Approvare o respingere la riforma Renzi-Boschi? Questo è il dilemma. Il 4 dicembre gli italiani saranno chiamati alle urne per votare Sì o No al Referendum Costituzionale (per cui non è necessario il raggiungimento del quorum ma vincerà l’opzione che ha ottenuto la maggioranza dei consensi a prescindere dal numero di votanti) richiesto da un terzo del Parlamento secondo l’art. 138 della Costituzione Italiana che si intende stravolgere o solo modificare, a seconda dei punti di vista, nella sua seconda parte. E sono proprio le diverse, o meglio, opposte vedute che hanno alimentato la diatriba politica sulle ragioni del Sì e del No, ovvero tra chi sostiene la Riforma in tutti i suoi punti e chi invece la reputa senza ombra di dubbio incostituzionale. La stessa che ha animato l’incontro tenutosi il 17 ottobre a Palazzo Episcopio di Caserta in una gremita biblioteca del Seminario Vescovile, accreditato all’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere, promosso da Associazione Risorse e Futuro e dal Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda Università, e moderato dal Direttore di Dipartimento Lorenzo Chieffi. La carrellata dei numerosi tentativi di attuare nel tempo il disegno di legge governativo dai contenuti ricorrenti sin dalla prima commissione di Riforma guidata dal senatore Bozzi, ovviamente tutti falliti, ha introdotto il dibattito tra i sostenitori del Sì, Tommaso Edoardo Frosini, docente di Diritto Pubblico Comparato al Suor Orsola Benincasa, e Lucio Romano della Commissione permanente Affari Costituzionali del Senato, e i sostenitori del No, Claudio De Fiores, docente di Diritto Costituzionale alla Sun, e Carlo Sarro della Commissione Giustizia della Camera. Un apporto più tecnico e meno politico di docenti e parlamentari alla comprensione della Riforma per avere più consapevolezza e
convinzione al momento del voto e non farsi trovare impreparati o troppo confusi. Il testo della Riforma introduce in breve diverse novità: l’abolizione del bicameralismo paritario e del Cnel e quindi il rafforzamento del Governo, la riduzione del numero dei parlamentari, un nuovo rapporto tra Stato centrale e regioni, l’introduzione del Referendum Propositivo, la modifica del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica e l’aumento del numero delle firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare (150 mila contro le 50 mila attuali). Per i sostenitori del Sì non si tratta di una riforma epocale ma di una sorta di manutenzione di alcune parti del testo costituzionale che deve così adeguarsi ai tempi e garantire maggiore stabilità ad un Paese che ha visto 63 governi alternarsi negli ultimi 70 anni. Lo ha ribadito il prof. Frosini che fomenta l’adeguamento alle altre democrazie europee in cui non esiste un bicameralismo paritario, considerato oggi qualcosa di vecchio, stantio e superato. “Le due debolezze fatali della storia repubblicana sono stati la minorità dell’esecutivo e il bicameralismo perfetto”,
lo ha affermato anche l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si è schierato tra i fautori del Sì. Per cui la riforma dice addio alla vecchia composizione delle due Camere con notevoli benefici in termini di tempo per quanto riguarda la produzione e l’approvazione delle leggi e il voto alla fiducia al Governo per cui si instaura un
esclusivo rapporto di fiducia con la Camera dei Deputati. Dal suo canto il Senato diventerà una Camera rappresentativa delle autonomie locali così da consentire e favorire un dialogo continuo tra Stato e Regioni e farà da ‘camera di compensazione’ tra Governo centrale e poteri locali, facendo calare i casi di contenzioso tra Stato e Regioni e i ricorsi alla Corte Costituzionale. Il ddl Renzi- Boschi propone, come già detto, una diminuzione del numero dei parlamentari che vuol dire risparmio sulla spesa pubblica. In generale, per i sostenitori del Sì, con l’approvazione della riforma migliorerebbe la qualità della democrazia in Italia. Ma per il comitato del No siamo davanti a una riforma troppo complessa e pericolosa in cui un Governo non legittimato politicamente vuole
modificare ben 47 articoli del testo costituzionale e dunque ‘anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo’. Intervenire sulla Costituzione è un po’ come operare a cuore aperto: occorre molta cautela. Ed è questa la critica mossa dal prof. De Fiores e dall’on. Sarro il quale avanza l’ipotesi dell’esistenza di una sorta di clausola di eternità della Costituzione che oggi come ieri rappresenta per iscritto la coesione di uno Stato e la sua identità. “Eventuali modifiche o alterazioni del testo – ha
spiegato – devono essere affrontate da una assemblea costituente estranea alla dialettica politica”. La Costituzione, dunque, si scrive insieme e si condivide. Per il comitato del No si tratta di una riforma non legittima perché prodotta da un Parlamento con una legge elettorale, conosciuta come Porcellum, dichiarata incostituzionale dalla Corte nel 2014. Non si supererebbe il bicameralismo paritario ma si creerebbero soltanto conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni e tra Camera e il nuovo Senato che sarà composto da amministratori locali che godrebbero anche loro della immunità parlamentare. Per non parlare dell’Italicum, la nuova legge elettorale che ha sostituito il Porcellum, ovvero un proporzionale che assegna un illegittimo premio di maggioranza, che accentra il potere nelle sole mani del Governo, di un solo partito politico e di un solo leader.
