Patrick Peñalver Almazán, un “cuore filippino”, venuto da Messina a Napoli per studiare swahili e hausa

Cuore filippino, temperamento siciliano, occhi a mandorla. È il ritratto di Patrick Peñalver Almazán, 24 anni, studente di origini filippine iscritto al Corso di Laurea Triennale in Lingue e Culture Orientali e Africane a L’Orientale. Nato e cresciuto in Sicilia, precisamente a Messina, si è trasferito a Napoli da quasi 4 anni per cominciare qui la sua brillante carriera universitaria. “Il Sud mi appartiene, fa parte di me”, confessa in un’intervista che tocca le isole del Pacifico, fa la spola tra i continenti e ritorna nella città partenopea, in cui lo studente si augura di completare gli studi al più presto. In questo momento, infatti, Patrick è al lavoro su una tesi che parlerà dell’influenza della cultura africana, in particolare della musica, in Occidente. “Concluso il percorso Triennale, sono molto più propenso a intraprenderne uno in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali”, dice, in attesa di fare nuovamente i bagagli e fotografare gli incantevoli paesaggi naturali del sud-est asiatico, alla scoperta di antiche tradizioni identitarie. Innanzitutto, quali sono le tue origini? Da dove viene la tua famiglia? “Sono nato da genitori filippini, nei quali scorre sangue spagnolo e indonesiano. Mia madre è l’ultima di dodici figli, mentre mio padre ultimo di sette. Si sono conosciuti grazie alle rispettive sorelle maggiori che all’epoca lavoravano in Germania. E circa 25 anni fa i miei genitori sono emigrati qui in Italia per motivi di lavoro. Lo so, potrei scriverci un film, magari un giorno…”. Quante lingue conosci? E quali hai scelto di studiare? “Oltre all’italiano, conosco e parlo il tagalog, la lingua ufficiale delle Filippine. È un melting pot di parole derivanti da lingue locali e termini spagnoli, arabi e inglesi. Di conseguenza, l’inglese lo comprendo e lo parlo abbastanza bene. Anche per lo spagnolo mi sto attrezzando. Inoltre, il mio Corso di Studi mi consente di studiare kiswahili e hausa, che sono le lingue ufficiali rispettivamente di Tanzania, Kenya e Nigeria settentrionale, e di Niger e parte del Ciad. Ultima lingua ma non per importanza, il siciliano. E ormai da un paio di anni sono in grado di capire, e spesso cerco di usare, qualche parola in napoletano. Esprimersi in dialetto è molto divertente, perché crea sempre sorpresa sulle facce dei miei interlocutori”. Cosa significa per te studiare le lingue straniere, alla luce dell’avere ereditato un bagaglio multiculturale sin dalla nascita? “Conoscere, e nel mio caso studiare le lingue, è una fiamma che mantiene ardente la curiosità verso un’altra cultura. Le lingue rappresentano uno strumento in più da utilizzare, soprattutto in questo momento storico in cui la diffidenza e l’ignoranza verso coloro che vengono da ‘lontano’ la fanno da padrona. È una passione che nasce con me. E poi, oltre alla formazione a livello accademico, L’Orientale mi ha permesso di confrontare idee, pensieri, paure e condividere tutto ciò con persone provenienti da ogni luogo d’Italia, d’Europa e del mondo”. Quali sono i vantaggi di appartenere nello stesso tempo a due culture? “Credo sicuramente che ne derivino un’apertura mentale e una visione più ampia del modo di vivere rispetto ai modelli esclusivamente occidentali e/o orientali. Da piccolo mi riconoscevo solamente attraverso la cultura italiana, ma crescendo, e soprattutto affrontando adesso un certo settore di studi all’Università, sto facendo ricerche approfondite sulle mie radici per scoprire altro di me e riconoscermi anche come ‘pusong pinoy’, un’espressione che indica il fatto di essere un vero filippino, letteralmente un ‘cuore filippino’”. Avete qualche usanza particolare in famiglia che conservate dalle vostre radici?“Oltre alle disparate pietanze tradizionali, frutto di contaminazioni cinesi, arabe e spagnole, l’usanza più particolare che la mia famigliaha mantenuto è quella di mettere accanto alle foto dei miei nonni defunti piccole porzioni di cibo e acqua, quasi a simboleggiare una continua condivisione che va oltre la morte. E poi, adesso che vivo da solo, mi rendo conto di avere abitudini diverse dagli altri. Tengo molto a evitare spreco di cibo, acqua e luce. Tutto questo perché i miei nonni erano agricoltori e allevatori e dai racconti dei miei genitori ho capito l’importanza di queste tre componenti”. Quali sono le tue passioni più grandi? “Il cibo, in prima posizione, quindi cucinare e mangiare piatti di ogni parte del mondo. A Napoli, per esempio, ho girato tutti i ristoranti etnici presenti, da quello srilankese a quello eritreo, passando dall’arabo al brasiliano. Senza dimenticare, però, le varie delizie partenopee e siciliane. Un’altra mia grande passione è la musica, così come la fotografia, e da un po’ di tempo, per la gioia dei miei coinquilini, ho scoperto di avere il pollice verde”. Sei mai stato nella tua terra d’origine? Oppure, pensi mai di farci un salto? “Sono stato nelle Filippine solamente una volta all’età di 5 anni, ricordo veramente poco. Questa o la prossima estate cercherò di tornare e trattenermi per un lungo periodo. L’arcipelago conta più di 7100 isole, alcune delle quali disabitate. Questo suscita in me la voglia di partire immediatamente ed esplorarle una per una. Qualcosa dentro di me sta spingendo affinché io ritorni lì”. Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro? “L’obiettivo principale è quello di completare il ciclo di studi, coltivando nello stesso momento tutte le mie passioni. Vediamo, cosa vorrei fare in futuro? Non lo dico, a Napoli mi hanno insegnato la scaramanzia!”.
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