“Il male di vivere” degli studenti di Giurisprudenza

A Giurisprudenza la parola ‘disagio’ crea scompiglio. Riecheggia nei corridoi affollati, trova sinonimi tra i banchi delle aule. Come un elastico si protende in vari territori per poi tornare indietro, come un unico filo conduttore che accomuna tutti gli studenti. Il disagio c’è e si sente, ma non si può identificare in un ambito preciso. Ogni studente lo avverte a suo modo. E’ per questo motivo che alla domanda “Quale problema o disagio si vive maggiormente in Facoltà?” le risposte sono state varie ma tutte precise, sintomo di una consapevolezza radicata nell’esperienza quotidiana. 
I sopravvissuti 
del primo anno
Matricole o veterani, c’è una sofferenza comune: il sovraffollamento. “Noi del primo anno ci consideriamo superstiti – afferma Alessia Fusco – Siamo sopravvissuti ad un primo semestre fatto di lezioni impossibili, in aule piccole, inadeguate a contenere la mole di frequentanti. Se non abbiamo lasciato è per amore del diritto. Nel secondo semestre, invece, ci siamo dimezzati. Qui vige la legge della sopravvivenza e se non ce la fai cerchi riparo in altre Facoltà”. Gli abbandoni dopo il primo semestre sono tanti. “Non prevedendo il test d’ingresso – continua Vincenzo Lucci – questa diventa la Facoltà degli indecisi che accoglie anche chi viene a perdere tempo. La selezione avviene poi durante il percorso: se non hai le idee chiare, ti tagliano le gambe senza alcuna prova d’appello”. Parole molto dure che vengono condivise da tanti studenti. “Alcuni miei amici hanno lasciato – dice Francesco Giaccari – per iscriversi in altre Facoltà. Il sovraffollamento purtroppo rallenta la crescita anche degli studenti più bravi. In questo modo diventa difficile rapportarsi ai professori e creare un rapporto duraturo con altri studenti. Non c’è spazio per tutti e ci si deve arrangiare con quello che si ha”. “In un’aula da 150 posti – sottolinea Giusy Autorino, terzo anno – non possono seguire 250 studenti, tra vecchio e nuovo ordinamento. La lezione diventa una bolgia. Se per tre mattine alla settimana, si è costretti a seguire seduti per terra, è logico che cominci poi un mugugnare che disturba il corso”. Non va meglio nelle aule studio. “Non possono essere definite tali, le due aule al Palazzo di Vetro – dice Alessandro Carannante– Sono troppo piccole e rumorose”. 
Una Facoltà affollata, con migliaia di studenti, non incentiva le relazioni interpersonali. C’è difficoltà nel socializzare e scarsa solidarietà tra gli studenti. “Il mio più grande disagio – spiega Valeria Massa – è la difficoltà nei rapporti con i colleghi. In questa Facoltà chi ha voglia di studiare corre e non è disposto a fermarsi per prestare aiuto”. Diversamente, Piera Vicidomini ritiene che il rapporto peggiore sia sempre quello che intercorre tra docente e studenti: “tra ragazzi basta trovare il gruppo giusto in cui ambientarsi. Invece, i professori non sono disposti a concedere lo stesso tempo a tutti”. Ilaria aggiunge “durante il ricevimento i docenti delegano il compito agli assistenti, che poi ti rimandano dal professore per notizie più certe. Intanto, si gira come trottole e si perde tempo”. Racconta un episodio: “per conoscere il programma preciso di un esame mi sono recata per una settimana intera in Dipartimento; ogni volta, a seconda del collaboratore presente, mi veniva riferita un’informazione diversa. Alla fine, è stato il professore a fornirmi le delucidazioni di cui avevo bisogno, dopo una settimana di appostamenti”. Sulla carenza di informazioni, le perdite di tempo e le attese, si sofferma Chiara Fascelli: “nei Dipartimenti  non si sa se i professori arrivano per il ricevimento… e intanto si aspetta. In Segreteria ci sono code di ore. E poi sembra che nessuno sappia niente e deleghi ad altri uffici ciò che invece è di propria competenza”. 
