Spring School, dalla Scozia le transferable skills per i dottorandi in Scienza del Farmaco

Come si scrive un curriculum? Cosa può essere utile per sviluppare un’intervista? Qual è il modo migliore per far capire al pubblico la qualità dei propri esperimenti e, di conseguenza, la necessità dei relativi investimenti? È stata incentrata sulle transferable skills la Spring School, il percorso formativo
al quale hanno partecipato una ventina di dottorandi di ricerca in Scienza del Farmaco. Cinque le lezioni susseguitesi nei pomeriggi dall’8 al 12 maggio e tenute da tre docenti dell’Università di Glasgow. L’iniziativa è “giunta alla seconda edizione”. Lo ricorda in aula il dott. Pasquale Maffia, senior Lecturer all’Università di Glasgow e ricercatore di Farmacologia alla Federico II, che prosegue: “queste Scuole sono dedicate a tutte quelle abilità che potete trasferire in qualsiasi lavoro che andrete a svolgere”. È stato un approccio con una realtà accademica che può essere approfondito in virtù di un accordo tra le due Università coinvolte nel progetto: “chiunque frequenti il dottorato alla Federico II, se vuole, potrà essere regolarmente registrato presso Glasgow. Farà tutti gli assessment previsti in Scozia e alla fine avrà un titolo di studio che sarà emesso dall’Ateneo napoletano e accompagnato da certificato ufficiale rilasciato da Glasgow. Attesterà che il dottorato è stato fatto tra le due città”. Uno scambio che, nei primi giorni della Spring School, ha portato a
via Montesano il prof. Paul Garside (la prof.ssa Fiona Stubbs l’altro nome in programma), soffermatosi, tra vari argomenti, sul public engagement. Il tema ha visto gli studenti, chiamati a presentare in maniera convincente il proprio lavoro di ricerca in cinque minuti e in solo quattro slide, mettere alla prova le proprie capacità di persuasione e di conoscenza della lingua straniera. “È utile per noi capire come studiano ragazzi di altre università. Per Glasgow è interessante individuare i migliori studenti che potrebbero venire in Scozia a proseguire la propria formazione”, ha affermato il prof. Garside. La comunicazione è stata uno dei punti salienti delle sue lezioni: “oltre a incontri come quelli che si terranno in questa settimana, sarebbe opportuno sviluppare corsi on-line accessibili a tutti. Le Università potrebbero lavorare insieme a qualcosa del genere”. Proprio sul rapporto con la Federico II ha proseguito: “c’è una sinergia tra gli interessi di Glasgow e quelli di Napoli. Il Dipartimento di Farmacia ha competenze nel campo farmacologico. Glasgow, invece, studia prevalentemente l’immunologia e l’epatologia antinfiammatoria. Da questo punto di vista si può lavorare insieme e strutturare progetti comuni”. Ha esperienza di studio in terra straniera Danila Gurgone, laureatasi l’anno scorso in Farmacia con 109 e partita dopo aver vinto la borsa di
studio BET for Jobs: “sono stata in Scozia da giugno a settembre 2016. È stata un’esperienza fantastica che mi ha dato la voglia di iniziare questa carriera e di continuare a lavorare in un gruppo multietnico, un aspetto che offre tanto”. A Glasgow “è molto apprezzato l’essere indipendente. La città ti fa crescere, perché è una metropoli. Inoltre, ti fa incontrare persone come Paul Garside che, seppur affermate, hanno l’umiltà di dire grazie per il lavoro svolto ad una ragazza che è lì da poco”. C’era anche lei alla Spring School “per piacere, ma anche perché mi è utile per il mio assessment”. Nessun dramma con la lingua straniera: “durante l’Università ho fatto l’Erasmus a Madrid. Per la Scozia, quindi, sono partita che conoscevo soltanto lo spagnolo.
Per tre mesi ho vissuto una full immersion tra laboratorio, corso di inglese e discorsi con persone del posto”. Un esempio rincuorante per Chiara Annunziata, 23 anni, laureatasi in Farmacia lo scorso ottobre, alle prese adesso con il dottorato: “sono mossa da un forte interesse. Non riesco a immaginarmi a fare qualcosa di diverso dalla ricerca. Oggi sono venuta qui perché in Italia l’inglese è uno dei limiti più duri da superare. L’incontro con il prof. Garside è stato un modo per approcciarsi ad una realtà estera e per fare allenamento sull’ascolto della lingua straniera che dovrebbe essere la base del nostro lavoro”.
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