Un ingegnere elettronico con il pallino della biologia. Si chiama Diego Di Bernardo, 32 anni, ricercatore del “Tigem”, l’istituto specializzato nello studio nelle malattie genetiche dell’uomo, unico ingegnere a fare parte dell’équipe diretta da Andrea Ballabio. Un’attività, quella del ricercatore, che gratifica Diego sotto tutti i punti di vista, professionale ed economico. “Mi interesso delle applicazioni dell’ingegneria alla biologia – spiega Di Bernardo – in particolare mi occupo di analizzare, con i metodi quantistici tipici dell’Ingegneria, i dati che scaturiscono dagli esperimenti biologici per poi impiegarli nella ricerca sulle malattie genetiche e nell’identificazione di nuovi farmaci”.
Laureato nel gennaio del 1997 in Ingegneria Elettronica alla Federico II, Diego Di Bernardo si è specializzato all’estero in biologia computazionale (l’ingegneria applicata alla biologia, per l’appunto), prima in Inghilterra (Newcastle e al Sanger Centre di Cambridge, istituto dove è stato sequenziato il genoma umano) e poi negli Stati Uniti, a Boston. Diego è approdato al Tigem per caso: “è stato un docente del Politecnico di Milano che mi ha suggerito di contattare il centro. Adesso mi ritrovo a dirigere un gruppo di ricerca, un lavoro di grande responsabilità paragonabile a quello di un professore universitario associato, con la differenza che quest’ultimo guadagna 1.800 euro al mese, io porto a casa qualcosina in più”.
Un fortunato, Diego Di Bernardo, perché, a differenza di tanti ingegneri con la valigia, è un napoletano che ha trovato impiego a Napoli. “Sto bene al Tigem. Peccato per i fondi, insufficienti per proseguire nella ricerca. O meglio, i finanziamenti ci sono, solo che andrebbero ridistribuiti in maniera diversa, e non tra i soliti noti”. In ogni caso, è ben felice di lavorare nel campo della bioingegneria: “sono contento perché svolgo un lavoro che desideravo esercitare sin dai tempi dell’università”.
Università che lo ha ben formato sulla teoria, meno sulla pratica. “Rispetto ad inglesi ed americani – riferisce Di Bernardo – gli italiani sono più preparati dal punta di vista teorico, ma mancano di esperienza pratica. In cinque anni di università, avrò visto un transistor al massimo un paio di volte. Si fanno pochi laboratori, è questo il problema”. Fondamentali, per la sua preparazione, esami come Analisi dei sistemi e Controlli automatici, “perché sono materie che insegnano a descrivere la realtà attraverso equazioni matematiche”. Insomma, secondo Diego, “la Facoltà d’Ingegneria napoletana è l’ideale per chi voglia proseguire nel campo della ricerca; qualche difficoltà nasce per coloro che preferiscono diventare dei tecnici”.
Statistiche recenti dicono che le quotazioni degli ingegneri sul mercato occupazionale sono in calo: non si trova più lavoro subito dopo la laurea, e se c’è bisogna andare fuori: Milano, Roma, estero. “Secondo me – obietta l’ing. Di Bernardo – la laurea in Ingegneria è ancora un titolo più che spendibile. Bisogna solo cercare di non limitarsi ai settori classici dell’ingegneria: penso a campi innovativi come quelli della biotecnologia, della finanza, ecc. Insomma, noi ingegneri abbiamo una carta in più da giocarci rispetto agli altri: è la nostra forma mentis che ci porta ad essere più duttili e pronti anche in ambiti in cui non abbiamo esperienza”. E, rivolgendosi agli studenti, conclude: “fate un Erasmus. Serve per imparare le lingue (in Inghilterra, per esempio, gli ingegneri trovano facilmente occupazione) ed è un’ottima esperienza di vita”.
Paola Mantovano
Laureato nel gennaio del 1997 in Ingegneria Elettronica alla Federico II, Diego Di Bernardo si è specializzato all’estero in biologia computazionale (l’ingegneria applicata alla biologia, per l’appunto), prima in Inghilterra (Newcastle e al Sanger Centre di Cambridge, istituto dove è stato sequenziato il genoma umano) e poi negli Stati Uniti, a Boston. Diego è approdato al Tigem per caso: “è stato un docente del Politecnico di Milano che mi ha suggerito di contattare il centro. Adesso mi ritrovo a dirigere un gruppo di ricerca, un lavoro di grande responsabilità paragonabile a quello di un professore universitario associato, con la differenza che quest’ultimo guadagna 1.800 euro al mese, io porto a casa qualcosina in più”.
Un fortunato, Diego Di Bernardo, perché, a differenza di tanti ingegneri con la valigia, è un napoletano che ha trovato impiego a Napoli. “Sto bene al Tigem. Peccato per i fondi, insufficienti per proseguire nella ricerca. O meglio, i finanziamenti ci sono, solo che andrebbero ridistribuiti in maniera diversa, e non tra i soliti noti”. In ogni caso, è ben felice di lavorare nel campo della bioingegneria: “sono contento perché svolgo un lavoro che desideravo esercitare sin dai tempi dell’università”.
Università che lo ha ben formato sulla teoria, meno sulla pratica. “Rispetto ad inglesi ed americani – riferisce Di Bernardo – gli italiani sono più preparati dal punta di vista teorico, ma mancano di esperienza pratica. In cinque anni di università, avrò visto un transistor al massimo un paio di volte. Si fanno pochi laboratori, è questo il problema”. Fondamentali, per la sua preparazione, esami come Analisi dei sistemi e Controlli automatici, “perché sono materie che insegnano a descrivere la realtà attraverso equazioni matematiche”. Insomma, secondo Diego, “la Facoltà d’Ingegneria napoletana è l’ideale per chi voglia proseguire nel campo della ricerca; qualche difficoltà nasce per coloro che preferiscono diventare dei tecnici”.
Statistiche recenti dicono che le quotazioni degli ingegneri sul mercato occupazionale sono in calo: non si trova più lavoro subito dopo la laurea, e se c’è bisogna andare fuori: Milano, Roma, estero. “Secondo me – obietta l’ing. Di Bernardo – la laurea in Ingegneria è ancora un titolo più che spendibile. Bisogna solo cercare di non limitarsi ai settori classici dell’ingegneria: penso a campi innovativi come quelli della biotecnologia, della finanza, ecc. Insomma, noi ingegneri abbiamo una carta in più da giocarci rispetto agli altri: è la nostra forma mentis che ci porta ad essere più duttili e pronti anche in ambiti in cui non abbiamo esperienza”. E, rivolgendosi agli studenti, conclude: “fate un Erasmus. Serve per imparare le lingue (in Inghilterra, per esempio, gli ingegneri trovano facilmente occupazione) ed è un’ottima esperienza di vita”.
Paola Mantovano