Innovazione e ricerca, in cattedra l’Assessore Regionale all’Università Nicola Mazzocca

Lezione straordinaria al corso di Marketing del prof. Luigi Cantone cui ha partecipato anche il Preside della Facoltà Achille Basile. Giovedì 25 febbraio in cattedra è salito l’Assessore Regionale all’Università e alla Ricerca Scientifica Nicola Mazzocca, ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni alla Facoltà di Ingegneria, che ha svolto un’interessante lezione davanti ad una folta e attenta platea, sul tema delle politiche mirate al rafforzamento della competitività regionale attraverso il consolidamento delle attività di ricerca pubblica. “Siamo una delle regioni italiane con la più alta incidenza della ricerca sul PIL ed il maggior numero di laureati in materie scientifico-economiche. Abbiamo 100 centri di ricerca di eccellenza nazionale, eppure molti giovani vanno a studiare fuori. Occorre diventare attrattivi”, dice l’Assessore introducendo i temi cruciali dell’incontro, l’innovazione e la ricerca sviluppati attraverso alcuni esempi pratici. Si comincia con la Pubblica Amministrazione. Basta la sola tecnologia per innovare? La risposta è no, perché i nuovi processi che la tecnologia disegna sono vincolati dalle norme scritte in base al modello di Stato, afferma Mazzocca spiegando la differenza fra azioni normative e di processo. “Se una persona muore, il Comune di residenza ne è informato ma non l’ASL o il registro della motorizzazione. Una cosa assurda che fa riferimento ad una disfunzione che non è normativa ma di processo”. Fornire la banda larga è il presupposto per offrire ai cittadini migliori servizi pubblici. Sebbene i fondi siano disponibili, alcune aree in Campania, però, non vengono servite perché le linee appartengono a società private e per tanti piccoli comuni l’investimento necessario per ammodernare le centrali telefoniche è maggiore degli introiti effettivi che le società ne trarrebbero. “Ma non connettere un piccolo Comune alla Pubblica Amministrazione implica una mancata certezza del processo”. 
E poi introduce un nuovo capitolo: l’innovazione nelle imprese, un processo ancora più complesso perché il tessuto industriale è formato da un gran numero di piccole e medie imprese che hanno difficoltà a stare sul mercato. Il modello presentato: la politica aiuta le imprese investendo in ricerca (perché i finanziamenti alla ricerca devono essere pubblici) consentendo l’incontro sul piano pratico attraverso l’attivazione di strutture e processi ad hoc, ma c’è tempo fino al 2013, cioè fino al prossimo programma quadro europeo. Il problema italiano, che determina precarietà per chi lavora nella ricerca e scarso accesso per chi invece lavora nelle imprese, è determinato dalla mancanza di una connessione che non dipenda solo dai soldi. “È un problema al tempo stesso di politica industriale e di internazionalizzazione che non ci permette di promuovere un sistema nazionale. Servono meno soggetti per ridurre gli interlocutori e i nodi della rete”. Per questo sono nati i Centri di Competenza, organizzazioni che aggregano singoli laboratori o strutture di ricerca industriale, in base a specifiche modalità, per operare il trasferimento tecnologico verso le imprese, tanto a livello locale quanto a livello nazionale, impedendo che le aziende, terminato il progetto, possano ritirarsi se non sono più interessate ad investire. “Per creare una rete facciamo anche i bandi con dei vincoli”. La prima forma di aggregazione è quella definita campus, una rete di strutture di eccellenza in cui si investe finanziando persone adatte ad un certo tipo di attività, senza intervenire sui laboratori come, invece, nei laboratori pubblico-privato, il cui obiettivo è dar vita a realtà che restino sul territorio. Infine, ci sono i Distretti tecnologici, che associano diverse imprese sul territorio. “Tutte le forme di finanziamento disponibili dovrebbero essere strumenti messi a disposizione per scegliere la migliore politica industriale”. Il problema, sottolineato più volte nel corso dell’incontro, è sempre lo stesso: collegare le imprese e la ricerca. In Campania i settori di punta sono nove, organizzati in dodici campus, uno per ciascun settore e tre interdisciplinari, a disposizione di un bacino di circa settecento piccole e medie imprese: materiali, biotecnologie, logistica trasporti e automazione, aerospazio, energia e quelli a forte vocazione territoriale dell’agroalimentare, delle tecnologie compatibili con l’ambiente, i beni culturali e il turismo. In Italia ci sono trentadue distretti tecnologici, il Ministero ne valuta positivamente solo quattro, uno dei quali è l’unico presente nella nostra regione. “Per la prima volta ho sentito la Confindustria difendere la ricerca nell’università. Perché se le organizzazioni seguono il modello di esternalizzare le strutture, compresa la ricerca, allora il ricercatore diventa uno che dà risposte. Se arriviamo a questa finalizzazione, che le università facciano gli interessi delle imprese anche sotto forma di spin-off, strutture leggere fatte da giovani, noi abbiamo chiuso il cerchio sulla base di argomenti comuni”, sottolinea Mazzocca affrontando il nodo del dibattito sulla ricerca in Italia.
Di base o applicata? Quale deve essere finanziata, quale consente maggiori ricadute? Una domanda sterile perchè “il sistema è virtuoso. Un tema che appare di nicchia e di scarsa rilevanza può, invece, avere le soluzioni per risolvere i problemi quando questi si presentano. In questi anni ho visto risolvere molti problemi dai ricercatori di questa regione”. Il sistema di accesso alla stazione di Roma Termini e le nuove case de L’Aquila, per esempio, sono frutto della ricerca dei nostri Atenei. In anni recenti, conoscenze sviluppate qui sui microbatteri delle alghe hanno permesso di risolvere dei problemi ambientali a Genova, per non parlare del centro FIAT-Elasis campano, più grande di quello di Torino. “C’è tanta energia ma dovremmo cambiare modello, anche nei rapporti di cooperazione, perché non possiamo imporre le nostre abitudini”.
Esistono due livelli di competenza e nel processo descritto non servono solo i ricercatori, ma diverse figure intermedie, fra cui anche una figura che attualmente nel nostro contesto non esiste ancora. “Quella che fa l’ultimo miglio – sottolinea Mazzocca – che ha conoscenze scientifiche, ma sa anche parlare il linguaggio delle aziende. In Campania non ci sono figure del genere mentre nei distretti tecnologici c’è spazio per far crescere professionalità di questo tipo”. 
“Si tratta di temi di grande interesse, perché in molti paesi occidentali i sistemi territoriali hanno un forte impatto”, commenta il prof. Cantone in chiusura.
Simona Pasquale 
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