Da un lato il calo della fiducia nei media tradizionali, dall’altro il rischio di non riuscire a distinguere il vero dal falso tra le tante notizie che circolano in rete: è questo il flipper in cui sembra essersi incagliato il cittadino medio. Qual è, allora, il ruolo del giornalista in questo scenario? Una fact checking europea che ridìa credibilità sembra essere la soluzione presentata dalla Presidente Rai Monica Maggioni, ospite all’Università della Campania Luigi Vanvitelli,
nell’ambito del ciclo di incontri ‘Oltre le due Culture’, ripartito proprio con questo evento il 31 gennaio. La giornalista è stata accolta da un numeroso pubblico nell’Aula Magna di via Costantinopoli e salutata dal Rettore Giuseppe Paolisso che si è detto “molto contento e onorato che abbia accettato il nostro invito”. La parola poi è passata alla prof.ssa Manuela Piscitelli che ha introdotto l’ospite ricordandone la brillante carriera giornalistica: il concorso in RAI nel 1992, dove nel tempo ha ricoperto diversi incarichi curando il Tg1 o rubriche come Tv7, i suoi trascorsi come giornalista di guerra, durante la seconda Intifada e poi in Iraq, direttore di Rai News nel 2013, fino all’attuale direzione dell’azienda, una serie di libri di successo su questioni di scottante attualità. “Le esperienze vissute da giovanissima nelle frontiere più estreme le hanno permesso di avere oggi una visione d’assieme e uno sguardo crudo e critico sulle dinamiche internazionali. Io la definisco un’indomita combattente”, afferma nella sua Lectio
la prof.ssa Piscitelli. Maggioni ha concentrato l’attenzione del pubblico su quella che è la funzione del giornalista in una realtà dove è venuto a mancare ogni tipo di intermediazione nella trasmissione delle notizie. “In questo mondo dove, grazie ai social, tutti si sentono giornalisti, servono ancora i veri giornalisti? – parte con questa domanda provocatoria – È diventato oggettivamente importante ragionare sul ruolo dei ‘raccontatori di storie’ in un’epoca in cui all’interno della rete il confine tra vero e finto è estremamente flebile. A me non piace utilizzare il termine ‘bufale’ perché nella parola stessa c’è una certa sorniona compiacenza. Se si dice ‘falso’, invece, gli si dà una
connotazione ben precisa”. Il problema non è certo l’esistenza dei social, della rete o la possibilità per sempre più persone di accedere alle informazioni, ma il modo in cui queste vengono trasmesse e l’assenza di responsabilità. “Non è che prima non ci fossero i falsi, ma quello che è cambiato è la velocità e la possibilità di trasmissione”, spiega, attraverso l’ausilio di video e con degli esempi. Ricorda il caso di Judith Miller del New York Times: “Lei, basandosi su fonti personali, diventò il megafono di tutti quelli che avevano costruito la campagna sulle false armi di distruzione di massa presenti in Iraq. Quando si scoprì la bugia, il New York Times chiese scusa e licenziò la Miller. Oggi, se qualcuno sui social fa una campagna basata su un falso assoluto, non c’è nessuno a chiedere scusa, nessuno è o si sente responsabile. Allora, nel momento in cui i social si sono insinuati nel rapporto mediato che esisteva con le persone, noi giornalisti dove ci collochiamo?”. Ci si colloca non in un buon posto per ora, se, in base ai grafici del Word Economic Forum presentati proprio dalla Maggioni, la fiducia nei mass media dei cittadini dei Paesi sviluppati è in forte declino, e in Italia tocca il 48%: questi, infatti, sono percepiti come parte dell’elité di potere. “Proprio in questo quadro, il giornalismo e la creazione dei luoghi della credibilità sono ancora più utili di prima. Sapere che ci sono luoghi di cui ti puoi fidare, che verificano ciò che scrivono, è fondamentale
