Ottocento, nascono altre cinque pizzerie aderenti all’Unione, le successive nei primi del Novecento. Con questo tipo di locale, si afferma lo street-food napoletano. “Concepito come un mestiere per sfamare i poveri, il pizzaiolo al principio viene lasciato ai margini; non ha nemmeno un nome, viene definito ‘bottegaio’”, racconta Gianni Capasso, erede della famiglia Capasso-Lieto, proprietaria dal 1847 della Pizzeria Capasso a Porta San Gennaro. Nonostante l’ostilità, questo mondo si comporta come un’aristocrazia, e il termine dinastia ritorna più volte negli interventi; i pizzaioli si sposano fra loro, tramandano il mestiere ai figli e mantengono l’attività in famiglia, tanto che oggi molti sono imparentati fra loro. “Dopo l’Unità d’Italia, molto negativa per noi, due grandi interventi hanno segnato la città: la colmata a mare che ha separato Santa Lucia dal mare e lo sventramento passato alla storia come Risanamento. Questa nuova urbanizzazione ha costretto molte pizzerie a trasferirsi. Mio nonno Umberto possedeva un casale a Posillipo e decise di venire a Chiaia. Il nostro locale aprì in Via degli Alabardieri, dove un tempo c’erano i soldati del Re. La prima licenza era come bottiglieria, si preparavano colazioni, cibo da strada per chi non aveva la cucina in casa. Le nostre aziende si fondano sul valore della famiglia – interviene Massimo Di Porzio della Pizzeria Umberto 1916 – Nel 1910 a Napoli, quindi nel mondo, c’erano centodieci pizzerie, oggi solo in Italia ce ne sono trentamila; un comparto che rappresenta un vero fiore all’occhiello. Napoli è la città più bella del mondo e noi abbiamo scelto di restare e proseguire questa storia. Fatelo anche voi”. Antonio Pace, del ristorante Ciro a Santa Brigida, parla della Guerra: “fino al 1914 c’erano sette famiglie di pizzaioli, ma non c’era competizione. Il 17 gennaio si faceva solo mezza giornata e si andava tutti insieme a festeggiare Sant’Antonio patrono del fuoco. La strada elegante era Via Duomo, il centro storico era il cuore della città. Mia nonna capì che, con gli interventi urbanistici, l’epicentro si andava spostando verso l’allora malfamata Via Toledo. Ci spostammo e diventammo uno dei primi ristoranti, con la pizzeria”. Nonostante fosse un prodotto snobbato dalle classi borghesi, durante l’ultimo conflitto fu fondato a Napoli, su iniziativa dei pizzaioli per sopperire alla carenza di farina bianca, la Federazione dei Pubblici Esercizi, poi spostata a Roma e in seguito diventata Confcommercio. “Dalla pizza è nato tanto Marketing moderno – sottolinea il signor Pace – Oggi dobbiamo superare la Terza Guerra Mondiale, quella economica, la più pesante”. La pizza è un prodotto semplice, economico, in grado di sfamare i poveri con un formato ‘a ruota di carretta’, per tutta la famiglia e i nobili decaduti, con la versione ‘scostumata’, come ricorda Lello Surace, proprietario della Pizzeria Mattozzi 1833, di Piazza Carità. Salvatore Antonio Grasso è il proprietario della Pizzeria Gorizia, fondata nel 1916 al Vomero, che ha inventato la ‘colazione alla forchetta’, quattro contorni da abbinare alle classiche Margherita, Marinara e Ripieno e la pizza ai carciofi, ordinata per la prima volta dal Principe de Curtis in persona: “il Boom Economico ci ha portato ad allargare gli orizzonti e mio nonno aprì altre sedi”. Giorgio Moffa, figlio dei proprietari della Pizzeria Trianon di Via Pietro Colletta, condivide con la platea le scelte di rottura con la tradizione tra gli anni ’70-’80: “all’epoca il quartiere Chiaia era il ritrovo dei giovani. Io e mio fratello decidemmo, contro il volere dei nostri genitori, di aprire un nostro ristorante tra Piazza Amedeo e Parco Margherita, che avrebbe servito anche i piatti della cucina napoletana. Siamo stati degli apripista, senza saperlo ci siamo comportati come dei manager e siamo stati premiati”. La crisi dei primi anni Duemila ha fatto da spartiacque in questo come in tanti settori. Enrico e Carlo Alberto Lombardi, giovani eredi dell’omonima azienda, hanno iniziato il proprio percorso all’inizio della crisi finanziaria: “un momento nero, le famiglie non mangiavano, si stavano perdendo le tradizioni e non si usciva più per andare a cena fuori. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo iniziato a migliorare il prodotto, il servizio, l’accoglienza, intervenendo sui costi di gestione senza lasciare più nulla al caso”. Il passaggio successivo è andare lontano portando il prodotto in posti nuovi, come dice Alessandro Condurro dell’Antica Pizzeria da Michele: “abbiamo creato un marchio da esportare e oggi abbiamo locali in Giappone, Regno Unito, Spagna, dove proporre una vera e completa esperienza napoletana”.
Simona Pasquale
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