Le atrocità della guerra raccontate dal giornalista Franco Di Mare

Crudi, drammatici e tristemente veri sono i 21 racconti contenuti nel libro di Franco Di Mare, giornalista della Rai e inviato di guerra per vent’anni. A presentare ‘Il cecchino e la bambina. Emozioni e ricordi di un inviato di guerra’ sono stati, insieme all’autore, Gianfranco Pecchinenda, Preside della Facoltà di Sociologia, i professori Luigi Caramiello e Gerardo Ragone e il magistrato Dario Raffone, durante un incontro svoltosi lunedì 29 aprile presso la Facoltà di Sociologia. Molti gli studenti interessati che hanno partecipato e discusso con l’autore. “Un libro duro, che descrive un’altra metà del mondo fatta di guerre, omicidi e crudeltà inimmaginabili – dice il prof. Ragone – Racconti drammatici e taglienti come schegge che lasciano sgomenti. Resta una sola domanda: quando finirà?”. L’autore racconta episodi di guerra drammatici, che il più delle volte non riguardano soldati ed eserciti, ma civili, donne e bambini: un cecchino armato di kalashnikov che mira alla testa di una bambina ‘nemica’, occupata a giocare spensierata, e la uccide senza esitare sotto gli occhi inorriditi dei suoi amichetti; la tortura del burqa per le donne afgane; la lapidazione pubblica di due adulteri; la testimonianza di un uomo che ha ucciso altri uomini; la realtà surreale di una miss incoronata regina di bellezza in una Sarajevo ridotta in macerie. Dalla prima guerra del Golfo all’Iraq di oggi, dal Ruanda alla Somalia, dal Libano all’Afghanistan, la guerra diventa l’occasione per scendere in profondità nell’animo umano. “Libro asciutto, giornalistico, emotivamente partecipato” secondo Dario Raffone, magistrato che si occupa di multiculturalismo, “una testimonianza concreta di quanto sia difficile convivere in contesti multietnici. Per stare insieme senza scannarsi bisogna accettare l’idea di diversità, perché è da qui che si parte per arrivare all’uguaglianza”. Il titolo del libro evoca uno degli episodi più tragici riportati dall’autore: come si fa a sparare a un bambino? “La prospettiva del carnefice rivoluzionerebbe tutti i nostri schemi mentali – afferma il Preside – Sarebbe impossibile e odioso mettersi nei suoi panni, ma il punto è che per noi tutto questo deve finire, non necessariamente per loro. Non bisogna dare per scontate le conquiste della civiltà alla quale apparteniamo! Democrazia e libertà sono valori duramente conquistati nel corso di secoli, ma non ancora da tutti i popoli. Il libro, con il suo linguaggio logopatico, mette in luce proprio questo”. Una discussione animata e partecipata, che ha coinvolto anche gli studenti nel fare riflessioni e porre domande all’autore. Patricia, ad esempio, è rimasta molto colpita dal fatto che in alcune occasioni, come l’incontro con un poeta, l’autore si sia spogliato delle vesti di giornalista e abbia lasciato solo quelle di uomo, con tutte le sue emozioni e paure. Di Mare ha spiegato le reali motivazioni che lo hanno portato a scrivere il suo libro: “ho fatto l’inviato di guerra per vent’anni e questo libro sancisce un mio fallimento: la convinzione della supremazia dell’immagine sulla parola. Dopo vent’anni ho capito che forse non era così, e bisognava tornare alla parola e alla sua forza evocativa”. Franco Di Mare ha voluto testimoniare, attraverso i suoi racconti, un mondo di guerra e omicidi troppo spesso trascurati o, peggio, malcelati dalla stampa nazionale e dai telegiornali. “Scrivendo questi 21 racconti ho recuperato il valore della testimonianza e ho rivendicato il diritto di raccontare ciò che vedevo, senza veli né censure”. Ecco spiegato perché alcuni racconti (se non tutti) sono terribilmente crudi: “è perché sono veri, e io li ho riportati in tutta la loro verità – spiega – Fare il cosiddetto pastone politico anche come inviato estero era mortificante per il mio lavoro. Io in quelle zone rischiavo la vita, e ho capito che il valore aggiunto di un giornalista in un luogo come Kabul è la testimonianza, e che il rispetto e la difesa delle identità culturali sono sacri, ma devono essere sempre subordinati al rispetto e alla difesa delle norme collettive, altrimenti l’integrazione è impossibile”. Anche secondo il prof. Caramiello il libro, “minimalista nello stile ma non nelle emozioni”, racconta verità che ci riguardano e dobbiamo conoscere. “Spesso Di Mare rimanda alla banalità del male – dice Caramiello – ma bisogna rendersi conto che siamo l’unica specie vivente che uccide i propri simili, perché siamo esseri intelligenti, in grado di diversificare l’altro e, in quanto ‘diverso’, ucciderlo. Il libro è bello perché ci ricorda il tesoro dei nostri valori (democrazia, libertà, uguaglianza), duramente conquistati a costo di sanguinose battaglie. Ora dobbiamo abbattere tutti i muri, partendo dal muro di diversità che c’è tra il cecchino e la bambina”. 
Marzia Parascandolo
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