Un corso di Scuba Diving per gli allievi di ‘Mare’

Muta indosso, bombole in spalla. Stanno per partire le lezioni di Scuba Diving, insegnamento a scelta in lingua inglese, per gli studenti al secondo anno della Magistrale in Biology and Ecology of the marine environment and sustainable use of the marine resources, Biologia Mare, coordinata dalla prof.ssa Anna Di Cosmo.
L’insegnamento è molto particolare, un unicum, e affianca alla teoria una ricca attività pratica che consiste in immersioni in mare con bombole d’ossigeno (lo scuba diving appunto). Quattro i momenti salienti: lezioni teoriche in aula, lezioni teorico-pratiche alla Scuola Acquavet di Pozzuoli con istruttori di scuba diving (metodo NADD Italia), un’immersione con i docenti in cui mettere in pratica quanto appreso fino a quel momento e un workshop per esporre i risultati. Al termine del corso in più, sostenendo un esame presso il Centro Sub, è possibile ottenere il brevetto da scuba diver junior: open, il livello base, oppure advanced. Tutti i costi sono sostenuti dall’Ateneo.
L’allievo ideale di Scuba Diving “è colui che è intimo con il mare – spiega la prof.ssa Di Cosmo – È chi è mosso dal gran desiderio di scoprire cosa ci sia sotto la sua superficie. Il mare è un ambiente noto, ma, in fondo, anche sconosciuto. Lo scuba diver vuole andare a valutare in prima persona per dire la sua”. Si parte all’inizio di marzo con le lezioni in aula del prof. Gianluca Polese “sul monitoraggio subacqueo. Poi si passa alla Scuola specializzata. Fino a due anni fa ci recavamo a Procida per una full immersion di una decina di giorni. Già dall’anno scorso ci rivolgiamo ad una Scuola di Pozzuoli che i ragazzi frequentano, come minimo, per una quindicina di giorni. Anche qui seguono alcune lezioni teoriche, a terra, di preparazione e poi entrano in acqua appena il clima lo permette, quando le condizioni meteorologiche sono più stabili e la temperatura più mite”. Alcuni studenti, i più avventurosi ed esperti, scelgono Scuba Diving avendo già il brevetto Open, i più, invece, sono dei neofiti. Dopo quanto tempo un ragazzo alle prime armi è in grado di fare la sua prima immersione? “Le tempistiche sono diverse da persona a persona ed è compito dell’istruttore capire quale sia il momento giusto sulla base di una serie di valutazioni. La prima cosa che osservano è la capacità di star bene, a proprio agio, in acqua. Per una settimana, circa, si fa solo snorkeling, cioè si indossano maschera e pinne e si va sott’acqua senza le bombole di ossigeno, ovviamente a profondità non elevate e in condizioni di totale sicurezza”. La preparazione, quindi, è graduale: “Quando l’istruttore ritiene che siano stati acquisiti i giusti movimenti e le giuste nozioni e che il corpo si sia adattato all’ambiente acquatico, allora si indossa la muta e si entra nel vivo. La Scuola, comunque, ha anche la piscina e le prime immersioni con le bombole si fanno lì: si impara a scendere, a salire, a compensare, a respirare. Solo dopo si affronta il mare”. Immergersi, una questione di predisposizione oppure possono farlo tutti? “Non dico predisposizione. Ci vuole un forte interesse, una forte motivazione che induce ad essere predisposti”. L’immersione conclusiva forse si terrà “a Punta Campanella dove ci trasferiremo per due giorni. Lì ci si sono aule e laboratori. L’università ci dota di attrezzature che gli studenti portano con sé, microscopi portatili che possono tenere anche in barca e macchine fotografiche GoPro per il monitoraggio subacqueo per fare foto e video”. Mappa alla mano, prima di immergersi, bisogna identificare l’area “sulla base del movimento dell’acqua, della temperatura, si divide poi l’area in aree più piccole e, infine, si esce in barca con gli istruttori della Scuola di specializzazione che ci seguono e con il personale dell’Area marina protetta di Punta Campanella. Niente va lasciato al caso, seguo i ragazzi in tutte le attività che fanno”. E poi tutti in acqua: “Anche noi docenti ci immergiamo con gli studenti. L’immersione dura, in media, da tre quarti d’ora ad un massimo di un’ora e non si scende al di sotto dei dieci metri. A questo punto comincia il monitoraggio dell’habitat marino dal punto di vista animale e vegetale: ogni area ha una sua specificità che lo studente deve indagare. Quando torniamo a terra analizziamo il materiale e il giorno successivo teniamo il workshop conclusivo del corso”. Immergersi vuol dire “saper maneggiare la risorsa mare, viverla e padroneggiarla in maniera sostenibile senza sfruttarla. Chi si immerge è sensibile verso il pianeta riconoscendo che nella risorsa mare c’è il bandolo della matassa per risolvere i problemi del pianeta”. Comprensibile qualche titubanza da parte degli studenti… “Non è mai capitato che uno studente dicesse apertamente di avere paura. Guardandoli negli occhi, però, a volte, intuisco un po’ di timore”. Il momento più difficile: “Generalmente è subito prima dell’immersione. Indossare l’attrezzatura che consiste in muta, bombole, pinne e maschera, forniti dalla scuola, è un momento caotico. È soprattutto la muta, le prime volte, a creare problemi. I ragazzi, generalmente, non riescono ad identificare quale sia la loro misura ideale, quanto debba essere aderente e non sanno bene come infilarla”.
Lo scuba diving, sottolinea la docente, insegna “ad essere determinati, chi si immerge ha una volontà forte”. Poi un consiglio ai futuri scuba diver: “Prestare molta, ma molta attenzione. Questa attività non permette assolutamente distrazioni. Devono eseguire alla lettera tutto quanto viene detto loro. Restare tranquilli e non scoraggiarsi. Quando un istruttore vuole incoraggiare un giovane gli dice ‘Sei predisposto, ti muovi bene, continua’”. E sicuramente, divertirsi.
Carol Simeoli
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