Ruggero Cappuccio incontra gli studenti

Drammaturgia e vita, il fulcro dell’incontro che si è tenuto nel pomeriggio del 27 marzo presso l’Aula Magna Piovani del Dipartimento di Studi Umanistici. Protagonista d’eccezione il drammaturgo e regista napoletano Ruggero Cappuccio, neo Direttore del Napoli Teatro Festival, invitato a dialogare con una platea mista di curiosi sul suo percorso di uomo di teatro a tutto tondo. L’iniziativa, curata dal prof. Mariano D’Amora, rientra nella rassegna di attività formative destinate agli studenti del Corso di Laurea Magistrale in ‘Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria’. “Un Corso, attivo da pochi mesi, che vuole coniugare l’esperienza teorica con la pratica, grazie al contributo offerto da chi il teatro lo fa in scena ma lo progetta anche sulla pagina”, queste le parole pronunciate dal Coordinatore Giancarlo Alfano per dare il benvenuto al rinomato ospite in occasione del suo debutto al Teatro San Ferdinando con lo spettacolo ‘Circus Don Chisciotte’. “Ho incontrato Ruggero Cappuccio per la prima volta nel 2008, proprio nel periodo in cui avevo appena completato la mia tesi di dottorato sulla drammaturgia napoletana. Allora mi interrogavo sull’aspetto che essa avesse assunto dopo gli anni Ottanta, in cui regnavano le figure di Enzo Moscato, Annibale Ruccello e Manlio Santanelli. Inevitabile fu per me l’incontro fatale con l’opera di Cappuccio”, esordisce il prof. D’Amora, docente di Drammaturgia teatrale, prima di presentare attraverso la visione di alcuni filmati le scritture giovanili dell’autore.
Uno Shakespeare ‘napulegno’
‘Shakespea Re di Napoli’ (1994). “È un testo nato a partire dalla mia meditazione sui sonetti shakespeariani, i quali, come è noto, sono dedicati a un anonimo, alla ricerca della cui identità il mio testo si sviluppa, in un gioco di interrogativi che attraverso le vicende dei due vagabondi protagonisti porterà a una soluzione tutta nuova, rivelando il nesso tra Napoli e il mistero in questione”. Sembrano difatti essere proprio il vagabondo, l’emarginato, l’outsider le figure paradigmatiche con cui Cappuccio è più volte venuto a confrontarsi lungo tutto il suo percorso autoriale. “Questo può aiutarci a capire la funzione della drammaturgia a cavallo tra fine Novecento e gli inizi del nuovo millennio”, interviene D’Amora. Che continua: “Se Moscato e Ruccello elaborano il concetto di marginalità sul piano sociale, antropologico e geografico, facendosi seguaci del loro antesignano, Eduardo, Cappuccio si concentra più su una marginalità dell’anima, sul rapporto liminale dei suoi personaggi col mondo, anziché soffermarsi sulle loro caratteristiche o specificità di appartenenza”. Il legame di Shakespeare con Napoli è piuttosto onirico, poiché è diffuso il richiamo a luoghi partenopei in tutto il suo macrocosmo letterario. “Basti pensare a ‘La tempesta’, i cui protagonisti per l’appunto provengono dal Regno di Napoli. La nostra città è un archetipo che il Bardo sa conoscere e all’occorrenza elaborare”. Il drammaturgo, oggi 53enne, ricorda poi con nostalgia la gestazione del suo Shakespeare ‘napulegno’redatto all’alba dei trent’anni. “Padroneggiare così giovane una lingua tanto complicata come il napoletano del Seicento, per cui adoperai una struttura fatta di endecasillabi e settenari, non fu cosa da poco”. Sotto un altro aspetto, “ero favorito dal fatto che l’antico napoletano avesse qualità assai prossime all’inglese elisabettiano. Lo stesso Calvino, in fondo, ha definito Basile uno ‘Shakespeare deforme’”. Uno degli obiettivi del regista teatrale è stato, infatti, chiarire agli studenti la profonda differenza tra lingua scritta per la letteratura e quella parlata per il palcoscenico, la prima fatta di segni e l’altra di suoni, così da incoraggiare un ragionamento sulle potenzialità musicali delle lingue di scena, il napoletano una di queste. “La mia lingua – prosegue Cappuccio – mi consentiva di risvegliare le qualità sopite, oscurate e trascurate dalle innumerevoli traduzioni letterarie dell’opera del Bardo”. E se la letteratura produce le parole perché siano lette, è vero anche che “la lingua si ascolta, se ne fruisce con gli  occhi e con le orecchie, perché il teatro
è un’esperienza sensuale”.
