Qualità, sicurezza, resistenza allo stress e alle mode: le regole di una buona pasta

Quando una pasta può definirsi buona? Quali sono le tendenze del mercato? Cosa chiedono le aziende ai laureati? A rispondere è Adele Cianciulli del pastificio Guido Ferrara di Nola. Nel 2003 si è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari con il professore Paolo Masi. In più occasioni (l’ultima lo scorso aprile) è tornata in Dipartimento in veste di esperta aziendale per tenere dei seminari sui processi di produzione della pasta. 
Dal 2003 a oggi. Qual è stato il suo percorso post laurea?
“Si è svolto tutto al pastificio Ferrara. Due mesi dopo la laurea ho tenuto il colloquio. Ho cominciato occupandomi di controllo qualità. Oggi sono responsabile qualità e sicurezza alimentare del pastificio. Mi trovo benissimo”.
Ci è arrivata da laureata. Cosa ha imparato sul campo?
“Ho cominciato dalle mansioni più operative, prendendo spunto anche dall’esperienza che potevano darmi gli operai. Però all’azienda ho portato tanto con le mie conoscenze accademiche. Ho cercato di mostrare i ragionamenti dietro a un determinato aspetto del processo produttivo”.
Su quali aspetti della produzione si concentra la sua attenzione?
“La qualità della materia prima. Eseguiamo controlli su tutte le semole che arrivano in pastificio. Siamo particolarmente attenti alla qualità del glutine, che è fondamentale. Poi valutiamo umidità del prodotto, aspetto, dimensioni e, a fine processo, è previsto il test di cottura, la prova del nove che ci dice se il nostro processo produttivo, unito alle materie prime, ha dato un buon risultato”.
Quali sono oggi le principali sfide del settore pasta?
“Non arrendersi mai e continuare a investire e a credere nella qualità e nella sicurezza alimentare. Con i prezzi bassi si può entrare in un mercato, ma per restarci serve un buon prodotto”.
L’alimentazione subisce oggi l’influenza di mode e tendenze. È un aspetto che riguarda anche la pasta?
“Sì. Attuale è il discorso della raffinazione dei cereali. Negli ultimi anni, ad esempio, è andata molto la pasta integrale. Sono dell’idea che la dieta mediterranea resti un cardine della nostra società e del nostro stile alimentare e non può fare a meno della pasta, non solo integrale”.
Quando una pasta può definirsi ‘buona’?
“Quando mantiene la cottura anche se manipolata, come succede, ad esempio, quando la ripassiamo in padella. Se non ha patina ed è sciolta anche in condizioni stressanti, allora è ottima”.
Il pastificio Ferrara è un’azienda della Campania. Cosa significa lavorare sul territorio?
“È difficile. A volte si tende a generalizzare e a ritenere le aziende del Sud non al livello di quelle del Nord. Invito tutti a venire al pastificio per vedere che tipo di realtà siamo”.
Un’azienda come la sua cosa chiede a un neolaureato?
“Deve arrivare al colloquio umile e preparato. Deve aver studiato non per superare gli esami, ma per formarsi una solida base culturale. La curiosità, lo spirito di sacrificio e il non pretendere risultati nell’immediato mi hanno aiutata ad arrivare dove sono ora. La laurea non è un punto di arrivo, ma di partenza. Serve gavetta, fatta da persone serie e affidabili”.
È andata via da laureata e ritornata qui in più occasioni da professionista. Cosa si prova?
“È stupendo ed emozionante tutte le volte. Non avrei mai pensato di stare dall’altra parte della cattedra. Ci tengo a trasmettere ai ragazzi quanto sia bello e importante il nostro Corso di studi”.
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