Pensionamenti superati, restano le tensioni

Chi si ricorda dei professori aggregati? La denominazione attribuita dalla legge 230/2005 ai ricercatori cui vengono affidate docenze, ossia alla maggior parte dei ricercatori da quando è entrata in vigore la riforma del 3+2, non ha fatto sorgere alcun dubbio negli organi di governo dell’ateneo federiciano quando, con la delibera del 29 dicembre 2008, hanno deciso il prepensionamento di 130 ricercatori. “Il Federico II è stato l’unico mega ateneo ad applicare così duramente la legge 133, considerando noi ricercatori come appartenenti al comparto dei tecnici-amministrativi”, dice la dott.ssa Roberta Lencioni della Facoltà di Lettere. Spiega: “La legge stabiliva il pensionamento per chi avesse 40 anni di contributi, compresi quelli di riscatto, ma dalla previsione erano esclusi i magistrati e i professori universitari. Questo inizialmente ci aveva fatto stare tranquilli. Ormai svolgiamo tantissima attività di docenza, ed è stata espressamente riconosciuta la figura dei professori aggregati. Invece l’università, nell’autonomia che le è riconosciuta, ha ritenuto di applicare la 133 anche a noi, assimilandoci ai tecnici-amministrativi. Non siamo vanagloriosi né obnubilati dalla voglia di cariche, ma certo la nostra attività non è assimilabile a quella dei tecnici-amministrativi. La Federico II non ha riconosciuto la nostra funzione docente”. L’emergenza prepensionamento è attualmente superata grazie all’emendamento al comma 11 dell’art. 72 del d. l. 112/2008, convertito in legge 133/2008. I 40 anni di contributi, adesso, sono da intendersi relativi agli anni di effettivo servizio, esclusi quelli di ‘riscatto’. In questo modo i ricercatori sono ‘salvi’ – merito del decreto Brunetta sul Pubblico Impiego, approvato dal Senato il 25 febbraio -. Ma resta un interrogativo: qual è il loro stato giuridico? L’ultimo Consiglio di Facoltà di Lettere ha posto la questione con urgenza. Il Preside ha presentato un documento, redatto da una commissione composta dai Presidenti di Corso di Laurea, Direttori di Dipartimento e docenti (questi ultimi nella persona dei rappresentanti in Senato Accademico e CdA, Tortorelli, Pignani e Giglio), in cui si prende atto con soddisfazione dell’emendamento alla 133, ma al contempo si lamenta il mancato riconoscimento del ruolo dei ricercatori, il cui carico didattico è sempre più aumentato negli ultimi dieci anni. “Personalmente, in Consiglio di Facoltà ho presentato una mozione del CUN sui prepensionamenti in atto nelle università”, dice la dott.ssa Lencioni, “in cui si chiede ai Rettori di considerare i ricercatori parte integrante della docenza. Ho invitato gli organi di governo dell’ateneo a ottemperare questa mozione. Inoltre ho chiesto che l’università revochi le lettere di preavviso di prepensionamento, sia per il personale tecnico-amministrativo che per i ricercatori. Nel frattempo sarà portato avanti tutto quanto è stato messo in cantiere, come i ricorsi al Tar”. 
Puglisi: “ricorsi? 
Operazioni individuali”
Per il dott. Angelo Puglisi, ricercatore di Giurisprudenza che in Senato Accademico aveva votato contro la delibera del 29 dicembre, l’emendamento alla legge 133 rende quasi insignificante la decisione assunta in ordine ai prepensionamenti, poiché escludendo gli anni di riscatto dal calcolo dei contributi, la maggior parte dei ricercatori non raggiunge il tetto di 40 anni. Quello dello status, invece, è un altro problema, nel merito del quale non vuole entrare. “Deve essere il legislatore a chiarire lo status dei ricercatori”. E i professori aggregati? “Un arzigogolo cui qualcuno sta cercando di appigliarsi. Esistono professori ordinari, professori associati e ricercatori, punto. La figura del professore aggregato è ambigua e di scarso significato, dato che è legata allo svolgimento delle supplenze e altri incarichi didattici, e va rinnovata di anno in anno”. Sulle iniziative legali assunte dai ricercatori di Lettere afferma che si tratta di operazioni individuali. “Ognuno ha il diritto di esercitare le azioni che ritiene più opportune”. 
Sara Pepe
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