Lepore, un professore in bici

“Si potrebbe dire che ci vado da sempre. Ho iniziato da bambino e salvo qualche sporadica interruzione dovuta a fattori contingenti non ho mai smesso. Ho sempre pedalato con buona continuità”. Il professor Ugo Lepore, in attesa di ritrovare i suoi colleghi alla partenza del raduno ischitano, racconta qualcosa circa il suo rapporto di amore e di passione con la bici. Come tutti i cicloamatori che si rispettino, per Lepore è importante non tanto l’andare da una parte all’altra in un tot tempo, quanto piuttosto quella che, con un pizzico di enfasi, si potrebbe definire la poesia della bicicletta. “E’ essenziale il piacere di stare all’aperto, di scoprire un paesaggio, di affrontare una curva dietro la quale si apre uno scorcio di panorama. Tutto questo poi avviene in una situazione di libertà, perché la bici consente di non sottostare a vincoli che non siano quelli legati alle proprie forze ed alle proprie energie. La moto, per esempio, è diversa. Va veloce e non permette di immergersi nel paesaggio, fa rumore, non può essere lasciata dovunque”. Tra i tanti percorsi affrontati nel corso delle sue escursioni ciclistiche, il docente ne ricorda due con particolare intensità. “Mi è molto piaciuto quello che ho fatto un paio di anni fa da Napoli al Gargano, passando per l’Appennino. E’ stata una bella esperienza, che mi ha permesso, tra l’altro, di scoprire paesaggi che non mi sarei aspettato di trovare. Una volta arrivato a Trani mi sono fatto pure un mezzo giro delle cattedrali pugliesi, ovviamente sempre in bicicletta. Molto bella anche l’esperienza della scalata in bici del Vesuvio, che però risale agli anni Ottanta. Ho avuto più volte la sensazione di non farcela e la tentazione di smontare di sella, ma contemporaneamente ero anche fermamente intenzionato a proseguire. Ricordo che sui tornanti fui superato da un autobus carico di turisti spagnoli; quando mi videro arrivare in cima uno di loro espresse la sua ammirazione nei miei confronti con una frase irripetibile, ma molto colorita e piacevole”. La bici più bella che ricorda di aver posseduto Lepore? “Per la verità non sono mai andato alla ricerca dell’ultimo modello. Ho sempre avuto bici modeste; non di livello basso, ovviamente, perché non consentono di affrontare i percorsi più impegnativi, ma neanche quelle ultraleggere e costosissime. D’altra parte credo che queste servano solo a chi pratica ciclismo a livello agonistico. Per gli altri il mezzo chilo in più od in meno conta poco”. Un consiglio agli appassionati: “meglio le bici da corsa; la mountain bike serve solo per i percorsi accidentati”. Ciclista solitario per anni, oggi il docente viaggia in bici insieme al figlio, studente universitario. Al quale, c’è da giurarci, spera di trasmettere l’insegnamento più importante che ha ricavato dal macinare chilometri in salita ed in discesa, sotto la calura oppure sferzato dal freddo invernale: l’umiltà. “Questo è uno sport nel quale il confronto è con te stesso. Aiuta ad essere tenace, ma anche umile, perché pone di fronte ai propri limiti. Sono sensazioni che mi sono utilissime anche quando smetto la bici e torno ad essere un professore universitario”. 
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