L’ingegnere non vive: funziona!

“L’ingegnere non vive: funziona”. Chissà a cosa si riferiva il suo autore quando un paio di anni fa, con un guizzo d’arguzia e forse il cervello offuscato da troppo studio, consegnò ai posteri una frase, divenuta leggenda per tanti colleghi, scritta a penna sui muri dei bagni, quelli dei maschi, al primo piano di piazzale Tecchio. 
Cos’è che attanagliava la mente dello studente? Quale la speranza che non riusciva più a nutrire? Insomma, quale fu la musa ispiratrice del suo gesto: una riforma universitaria mal digerita? O una impostazione professionale poco gradita? “L’ingegnere non vive: funziona”. Parole che fanno sorridere. Già. Ma anche riflettere. Sulla condizione degli iscritti ad Ingegneria, vecchio o nuovo ordinamento che sia. Studenti alla prese col tempo, padre-padrone chiamato a scandire i loro ritmi di vita. Quella di giovani ventenni stretti tra il dovere di studiare e il diritto di vivere e godere la loro età.
Una frase. Diventata un’aforisma. Sono in tanti, lì ad Ingegneria, a conoscerla. E ad interpretarla. Ciascuno a modo suo. A seconda degli anni passati in facoltà. E della loro insofferenza a un modus vivendi che si cerca di allontanare con forza, decisione, accanimento. Quello dell’ingegnere tutto studio e studio, “l’ingegnere con i paraocchi, che conosce un unico punto di vista, quello razionale”, dice Alberto Ragucci, iscritto al quinto anno di Ingegneria Ambiente e Territorio. “La maggioranza degli studenti di Ingegneria è così – aggiunge – e se anche entri in facoltà senza avere questa forma mentis, dopo un po’ l’acquisisci. Inevitabilmente”. Alberto no, lui non si riconosce in quel profilo: “Io vivo, non funziono”, si difende con veemenza.  Come lui, Tommaso Rinaldi, che dopo un anno ad Ingegneria Aerospaziale è passato ad Ambiente e Territorio: “neanch’io sono il classico ingegnere, colui che si dà corpo e anima allo studio. Ho mille altri interessi oltre all’Università: lavoro, faccio l’arbitro di basket, esco con gli amici”. 
“L’Ingegnere non vive: funziona”. L’ha letta tante volte in quel bagno Danilo Russo, terzo anno di Ingegneria Gestionale Progetti e Infrastrutture… E tutte le volte ha sorriso. E ha ringraziato qualcuno lassù per essere diverso. “Ad Ingegneria è sempre stato così: c’è chi funziona e chi vive – commenta Danilo – Secondo me, è un modo ironico per dire ai ragazzi: ‘Svegliatevi, cominciate a vivere!’”. 
Per Danilo, quindi, la riforma universitaria non c’entra niente. Già la riforma. Perché, attenzione, c’è anche chi sostiene che questa frase – “L’Ingegnere non vive: funziona” – sia stato l’amaro sfogo di qualche studente del nuovo ordinamento inceppatosi nell’ingranaggio di un meccanismo che sta facendo acqua da tutte le parti. Giannantonio Scotto di Vetta, neo rappresentante dell’Unione degli Universitari nel Consiglio degli Studenti d’Ateneo del Federico II, è tra coloro che sono passati dal vecchio al nuovo ordinamento. “Per esperienza diretta – afferma il ragazzo – posso dire che prima c’era più tempo per pensare e ragionare. Ad Ingegneria, inoltre, abbiamo avuto un’applicazione più dura della riforma, che ha ulteriormente complicato le cose. Per non parlare del mio corso di laurea, quello in Ingegneria Informatica, dove i docenti hanno introdotto tutta una serie di esami da sei crediti pur di avere cattedre nel percorso triennale”.  “Ci hanno tolto il gusto di studiare – dichiara dal canto suo Daniele Capocelli, rappresentante degli studenti neoeletto in Consiglio di Facoltà per l’Udu -. La riforma ci ordina solo di correre per acquisire crediti su crediti”. E Paolo Renzi, secondo anno di Ingegneria Civile per lo Sviluppo Sostenibile, anche lui consigliere di facoltà: “il nuovo ordinamento ci impone di studiare e basta. Non c’è più tempo per quel famoso momento di crescita che si attraversava frequentando l’Università”.
Il tempo. La parola che ricorre più volte nelle dichiarazioni degli studenti. Il tempo. Ad Ingegneria tutti lo vogliono, nessuno lo afferra. Perché scorre veloce come un cronometro impazzito. Tempo per seguire i corsi. Tempo per studiare. Tempo per dare gli esami. E poi ricominciare. Con lo stesso tempo a disposizione. Con lo stesso ritmo estenuante. Con la stessa ansia di non farcela. Perché, ipse dixit, “l’ingegnere non vive: funziona”. “Non ci insegnano più a capire il perché delle cose – protesta Francesca Pettinati, terzo anno di Ingegneria Gestionale Progetti e Infrastrutture – ma bisogna impararle. Punto. In questo modo è venuto meno il senso dell’ingegnere di una volta, colui al quale gli si poneva un problema, lo analizzava e lo risolveva. Quegli strumenti di comprensione non ci sono più: non c’è spazio per riflettere”.
“Cinque esami a semestre – rincara la dose Enzo Buongiovanni, secondo anno di Ingegneria Meccanica – non ti danno il tempo neanche di capire cosa uno stia studiando. Ciò che è peggio è che anche se superiamo gli esami, non assimiliamo i concetti. A che serve, allora?”. Il solito refrain. Il solito requiem ad una riforma che ha sfiancato. D’altre parte, come dare torto agli studenti? Qualcuno l’ha scritto: “L’ingegnere non vive: funziona”. “L’ho letta quella frase – afferma Filippo Sansiviero, terzo anno di Ingegneria Gestionale – e la trovo tristissima. Perché evidenzia lo stato d’animo di noi studenti del nuovo ordinamento, costretti a rincorrere esami e voti. Per stare in regola, dovremmo solo studiare. E la nostra vita di ventenni?”.
“Come non condividere quelle parole?! – sostiene Mario Napolitano, secondo anno di Ingegneria Elettronica -. La riforma è sinonimo di apprendimento fine a se stesso”. “Impariamo una serie di nozioni, con le quali poi dover funzionare”, il parere di Raniero Sannino, secondo anno di Ingegneria Meccanica. E Andrea Genovese, laureando in Ingegneria Gestionale: “lo studente non è più una persona, ma un pezzo di ingranaggio fordista. Come un operaio, è abituato a turni di studio massacranti, senza avere tempo per null’altro”. 
“L’ingegnere non vive: funziona”. Ogni studente che è passato per quel bagno, al primo piano del triennio, ha provato a leggere tra le righe di quella scritta, ciascuno con lo stato d’animo del momento, dando vita a interpretazioni solo all’apparenza diverse. Infatti, come spiega Antonio Cioffi, ex consigliere d’Ateneo per l’Udu, “forma mentis e riforma universitaria sono due facce della stessa medaglia. A Ingegneria i tempi di vita sono scanditi dallo studio, per via della loro intensità. Da sempre. L’arrivo della riforma non ha fatto altro che accentuare questo stato di cose. Siamo una banda di automi che corre. Tutto qui”.
Paola Mantovano
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