“Ogni persona che muore c’è un fiore che nasce” dice un proverbio cinese. Quando muore però un grande, a fiorire è un intero campo di fiori, una prateria, si potrebbe dire parafrasando. E la scomparsa del prof. Scipione Bobbio, docente di Ingegneria, scienziato di chiara fama, professore amato, leader carismatico, esponente autorevole per lunghi anni della politica accademica del Federico II, capo di una scuola di Ingegneria Elettrica che (da allievo del prof. Gasparini, anch’egli indimenticato) ha portato oltre 30 fra professori ordinari, associati e decine di ricercatori in cattedra lascia una grande eredità, scientifica e di impegno civile. Se l’è portato un tumore, il 22 febbraio, all’età di 58 anni.
Fiori, praterie, nuove forze nella docenza, nell’impegno scientifico e civile, dicevamo. Dal Preside Oreste Greco, suo collega di studi più che allievo, ma che Bobbio ha sempre spronato con decisione, all’amico fraterno e collega Luciano De Menna, al prof. Lupò, a Raffaele Martone oggi pedina fondamentale di Ingegneria al Secondo Ateneo che con lui si è laureato, al prof. Rubinacci, Preside a Cassino, ad Egiziano già ProRettore all’Università di Salerno, a Coccolese (Preside in Calabria) ai trenta-quarantenni, “i giovani”: Raffaele Albanese, Serpico, Miano, Luigi Verolino. Già, i giovani, a cui Bobbio ha sempre dedicato attenzione da maestro e tanto tempo. Giovani che ai funerali -che l’ateneo in pompa magna insieme al Comune di Napoli ha voluto dedicare ospitando la camera ardente nell’atrio dell’Università centrale del Federico II-, abbiamo notato, ancora increduli, piangere lacrime vere, incontenibili per tutta la cerimonia (durata circa un’ora). Disperarsi, piangere un grande stimato padre, un faro oltre che un amico e un maestro di vita. Come il prof. Luigi Verolino, 35/40 anni, professore associato e di cui si dice un gran bene, che come altri suoi giovani colleghi e neo laureati, un gruppetto di 7-8 persone, si sono distinti nella sofferenza, equiparabile solo a quella dei familiari di Bobbio.
Verolino non ha voluto commentare con noi, a caldo il professore, era ancora troppo incredulo di quanto era accaduto. Se ne è andato che parlava da solo. Il prof. Carlo Meola, anch’egli di Ingegneria, ci ha detto che 10-15 giorni prima di morire, il prof. Bobbio, su un letto della clinica Mediterranea era proprio con lui, con Verolino, fra gli allievi modello, il quale gli riferiva delle attestazioni di stima pervenute quel giorno per un loro articolo scientifico a quattro mani. Bobbio ascoltava ma si capiva che stava male. “Non mi ha quasi neppure riconosciuto” aveva commentato in lacrime Verolino a Meola. Meola e Bobbio, suo coetaneo, con cui per dieci anni aveva trascorso le vacanze così lo ricorda mentre evidenzia “il riconoscimento tardivo di istituzioni accademiche e cittadine”: “figlio spirituale del prof. Gasparrini, Bobbio è stato un grande caposcuola: ha rifondato la scuola elettrotecnica napoletana, gli ha dato una sterzata, l’ha fatta tornare a credere in se stessa facendo lavorare tutti di buona lena. Testardo, caparbio, anche spigoloso, il suo è stato un contributo scientifico determinante. Intanto i suoi allievi imparavano e crescevano in libertà. Perché Bobbio oltre ad inculcargli le nozioni fondamentali della disciplina e il metodo, li lasciava liberi nei loro filoni di ricerca”. Tutto questo poteva avvenire grazie alla personalità di Scipione Bobbio.
Fiori, praterie, nuove forze nella docenza, nell’impegno scientifico e civile, dicevamo. Dal Preside Oreste Greco, suo collega di studi più che allievo, ma che Bobbio ha sempre spronato con decisione, all’amico fraterno e collega Luciano De Menna, al prof. Lupò, a Raffaele Martone oggi pedina fondamentale di Ingegneria al Secondo Ateneo che con lui si è laureato, al prof. Rubinacci, Preside a Cassino, ad Egiziano già ProRettore all’Università di Salerno, a Coccolese (Preside in Calabria) ai trenta-quarantenni, “i giovani”: Raffaele Albanese, Serpico, Miano, Luigi Verolino. Già, i giovani, a cui Bobbio ha sempre dedicato attenzione da maestro e tanto tempo. Giovani che ai funerali -che l’ateneo in pompa magna insieme al Comune di Napoli ha voluto dedicare ospitando la camera ardente nell’atrio dell’Università centrale del Federico II-, abbiamo notato, ancora increduli, piangere lacrime vere, incontenibili per tutta la cerimonia (durata circa un’ora). Disperarsi, piangere un grande stimato padre, un faro oltre che un amico e un maestro di vita. Come il prof. Luigi Verolino, 35/40 anni, professore associato e di cui si dice un gran bene, che come altri suoi giovani colleghi e neo laureati, un gruppetto di 7-8 persone, si sono distinti nella sofferenza, equiparabile solo a quella dei familiari di Bobbio.