Programmi lunghi
e poca pratica
Passiamo alla didattica. Sotto accusa i programmi, “troppo lunghi anche per esami non fondamentali – sostiene Ida Scuotto – Ad esempio per  Filosofia del diritto si studiano 600 pagine. Assurdo, se si pensa che a Commerciale o Civile sono poco più e che si tratta di esami che per complessità rallentano non poco la marcia verso la laurea”. I programmi non solo sono estesi ma anche troppo tecnici. “La prima volta che ho letto il manuale di Privato – racconta Lello – l’ho richiuso e ho pensato che la Facoltà non fosse adatta a me. Troppo tecnico e nozionistico, ancorato ad una visione del diritto antica che prevede una buona dose di memoria e pazienza. Andando avanti con gli anni ho capito che Privato è un piccolo ostacolo rapportato ad enormi iceberg come Procedura Civile o Penale. Ho capito che lo spirito di sacrificio è una costante di questa Facoltà”. 
Un’altra sottolineatura: alla teoria non corrisponde l’attività pratica. “La mia esperienza Erasmus – dice Elena – mi ha dimostrato che a livello teorico siamo imbattibili, ma a livello pratico siamo indietro rispetto a molte altre realtà europee. Dopo 9 mesi trascorsi in Spagna mi è stato difficile ritornare ai vecchi manuali dove la pratica è solo descritta e non viene vissuta”. “La possibilità di apprendere praticamente quello che si studia -spiega Francesco Rispoli – potrebbe rappresentare un incentivo per andare avanti. Ho studiato 6 mesi il programma di Procedura Civile; l’esame l’ho superato ripetendolo due volte. Se mi avessero esposto le stesse tematiche in un’aula di tribunale, sono sicuro che avrei imparato più in fretta e con più facilità”. 
Crisi profonda
dopo 4-5 bocciature
Gli esami, i voti e le bocciature. “I professori sono ancorati ad una vecchia mentalità – sottolinea Antonio – ed in sede d’esame sono poco elastici nell’elargire voti alti a chi lo merita. Purtroppo l’esame non viene valutato singolarmente, ma fa media con gli altri voti presenti sul libretto”. La questione voti è assai spinosa. “Durante gli esami i professori guardano il libretto universitario – dice Carmen – e fanno anche commenti sulle prove che non sono andate bene”. La studentessa racconta che un docente, a fine esame, le ha negato un buon voto perché si è attenuto alla media –bassa- del libretto. Le bocciature: “mi è capitato di ripetere un esame ben 4 volte con lo stesso professore – racconta Mario-  Sono stato quasi 2 anni fermo, in una condizione psicologica di inettitudine. Ho pensato di cambiare Facoltà a soli cinque esami dalla fine”. “Affrontare un esame per 4-5 volte – afferma  Riccardo – ti getta in una crisi profonda dalla quale i professori non sono in grado di tirarti su. Solo il confronto con i colleghi ti fa capire che non sei solo e che ce la puoi fare, a prescindere dalle volte che sei stato bocciato. Ho ripetuto Commerciale per 4 volte: a detta del professore, non meritavo nemmeno il 18. Finalmente, a 31 anni, mi laureo a giugno”. Commerciale e Civile: gli esami ritenuti ostici, perché “lunghi, a volte con testi di difficile interpretazione. Io stessa ho ripetuto Procedura 2 volte e non me ne vergogno, tanto so che tutto fa parte ormai di una prassi consolidata”, dice Rossana Martino. 
Alla fine del percorso universitario, anche la stesura della tesi può riservare brutte sorprese. “Siamo poco seguiti – commenta Anna – nella ricerca dei materiali e nella redazione del lavoro. Purtroppo, il disagio maggiore è il senso di estraniamento che questa Facoltà ti fa vivere. Cerchi di essere partecipe, ma in realtà continui ad essere un numero pur quando ti stai per laureare e meriteresti maggior rispetto”. Di parere concorde Luca: “di fronte all’indifferenza di alcune cattedre si rimane basiti ed inermi. Ho scelto per la tesi una materia che non mi piace molto, il Diritto amministrativo, ma so che siamo in pochi e quindi c’è una maggior possibilità di essere seguiti”. E conclude: “a causa del sovraffollamento la selezione avviene durante il percorso di studio, con bocciature insistenti, voti bassi e scarsa considerazione da parte di alcuni docenti”. 
Susy Lubrano
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