Sicurezza sul lavoro, dibattito e proiezione di un film a Scienze del Servizio Sociale

Così tanto si è sentito parlare di ‘sicurezza sul lavoro’ negli ultimi mesi che è diventata quasi un’espressione astratta, uno slogan giornalistico, così come lo è quello delle ‘morti bianche’. Il 6 maggio, nella sede del Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale, in via Don Bosco, un seminario, promosso nell’ambito del corso di Legislazione sociale dal prof. Federico Putaturo, ha provato a ridare sostanza e concretezza a questo tema, attraverso un inquadramento giuridico e alcune testimonianze filmate. Nel corso del seminario, infatti, è prima intervenuto il prof. Mariorosario Lamberti, associato di Diritto del lavoro della Federico II, per poi lasciare spazio alle immagini e alle parole eloquenti del film ‘Morire di lavoro’, di Daniele Segre. Un documentario duro e asciutto che dà la parola direttamente, attraverso intensi primi piani, a lavoratori che hanno riportato pesanti danni fisici e morali in seguito ad incidenti sul lavoro e a familiari di operai che sul lavoro hanno perso la vita, per incidenti talvolta banali ed evitabili, raccontando il mondo spesso poco regolamentato dei cantieri edili, dove neanche l’elmetto o i guanti protettivi possono essere dati per scontati. Ma se dal punto di vista pratico è tuttora difficile ottenere in Italia l’applicazione diffusa di tutte le norme che tutelano la sicurezza sul posto di lavoro, bisogna anche considerare che dal punto di vista legislativo la situazione sembra essere in continuo mutamento. Da una parte infatti, come ricorda il prof. Lamberti, “l’Italia è uno dei paesi con più alto tasso di infortuni e morti sul lavoro in Europa; da un rapporto del febbraio 2008 emerge una media di 4 lavoratori morti al giorno. Secondo altre fonti sarebbero 3, ma si tratta comunque di circa 1000 morti all’anno”, dall’altra manca ancora nel nostro paese una stabilità per quanto riguarda le normative di riferimento, che proprio in questo periodo stanno per essere nuovamente modificate. “In Italia le norme fondamentali di riferimento in materia di sicurezza dei lavoratori rimangono quelle contenute nella Costituzione e nel Codice Civile; solo nel ’94 è stata emanata la prima legge più specifica, la 626, che in ossequio alla normativa comunitaria introduceva una regolamentazione mirata a prevenire gli infortuni piuttosto che limitarsi a sanzionarli, come invece avveniva in precedenza”.
La sistemazione della normativa riguardante la sicurezza sul lavoro si è avuta però soltanto con il d.l. 81 del 2008, il Testo Unico in materia di sicurezza varato dal Governo Prodi, salutato da molti come legge risolutiva che riusciva per la prima volta anche a connettere le varie normative di riferimento. Una soluzione che sembrava appunto essere definitiva ma che invece l’attuale governo, con uno schema di decreto legislativo approvato lo scorso 27 marzo, sta modificando ancora una volta. “Secondo il governo, il Testo unico andrebbe ‘semplificato’, riducendo vincoli e sanzioni, perché ‘troppo complicato’, e per le aziende risulterebbe troppo difficile mettersi in regola”, spiega il prof. Lamberti. “Ma questa bozza è già stata bocciata dall’ultima conferenza Stato-Regioni, in maniera compatta. Sembra continuare l’oscillazione in Italia tra normative troppo pesanti e datori di lavoro troppo piccoli che non riescono ad applicarla, ma in realtà, nel caso del Testo Unico, era stata prevista una serie di procedure semplificate e standardizzate proprio per venire incontro ai piccoli imprenditori”. Complessivamente, sottolinea il prof. Lamberti, la bozza di intervento del governo attualmente in discussione si traduce in un “taglio di obblighi e di sanzioni” per le imprese.
Eppure, una serie di concetti introdotti di recente non possono certo essere ridimensionati. Come quello della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” che, come spiega il prof. Lamberti, si traduce nella necessità di aggiornare le condizioni di sicurezza in base alle evoluzioni della tecnica, affidandosi ad appositi collaboratori competenti in materia. Oppure lo stesso concetto di sicurezza, che ormai non abbraccia la sola integrità fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore, come esplicitato da una norma del 2007. Così come i fattori di rischio non sono più soltanto “il piombo, l’amianto e il rumore”, il profilo contrattuale che va tutelato non è solo quello del lavoratore dipendente, ma anche delle nuove figure dominanti di collaboratore a progetto, volontario, socio di una cooperativa o persino volontario. Allo stesso modo i luoghi del rischio non sono solo la fabbrica o il cantiere, ma anche gli uffici o i luoghi di istruzione – un concetto non banale se si pensa che la Casa dello Studente de L’Aquila è crollata come un castello di sabbia. 
Nonostante possa essere complesso l’insieme delle norme riguardanti la sicurezza sul lavoro, sottolinea il prof. Lamberti, la soluzione non è ridurre le sanzioni, nella speranza che i datori di lavoro siano più stimolati a mettersi in regola, sarebbe importante invece prevedere un sistema di incentivi di natura premiale che ricompensi i lavoratori virtuosi in termini di sgravi fiscali. 
Tra tutti i casi più gravi di incidenti sul lavoro rimane tuttora emblematico quello della ThyssenKrupp a Torino, nel quale due anni fa morirono ben sette operai. La Thyessen, conferma il prof. Lamberti, rappresenta un caso di palese violazione delle norme di sicurezza: olio sul fondo dell’impianto, fiamme libere costanti, nessuna squadra antincendio addestrata, guasti continui, turni di lavoro massacranti. Ma, come sottolinea il prof. Putaturo alla fine dell’incontro, anche se non sempre la norma viene applicata, l’importante è che si sappia che esista e come funziona, in modo tale che possa essere sempre invocata.
(Vi.Sa.)
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