“Se un chirurgo di trent’anni fa si ritrovasse catapultato nella realtà di oggi, probabilmente sgranerebbe gli occhi e si chiederebbe: ‘come è possibile fare certe cose?’. L’evoluzione recente della Chirurgia è stata incredibile”. Operare con i robot. Una realtà già solida se si pensa che “a Napoli ci sono cinque robot, tutti in strutture ospedaliere pubbliche” e destinata a imporsi sempre più in futuro, previo abbassamento dei costi dei macchinari, attualmente molto elevati. Alla Chirurgia Robotica in Chirurgia generale è dedicata una delle Attività Didattiche Elettive (ADE) del Corso di Laurea in Medicina. L’insegnamento è affidato al prof. Umberto Bracale, classe ‘77, dal 2018 associato di Chirurgia Generale. Nel curriculum, oltre alla laurea alla Federico II, riporta periodi di formazione in Nord Italia e all’estero e missioni umanitarie in Benin. A circa ottanta studenti, nel corso dell’ADE partita ad aprile, racconta attraverso lezioni teoriche e proiezioni di filmati una professione che prevede “un percorso non semplice, lungo e fatto di dedizione e sacrificio”. Il programma: “si parte dai principi generali della Chirurgia mininvasiva. Poi si entra nel vivo della Chirurgia robotica, spiegando perché oggi per alcune patologie è preferibile l’utilizzo del robot”. Le motivazioni: “per il paziente si riduce il rischio di infezioni e sanguinamento e la ripresa è più rapida. Da un punto di vista operativo, invece, con l’uso del robot si può evitare il fisiologico tremore del chirurgo e, grazie alla visione tridimensionale, si è più precisi”. Insomma, la differenza tra l’uso del robot e i metodi tradizionali “è abissale. Per effettuare un intervento all’intestino in chirurgia tradizionale è indispensabile un taglio verticale di tutto l’addome. In chirurgia robotica bastano pochi orifizi. È una chirurgia meno ‘grossolana’, che sfrutta i piani anatomici e ha rispetto di tutte le strutture anatomiche ed embriologiche, riducendo lo stress chirurgico del paziente”. Paziente che resta sempre a vista d’occhio: “la distanza tra il primo operatore e il tavolo operatorio è di due metri. Al tavolo, poi, c’è un assistente che può intervenire in qualsiasi momento”. Nessun distacco col paziente, quindi: “è sempre lì, lo operi sempre tu e la responsabilità è tua”. Non del robot che, almeno stando alla tecnologia attuale, non ha alcuna autonomia: “se non viene comandato dal chirurgo, resta fermo”. L’importanza di specializzarsi in chirurgia robotica in chiave futura: “chi si occupa di Chirurgia generale deve prevedere sicuramente un periodo di formazione in Chirurgia laparoscopica e, se c’è la possibilità come da noi alla Federico II, uno con i robot. Il trend sarà quello di utilizzarli sempre più. Attualmente c’è un problema di costi, ma si prevede una riduzione nei prossimi vent’anni che renderà il robot sempre più sostenibile per il Sistema Sanitario Nazionale”. Sfide del domani: “rendere la chirurgia sempre più sicura e migliorare il percorso di formazione del chirurgo. Un tempo la formazione in chirurgia era destinata esclusivamente al rapporto maestro-allievo. Oggi, oltre questo aspetto, che resta imprescindibile, è necessario l’adozione di altri strumenti, penso alla realtà virtuale e a tutta la parte di simulazione che possono ridurre i tempi di apprendimento”.
Ciro Baldini
Ciro Baldini