più di prima”. Quello in cui si può incappare non sono solo le classiche ‘bufale’ o falsi, ma anche l’utilizzo di materiale autentico in maniera fuorviante e sbagliata, o in siti ‘sosia’ di testate celebri che veicolano notizie false, fino ad arrivare a software come il Face2face Real Time sviluppato a Stanford per rielaborare le tracce audio di video. E allora, ecco che si costruiscono campagne elettorali, come quella di Trump, riportata spesso come esempio, dove si fa un uso spregiudicato del fotomontaggio, di false notizie e dati truccati. Il giornalismo deve, quindi, riacquisire credibilità e non fare bieco vittimismo: “Io sono convinta della grande possibilità di internet. Il vero tema è che in quella dimensione ci deve essere la possibilità di riuscire a distinguere le cose, capire i luoghi in cui si diventa accountable, ci devono essere cioè dei luoghi di responsabilità. Costruire delle mappe perché il nostro muoverci non sia più in mare aperto senza bussola, ma con riferimenti chiari. Il giornalista oggi deve diventare questo riferimento essendo più credibile, in grado di dare ragioni e prove di ciò che scrive. Un ruolo particolare, poi, lo deve assumere il Servizio Pubblico. C’è la necessità di luoghi di verifica delle notizie, accessibili anche dall’esterno. Per questo è tra i miei obiettivi costituire una Fact checking, in collaborazione con le altre emittenti pubbliche europee, per verificare l’attendibilità delle notizie”. A chi come il prof. Capasso contesta la difficoltà per il servizio pubblico di opporsi alle grandi testate internazionali, la Maggioni ricorda: “la nostra forza sta nell’avere un collegamento con gli altri servizi pubblici europei. Se riuscissimo a creare in Europa uno spazio dove le notizie sono certificate, già questo sarebbe un gran risultato”. È il prof. Esposito, invece, a chiedere cosa può
fare, in questa fase, il mondo accademico. “Ho sempre pensato che il nostro lavoro di checking debba essere legato all’università. È uno dei modi in cui la competenza specifica si traduce in verifica del reale. Oltre questo – aggiunge – c’è bisogno di porre il proprio talento al servizio dell’etica e della costruzione di una società diversa. Per questo c’è bisogno di mentori, di Maestri che diano l’esempio e trasmettano il proprio sapere”.
nell’ambito del ciclo di incontri ‘Oltre le due Culture’, ripartito proprio con questo evento il 31 gennaio. La giornalista è stata accolta da un numeroso pubblico nell’Aula Magna di via Costantinopoli e salutata dal Rettore Giuseppe Paolisso che si è detto “molto contento e onorato che abbia accettato il nostro invito”. La parola poi è passata alla prof.ssa Manuela Piscitelli che ha introdotto l’ospite ricordandone la brillante carriera giornalistica: il concorso in RAI nel 1992, dove nel tempo ha ricoperto diversi incarichi curando il Tg1 o rubriche come Tv7, i suoi trascorsi come giornalista di guerra, durante la seconda Intifada e poi in Iraq, direttore di Rai News nel 2013, fino all’attuale direzione dell’azienda, una serie di libri di successo su questioni di scottante attualità. “Le esperienze vissute da giovanissima nelle frontiere più estreme le hanno permesso di avere oggi una visione d’assieme e uno sguardo crudo e critico sulle dinamiche internazionali. Io la definisco un’indomita combattente”, afferma nella sua Lectio
la prof.ssa Piscitelli. Maggioni ha concentrato l’attenzione del pubblico su quella che è la funzione del giornalista in una realtà dove è venuto a mancare ogni tipo di intermediazione nella trasmissione delle notizie. “In questo mondo dove, grazie ai social, tutti si sentono giornalisti, servono ancora i veri giornalisti? – parte con questa domanda provocatoria – È diventato oggettivamente importante ragionare sul ruolo dei ‘raccontatori di storie’ in un’epoca in cui all’interno della rete il confine tra vero e finto è estremamente flebile. A me non piace utilizzare il termine ‘bufale’ perché nella parola stessa c’è una certa sorniona compiacenza. Se si dice ‘falso’, invece, gli si dà una