Altro che democrazia. Anche il punto sul processo di produzione delle leggi è molto discusso: la riforma non lo semplifica ma lo complica, per cui le norme che regolano il nuovo Senato produrrebbero addirittura sette procedimenti legislativi diversi. E in ultima analisi non si risparmierebbe quanto promesso: si stima solo il 20%, se non di meno. Salto di qualità o salto nel buio? Ai posteri l’ardua sentenza.
Claudia Monaco
convinzione al momento del voto e non farsi trovare impreparati o troppo confusi. Il testo della Riforma introduce in breve diverse novità: l’abolizione del bicameralismo paritario e del Cnel e quindi il rafforzamento del Governo, la riduzione del numero dei parlamentari, un nuovo rapporto tra Stato centrale e regioni, l’introduzione del Referendum Propositivo, la modifica del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica e l’aumento del numero delle firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare (150 mila contro le 50 mila attuali). Per i sostenitori del Sì non si tratta di una riforma epocale ma di una sorta di manutenzione di alcune parti del testo costituzionale che deve così adeguarsi ai tempi e garantire maggiore stabilità ad un Paese che ha visto 63 governi alternarsi negli ultimi 70 anni. Lo ha ribadito il prof. Frosini che fomenta l’adeguamento alle altre democrazie europee in cui non esiste un bicameralismo paritario, considerato oggi qualcosa di vecchio, stantio e superato. “Le due debolezze fatali della storia repubblicana sono stati la minorità dell’esecutivo e il bicameralismo perfetto”,
lo ha affermato anche l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si è schierato tra i fautori del Sì. Per cui la riforma dice addio alla vecchia composizione delle due Camere con notevoli benefici in termini di tempo per quanto riguarda la produzione e l’approvazione delle leggi e il voto alla fiducia al Governo per cui si instaura un
esclusivo rapporto di fiducia con la Camera dei Deputati. Dal suo canto il Senato diventerà una Camera rappresentativa delle autonomie locali così da consentire e favorire un dialogo continuo tra Stato e Regioni e farà da ‘camera di compensazione’ tra Governo centrale e poteri locali, facendo calare i casi di contenzioso tra Stato e Regioni e i ricorsi alla Corte Costituzionale. Il ddl Renzi- Boschi propone, come già detto, una diminuzione del numero dei parlamentari che vuol dire risparmio sulla spesa pubblica. In generale, per i sostenitori del Sì, con l’approvazione della riforma migliorerebbe la qualità della democrazia in Italia. Ma per il comitato del No siamo davanti a una riforma troppo complessa e pericolosa in cui un Governo non legittimato politicamente vuole
modificare ben 47 articoli del testo costituzionale e dunque ‘anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo’. Intervenire sulla Costituzione è un po’ come operare a cuore aperto: occorre molta cautela. Ed è questa la critica mossa dal prof. De Fiores e dall’on. Sarro il quale avanza l’ipotesi dell’esistenza di una sorta di clausola di eternità della Costituzione che oggi come ieri rappresenta per iscritto la coesione di uno Stato e la sua identità. “Eventuali modifiche o alterazioni del testo – ha
spiegato – devono essere affrontate da una assemblea costituente estranea alla dialettica politica”. La Costituzione, dunque, si scrive insieme e si condivide. Per il comitato del No si tratta di una riforma non legittima perché prodotta da un Parlamento con una legge elettorale, conosciuta come Porcellum, dichiarata incostituzionale dalla Corte nel 2014. Non si supererebbe il bicameralismo paritario ma si creerebbero soltanto conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni e tra Camera e il nuovo Senato che sarà composto da amministratori locali che godrebbero anche loro della immunità parlamentare. Per non parlare dell’Italicum, la nuova legge elettorale che ha sostituito il Porcellum, ovvero un proporzionale che assegna un illegittimo premio di maggioranza, che accentra il potere nelle sole mani del Governo, di un solo partito politico e di un solo leader.
Altro che democrazia. Anche il punto sul processo di produzione delle leggi è molto discusso: la riforma non lo semplifica ma lo complica, per cui le norme che regolano il nuovo Senato produrrebbero addirittura sette procedimenti legislativi diversi. E in ultima analisi non si risparmierebbe quanto promesso: si stima solo il 20%, se non di meno. Salto di qualità o salto nel buio? Ai posteri l’ardua sentenza.
Claudia Monaco