La lettera a un architetto da un Maestro: Nicola Pagliara

“Ero un bambino senza qualità, la mia pagella era un disastro: ‘totalmente incapace di disegnare’ il giudizio che ricordo. Non avevo voglia di studiare, ma tanta voglia di vivere”, racconta. Eppure oggi è considerato un grande Maestro, nella disciplina che è diventata la sua ragione di vita: l’Architettura. Per quarant’anni Nicola Pagliara, famoso architetto italiano e docente di Progettazione alla Federico II (dal 1975 al 2008) “ha riempito le aule di cultura, con infiniti riferimenti a letteratura, cinema, teatro e musica, che oggi purtroppo non vengono più percepiti”, ricorda Leonardo Di Mauro, docente di Storia dell’Architettura, che dà un’interpretazione al titolo del volume di Pagliara: “Lettera a un architetto”, presentato l’8 maggio a Palazzo Gravina. “È come se fosse una trasmissione di sapere da un sovrano ad un erede al trono, da un maestro ad un discepolo, dove chi non è interessato all’affascinante mondo dell’Architettura è invitato a lasciar perdere”. Un’aula gremita di studenti, docenti e professionisti del settore, tutti curiosi di conoscere la storia “di uno dei maggiori esponenti del filone progettuale della Scuola Napoletana di pensiero”, come afferma il Direttore del Dipartimento Mario Losasso. Un vero Maestro anche per Alessandro Castagnaro, docente di Storia dell’Architettura, che ne dà tre motivazioni: “pur avendo aule pienissime alle sue lezioni, è riuscito a stabilire un rapporto molto forte docente-discente, ha formato a sua volta dei Maestri ed ha un suo modo di essere architetto colto e raffinato, con un’incredibile conoscenza dei materiali che lavora”. Da solo ha prodotto le opere più diverse: banche, chiese, cappelle, stazioni, scuole, palazzi. “Passa con disinvoltura dal grattacielo alla fontana del Banco di Napoli, dalla Cappella Funeraria nel cimitero di Baronissi (sua prima opera del 1958) alla meravigliosa casa in Pietra di Cetara, dove natura e materia si fondono”. La testimonianza della sua bravura arriva anche da chi non è stato suo allievo, come Renato Capozzi, docente di Composizione Architettonica e Urbana: “l’ho conosciuto da docente e da architetto, ed oltre ad essere uno dei migliori nel suo campo è anche in grado di mostrare cos’è realmente l’Architettura: una moltitudine di saperi che riflette la realtà”. 
La passione per la scrittura lo ha sempre accompagnato, ma l’idea della ‘Lettera’ è nata quasi per gioco: “Un anno fa ero a cena con un mio studente, quando mi chiese: ‘che futuro abbiamo noi giovani architetti?’. Io, lì per lì, complice il vino, non risposi, ma scrissi una lunga lettera, che è questo libretto di 36 pagine”. Nel volume ripercorre la storia dell’uomo legata alla nascita dell’Architettura, sua prima grande passione, che nacque “quando una delle mie sorelle si fidanzò con un architetto, figlio di un altro architetto che aveva lavorato con il celebre Josef Hoffmann. Da lì è iniziato il mio grande amore”. Differenti interpretazioni della realtà sono alla base di questa scienza. “La scelta delle forme belle o la potenza dei concetti? Bisogna subito capire a quale partito appartenere. Ho sempre avuto una smodata passione per i contenuti, che ho voluto trasferire ai miei ragazzi”. Due sono gli artisti che meglio rappresentano questa dicotomia: “se studiate Caravaggio e Borromini, capirete realmente cosa vuol dire la contrapposizione fra i due stili”. Però non bisogna mai dimenticare che “non si può tracciare nessun segno sulla tela senza delle nozioni di base. L’architetto costruisce monumenti che dureranno per sempre, quindi deve avere piena consapevolezza di ciò che fa. Le società scomparse si valutano in base ai ritrovamenti degli archeologi”. Dunque è necessario partire dalle radici per comprendere l’importanza di quel che si costruisce. “Ho iniziato la ‘Lettera’ dall’uomo primitivo, raccontando il suo passaggio dalle caverne alle capanne, finché non è subentrata la donna che con il suo intervento ha fatto sì che le abitazioni non fossero solo utili a ripararsi, ma avessero qualcosa in più. Non bastava che le cose fossero, dovevano dare un’emozione, avere una qualità estetica”. Da qui nasce l’universo moderno e “l’Architettura ha l’arduo compito di rappresentare la diversità di pensiero conservato nei templi, con la nascita della dialettica ad esempio, e diventa elemento fondamentale della storia dell’uomo”.
Allegra Taglialatela
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