Un docufilm su Borsellino
Il fuoco del dibattito si è spostato sul documentario televisivo dedicato alla memoria del magistrato, ‘Paolo Borsellino – Essendo Stato’ (2006), nel quale Cappuccio, nelle vesti del giudice, ripercorre tra realtà e invenzione narrativa aspetti salienti della storia del personaggio, pochi attimi prima dell’attentato in cui perse la vita. “Mi interessava soffermarmi sulle azioni concrete compiute da Borsellino – afferma Cappuccio – parlare di fatti, non tanto di ideali.
Per esempio, ho raccolto numerosi aneddoti personali e complementari al suo mestiere”. Questo lavoro, seppur di tutt’altro intento e natura, “è anch’esso imparentato con la lingua. Ha un codice genetico, in senso culturale, di cui farsi erede. Se il napoletano corre sempre il rischio della sceneggiata, il siciliano  sembra atto di per sé a scolpire la tragedia in ogni sua forma”. L’ospite prosegue così un itinerario mnemonico in cui attraversa altri momenti
del suo operato, quali l’allestimento ‘Spaccanapoli Times’ (2015), fino ad arrivare all’attuale produzione, ‘Circus Don Chisciotte’: “uno studio su un soggetto che fa una fatica immane a sintonizzarsi col resto dell’umanità. Una condizione in cui mi rispecchio davvero molto”.
Agli studenti “Agite concretamente”
Non tardano a giungere numerose le domande sul percorso formativo intrapreso da Cappuccio e su quali  siano le vie maestre da percorrere. Il primo consiglio è: “Agite concretamente”. Anche al Napoli Teatro Festival, “il mio obiettivo è stato il raggiungimento di questo genere di concretezza: delle scelte in cartellone si potrà dire che sono più o meno interessanti delle altre edizioni, ma sono interpretazioni tutte da argomentare”. Invece, “il prezzo dei biglietti si ridurrà almeno di un terzo, per voi studenti e per i pensionati ancor di più. Altre categorie potranno accedere gratuitamente. E questo è un fatto”. Dicasi lo stesso per alcuni corsi di formazione organizzati nel contesto del Festival. “Numerosi saranno i laboratori rivolti ai giovanissimi con registi di fama internazionale – Peter Brook e il lituano Nekrosius, ad esempio – tutti a titolo gratuito. Ma i Maestri possono ricercarsi anche al di fuori. Non è affatto vero che ce ne sia penuria”. Ben altre sono le mancanze effettive con cui confrontarsi nel quotidiano secondo il regista: “Viviamo in un’epoca in cui la deportazione, un tempo fisica e materiale, ora è mentale. L’obiettivo di un certo capitalismo, quello della società tecnologica e progressista, è spegnerci tutti, ridurci a una funzione”. Il teatro può essere un valido antidoto, “una psicanalisi tutta particolare, un esercizio di presenza. Quando mi capita di fare l’attore, so che per tutto il tempo dell’opera nulla di male potrà davvero accadermi. Sono lì, presente e concentrato, coltivo e posso alimentare rapporti reali, immaginari, addirittura impossibili”. In altre parole, ogni drammaturgo ha un sogno e ne scrive altri in forma di scena. “A questo sogno, attori e registi lavorano, lo integrano, lo completano. Ciò che gli si chiede è solo di sognare tutti assieme”.
Sabrina Sabatino
- Advertisement -




Articoli Correlati