Sfidare, creare, fare networking: le migliori pratiche per la nascita di una impresa

L’idea c’è, è buona e sembra che sul mercato non ci sia nulla di simile. E ora? Come si trasforma un’idea di ricerca in un business di successo? Certo la strada è in salita e irta di difficoltà – economiche, tecniche e motivazionali – ma niente paura. Fare impresa si può, conoscendo bene il terreno di sfida e avendo cognizione di quali sono, e come superare, i più frequenti ostacoli che si possono incontrare lungo il percorso di costituzione di uno spin-off universitario. È tutto un procedere tra criticità e possibili soluzioni “Le sfide di una startup”, il primo dei sei seminari organizzati dallo Start up Lab dell’Università Vanvitelli nell’ambito delle attività formative che precedono Start Cup Campania 2021. Ad aprire l’incontro via Teams, il 3 giugno, i saluti del prof. Luigi Zeni, Delegato d’Ateneo per le Attività di Trasferimento Tecnologico e dei Consorzi. A tenere la lezione, invece, è il prof. Mario Sorrentino, Direttore dello Start up Lab e Coordinatore Scientifico del ciclo di seminari. “Il titolo che abbiamo scelto per il nostro ciclo di lezioni è ‘Creare un’impresa: le sfide per il successo’. È emblematico direi. Ma che cosa succede quando appare quel barlume che vuole spingersi fino a diventare un’idea di impresa?”. Dar vita ad una startup implica un coacervo di fattori trasversali. Li elenca. Sfidare, “che vuol dire differenziarsi dalla norma, portare qualcosa di nuovo rispetto a quello che c’è già”; creare, “perché la creatività è sempre dietro l’imprenditorialità. Significa trovare soluzioni nuove per soddisfare esigenze nuove”; tollerare l’ambiguità, “dal momento che bisogna essere pronti, e lucidi, a portare avanti l’azienda in presenza di situazioni dirompenti”; assumere dei rischi, “calcolati, al punto che l’imprenditore possa comunque avere il controllo della situazione”; articolare una visione, “il che vuol dire essere bravi a colorare la propria idea di business per presentarla agli altri”; trasmettere, “cioè entrare in connessione con i vari soggetti terzi e convincerli”, e infine fare networking, “essendo fondamentale sapersi relazionare con le persone. Questa forse è una piccola nota dolente quando si parla di spin-off proprio perché il ricercatore è principalmente un uomo da laboratorio. Ma c’è da dire che l’open science sta cambiando i connotati del fare ricerca”. Sette best practices, queste, valide “ogni qual volta nasca una nuova azienda. Un po’ amplificate nel caso in cui provenga dal mondo della ricerca e dei laboratori universitari”.
Gli spin-off da ricerca
Dalla letteratura riprende e propone, poi, un semplice schema, riassuntivo degli stadi di sviluppo e delle criticità rilevanti negli spin-off da ricerca. Cinque sono le tappe identificate e quattro, di conseguenza, le criticità che si possono incontrare passando da uno stadio all’altro. “Poniamo il caso che mentre si fa ricerca accada qualcosa: nasce un desiderata. Da questo stadio zero si deve arrivare all’identificazione dell’opportunità – cioè del risultato di ricerca degno di sfruttamento economico o di perfezionamento promosso da accademici, ricercatori già affermati o all’inizio della propria carriera – La criticità in cui ci si può imbattere, in questo caso, sta proprio nel non riuscire a riconoscere l’opportunità in questione. Cioè nel non sapere identificare i reali bisogni del mercato o i clienti, né prefigurare le risorse per tramutare l’idea in applicazione e nell’allungare i tempi di definizione del business model”. Vengono in aiuto allora gli Uffici di Trasferimento Tecnologico universitari e la regolamentazione. Delineata un’idea di tecnologia e un mercato sul quale posizionarla, lo step successivo è arrivare ad una forma di pre-organizzazione, “al dare un’identità allo spin-off. Per questa fase è necessario il coinvolgimento dei promotori dal momento che ci si accinge a superare la soglia di pura desiderabilità dell’idea imprenditoriale e ci sarà da impegnarsi attivamente investendo tempo e capitali”. Possono pesare sul coinvolgimento: risvolti motivazionali, “a seconda che si stia cercando visibilità o un’alternativa alla carriera”, tratti psicologici ed esperienza imprenditoriale pregressa. Un aiuto può essere la cosiddetta imprenditorialità scientifica surrogata, “cioè l’affiancamento di un business man di quel settore che entra nel team e assume il ruolo di promoter. Ha la giusta motivazione, buona esperienza imprenditoriale, farà networking, ma attenzione perché non è colui che ha fatto la ricerca né ha conoscenze pregresse e familiarità in merito alla tecnologia in questione”. Dopo la costituzione presso un notaio e l’autorizzazione del proprio Ateneo, per passare al quarto step, l’ingresso sul mercato, “il business alla base dello spin-off deve raggiungere un elevato livello di credibilità, ecco la criticità, in modo da acquisire risorse di varia natura da stakeholder esterni, quali venture capitalist, fornitori o potenziali clienti”. Tre le risorse principali da avere per essere credibili: finanziarie, “ma può essere difficile ottenere capitali esterni, causa un disallineamento di conoscenza tra il potenziale investitore e il promotore e l’elevata incertezza dei risultati di uno spin-off”; umane, “per cui bisognerebbe inglobare nel team profili con competenze manageriali e organizzative e profili ad elevata qualificazione scientifica”, e di business, “come il primo cliente che dà feedback su cosa voglia il mercato o, ancora, la networking capability”. Giova qui “la partecipazione a eventi come Start Cup Campania o il Premio Nazionale per l’Innovazione”. L’ultima sfida è il raggiungimento di una soglia di sostenibilità che comporterà finalmente il consolidamento imprenditoriale: “Quasi sicuramente l’innovazione andrà ridefinita o modificata e spesso il ricercatore è riluttante a farlo. Ma qui bisogna tenere in considerazione i feedback dei primi clienti e lo sviluppo di ulteriori conoscenze del promotore”. C’è poi la questione del ritorno economico, che dovrà esserci “per garantire la sopravvivenza e ulteriori risorse finanziarie e, infine, l’ultima criticità è la gestione della crescita dello spin-off che comporterà la necessità di strutturare ruoli e introdurre un meccanismo di delega”. Quanto sono stimolanti queste sfide? Alla platea di futuri startupper, il docente lascia l’ardua sentenza.
Carol Simeoli
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