Verolino non ha voluto commentare con noi, a caldo il professore, era ancora troppo incredulo di quanto era accaduto. Se ne è andato che parlava da solo. Il prof. Carlo Meola, anch’egli di Ingegneria, ci ha detto che 10-15 giorni prima di morire, il prof. Bobbio, su un letto della clinica Mediterranea era proprio con lui, con Verolino, fra gli allievi modello, il quale gli riferiva delle attestazioni di stima pervenute quel giorno per un loro articolo scientifico a quattro mani. Bobbio ascoltava ma si capiva che stava male. “Non mi ha quasi neppure riconosciuto” aveva commentato in lacrime Verolino a Meola. Meola e Bobbio, suo coetaneo, con cui per dieci anni aveva trascorso le vacanze così lo ricorda mentre evidenzia “il riconoscimento tardivo di istituzioni accademiche e cittadine”: “figlio spirituale del prof. Gasparrini, Bobbio è stato un grande caposcuola: ha rifondato la scuola elettrotecnica napoletana, gli ha dato una sterzata, l’ha fatta tornare a credere in se stessa facendo lavorare tutti di buona lena. Testardo, caparbio, anche spigoloso, il suo è stato un contributo scientifico determinante. Intanto i suoi allievi imparavano e crescevano in libertà. Perché Bobbio oltre ad inculcargli le nozioni fondamentali della disciplina e il metodo, li lasciava liberi nei loro filoni di ricerca”. Tutto questo poteva avvenire grazie alla personalità di Scipione Bobbio.
Meola:
“intitoliamo
il Dipartimento
a Bobbio”
“intitoliamo
il Dipartimento
a Bobbio”
“Quando le cose non funzionavano lui si incazzava. Con gli studenti e con i docenti. Se uno studente non era preparato, anche se lo teneva sotto esame per mezz’ora era inflessibile: bocciato; oppure voto basso”. E tutti lo accettavano rispettosi: “perché aveva un grande carisma, anche spigoloso, ma con una grande qualità mentale: che metteva energia, che dava la scossa. Una persona buona, anche capace di cambiare idea se capiva di aver fatto un ’errore e soprattutto mai incline al compromesso”. Come oggi ce ne sono pochi. “Persona estremamente convinta delle sue idee, comunista da sempre, ma forse più vicino ai fondatori del Partito d’Azione: al Presidente della Repubblica Ciampi, che conobbe da Ministro del Tesoro e Presidente del Consiglio al Comune di Napoli, un incontro ed un ricordo straordinario per Bobbio”. Una situazione molto spartana come condizione di vita, “una casa a Bagnoli di un solo vano con accessori; un eccesso di tempo dedicato allo studio, alla ricerca ed alla vita universitaria; quasi nulla alla vita privata”, era una persona di grande modestia. “Un figlio, a cui ha impedito di fare concorsi al Comune, per evitare critiche quando lui era assessore con Bassolino.
Con Bobbio molti suoi allievi hanno perso un faro. Ma alcuni di loro, ragazzi bravissimi, sopra la media, come Miano e Verolino, un giorno potranno essere i nuovi capiscuola, di cui c’è sempre bisogno”. Il prof. Meola si sente di lanciare una proposta: “intitoliamo il Dipartimento di Elettrotecnica al prof. Scipione Bobbio. È il minino che si possa fare”.
La cerimonia funebre
all’Università
Con Bobbio molti suoi allievi hanno perso un faro. Ma alcuni di loro, ragazzi bravissimi, sopra la media, come Miano e Verolino, un giorno potranno essere i nuovi capiscuola, di cui c’è sempre bisogno”. Il prof. Meola si sente di lanciare una proposta: “intitoliamo il Dipartimento di Elettrotecnica al prof. Scipione Bobbio. È il minino che si possa fare”.
La cerimonia funebre
all’Università
Il giorno dei funerali di Bobbio, sul quotidiano Il Mattino è apparsa oltre mezza pagina di necrologi. Ci ha colpito fra questi, quello del notaio Tino Santangelo, Presidente del Consiglio Comunale. Recitava: “amico carissimo, fisico illustre, politico illuminato, che ha saputo dare alla Scienza e alla città un suo esempio di coerenza, di passione civile e di correttezza morale e istituzionale”.
Alla cerimonia funebre all’università sono intervenute oltre 300 persone, una enorme folla commossa. Tante autorità, professori, studenti. Tessitore lo ha ricordato come “professore amato, stimato e invidiato”. Sentite le parole del Sindaco Antonio Bassolino: “ho conosciuto Bobbio nel ’93, in una Napoli che era molto diversa. Un carattere forte a volte anche spigoloso.