connotazione ben precisa”. Il problema non è certo l’esistenza dei social, della rete o la possibilità per sempre più persone di accedere alle informazioni, ma il modo in cui queste vengono trasmesse e l’assenza di responsabilità. “Non è che prima non ci fossero i falsi, ma quello che è cambiato è la velocità e la possibilità di trasmissione”, spiega, attraverso l’ausilio di video e con degli esempi. Ricorda il caso di Judith Miller del New York Times: “Lei, basandosi su fonti personali, diventò il megafono di tutti quelli che avevano costruito la campagna sulle false armi di distruzione di massa presenti in Iraq. Quando si scoprì la bugia, il New York Times chiese scusa e licenziò la Miller. Oggi, se qualcuno sui social fa una campagna basata su un falso assoluto, non c’è nessuno a chiedere scusa, nessuno è o si sente responsabile. Allora, nel momento in cui i social si sono insinuati nel rapporto mediato che esisteva con le persone, noi giornalisti dove ci collochiamo?”. Ci si colloca non in un buon posto per ora, se, in base ai grafici del Word Economic Forum presentati proprio dalla Maggioni, la fiducia nei mass media dei cittadini dei Paesi sviluppati è in forte declino, e in Italia tocca il 48%: questi, infatti, sono percepiti come parte dell’elité di potere. “Proprio in questo quadro, il giornalismo e la creazione dei luoghi della credibilità sono ancora più utili di prima. Sapere che ci sono luoghi di cui ti puoi fidare, che verificano ciò che scrivono, è fondamentale
più di prima”. Quello in cui si può incappare non sono solo le classiche ‘bufale’ o falsi, ma anche l’utilizzo di materiale autentico in maniera fuorviante e sbagliata, o in siti ‘sosia’ di testate celebri che veicolano notizie false, fino ad arrivare a software come il Face2face Real Time sviluppato a Stanford per rielaborare le tracce audio di video. E allora, ecco che si costruiscono campagne elettorali, come quella di Trump, riportata spesso come esempio, dove si fa un uso spregiudicato del fotomontaggio, di false notizie e dati truccati. Il giornalismo deve, quindi, riacquisire credibilità e non fare bieco vittimismo: “Io sono convinta della grande possibilità di internet. Il vero tema è che in quella dimensione ci deve essere la possibilità di riuscire a distinguere le cose, capire i luoghi in cui si diventa accountable, ci devono essere cioè dei luoghi di responsabilità. Costruire delle mappe perché il nostro muoverci non sia più in mare aperto senza bussola, ma con riferimenti chiari. Il giornalista oggi deve diventare questo riferimento essendo più credibile, in grado di dare ragioni e prove di ciò che scrive. Un ruolo particolare, poi, lo deve assumere il Servizio Pubblico. C’è la necessità di luoghi di verifica delle notizie, accessibili anche dall’esterno. Per questo è tra i miei obiettivi costituire una Fact checking, in collaborazione con le altre emittenti pubbliche europee, per verificare l’attendibilità delle notizie”. A chi come il prof. Capasso contesta la difficoltà per il servizio pubblico di opporsi alle grandi testate internazionali, la Maggioni ricorda: “la nostra forza sta nell’avere un collegamento con gli altri servizi pubblici europei. Se riuscissimo a creare in Europa uno spazio dove le notizie sono certificate, già questo sarebbe un gran risultato”. È il prof. Esposito, invece, a chiedere cosa può
fare, in questa fase, il mondo accademico. “Ho sempre pensato che il nostro lavoro di checking debba essere legato all’università. È uno dei modi in cui la competenza specifica si traduce in verifica del reale. Oltre questo – aggiunge – c’è bisogno di porre il proprio talento al servizio dell’etica e della costruzione di una società diversa. Per questo c’è bisogno di mentori, di Maestri che diano l’esempio e trasmettano il proprio sapere”.