È stato uno di quelli che mi è stato vicino da subito, in modo anche inusuale.
Scipione fece parte di una squadra che io scelsi in assoluta autonomia fatta di persone di grande competenza.
Mise mano alla macchina comunale e riuscì a salvare 2.000 dipendenti che il Comune in dissesto stava per mettere fuori, licenziarli”.
“Persona dignitosa, anche nella malattia. Ci lascia un pezzo di vita e della nostra storia cittadina”.
“Io spero che competenze ed intelligenze, libere, continuino nell’impegno in città. In modo libero, anche mandando a quel paese il sindaco della città quando non si è d’accordo. Ricorderò lo straordinario rigore morale e la trasparenza di Scipione. Ciao, Scipione”.
È toccato al prof. Luciano De Menna, suo collega e “discepolo” (come sostengono alcuni) quasi coetaneo, comunemente impegnato nella ricerca scientifica e nell’ateneo. Ha tracciato un affettuoso ricordo del docente scomparso. “Il male lo ha colpito dove lui aveva la sua forza: la testa, il suo cervello. Scipione era soprattutto un professore, un insegnante. Le sue lezioni erano limpide ed appassionate. Usciva dall’aula sempre sudato e consumato, con quella sua voce forte. Non si è mai stancato di insegnare. Scipione era un ricercatore esemplare, uno studioso per vocazione, straordinario. Un’altra persona così non l’ho mai conosciuta. Riusciva a montare e smontare teorie. Se in un’analisi c’era un errore di calcolo o di altro genere, nel nostro gruppo di studiosi lui era l’unico che poteva risolverlo, era a lui che ci rivolgevamo”.
“Manutenzione culturale, così chiamava la rivisitazione di alcune teorie”.
Ma era anche “un attento amministratore, nell’università ed in città. Il suo contributo alla svolta napoletana (al tanto decentrato “rinascimento” n.d.r.) fu determinante (Bassolino: “quando arrivammo al Comune non avevamo neppure un computer” oggi è una macchina risanata). Abbiamo perso un grande scienziato, un professore ed un amico”.
Alle 11.45 la bara è andata via, tra gli applausi dei presenti che salutavano: “è il minimo che possiamo fare per Scipione”.
Alla cerimonia funebre all’università sono intervenute oltre 300 persone, una enorme folla commossa. Tante autorità, professori, studenti. Tessitore lo ha ricordato come “professore amato, stimato e invidiato”. Sentite le parole del Sindaco Antonio Bassolino: “ho conosciuto Bobbio nel ’93, in una Napoli che era molto diversa. Un carattere forte a volte anche spigoloso.
È stato uno di quelli che mi è stato vicino da subito, in modo anche inusuale.
Scipione fece parte di una squadra che io scelsi in assoluta autonomia fatta di persone di grande competenza.
Mise mano alla macchina comunale e riuscì a salvare 2.000 dipendenti che il Comune in dissesto stava per mettere fuori, licenziarli”.
“Persona dignitosa, anche nella malattia. Ci lascia un pezzo di vita e della nostra storia cittadina”.
“Io spero che competenze ed intelligenze, libere, continuino nell’impegno in città. In modo libero, anche mandando a quel paese il sindaco della città quando non si è d’accordo. Ricorderò lo straordinario rigore morale e la trasparenza di Scipione. Ciao, Scipione”.
È toccato al prof. Luciano De Menna, suo collega e “discepolo” (come sostengono alcuni) quasi coetaneo, comunemente impegnato nella ricerca scientifica e nell’ateneo. Ha tracciato un affettuoso ricordo del docente scomparso. “Il male lo ha colpito dove lui aveva la sua forza: la testa, il suo cervello. Scipione era soprattutto un professore, un insegnante. Le sue lezioni erano limpide ed appassionate. Usciva dall’aula sempre sudato e consumato, con quella sua voce forte. Non si è mai stancato di insegnare. Scipione era un ricercatore esemplare, uno studioso per vocazione, straordinario. Un’altra persona così non l’ho mai conosciuta. Riusciva a montare e smontare teorie. Se in un’analisi c’era un errore di calcolo o di altro genere, nel nostro gruppo di studiosi lui era l’unico che poteva risolverlo, era a lui che ci rivolgevamo”.
“Manutenzione culturale, così chiamava la rivisitazione di alcune teorie”.
Ma era anche “un attento amministratore, nell’università ed in città. Il suo contributo alla svolta napoletana (al tanto decentrato “rinascimento” n.d.r.) fu determinante (Bassolino: “quando arrivammo al Comune non avevamo neppure un computer” oggi è una macchina risanata). Abbiamo perso un grande scienziato, un professore ed un amico”.
Alle 11.45 la bara è andata via, tra gli applausi dei presenti che salutavano: “è il minimo che possiamo fare per Scipione”.
Paolo Iannotti