Un viaggio alla scoperta degli archivi per esaminare “una realtà che non è chiusa in sé ma fa parte del nostro presente”. È il prof. Ian Chambers, docente di Studi interculturali, ad illustrare il ciclo di seminari “Gli esercizi degli archivi” (che si terrà dal 13 aprile al 9 maggio) promosso dal Centro Studi Postcoloniali e di Genere, di cui è Direttore, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti e, in particolare, con il contributo del prof. Dario Giugliano insieme ad artisti e ricercatori indipendenti. Gli incontri (otto in tutto) sono destinati soprattutto agli studenti dei Corsi di Laurea Magistrali per il conseguimento di 2 crediti e ai dottorandi in Studi Internazionali, perché occorre che i partecipanti abbiano acquisito “una certa base storica e culturale per rielaborare il senso dell’archivio tradizionale così da poterlo poi smontare”.
Gli studenti avranno l’occasione di partecipare a dibattiti critici intorno alla questione dell’archivio, preminente negli ultimi quarant’anni, e le sue più recenti interpretazioni in una prospettiva post-coloniale e di genere. “Le origini del progetto sono legate a una proposta dell’artista Alessandra Cianelli e sono anche frutto di una ricerca durata quattro anni finanziata dall’Unione Europea – il progetto MeLa – con lo scopo di ripensare il museo europeo alla luce delle migrazioni. In questo programma è stato svolto tutto un lavoro sugli archivi per indagare a fondo di chi sono la memoria e la storia e capire se il museo, nato due secoli fa, è stato elaborato per rappresentare la cultura e anche il potere occidentale”, racconta il prof. Chambers. E continua: “adesso ci sono altre storie che attraversano gli spazi europei e che fanno parte di essi, senza gli archivi sarebbe impossibile riconfigurare il senso del passato. L’obiettivo è quello di ospitare le culture che sono state strutturalmente escluse dal museo concepito in modo tradizionale includendo la presenza di altri elementi che, pur non facendo parte degli archivi, invadono il presente”.
Durante i seminari, “si partirà dall’analisi del concetto di archivio e dall’idea di un passato rimosso per tracciare altre memorie definendo così uno spazio critico in cui ci si ritrova a fare i conti con vicende non registrate che arrivano dal futuro e spezzano la spiegazione lineare e pulita dei tempi storici”. Riaprire un archivio può essere, però, un’operazione dolorosa “perché il museo rappresenta la memoria della nazione, infatti non è un caso che nasca insieme allo stato moderno ottocentesco e nel momento in cui l’Europa si è affermata a livello planetario attraverso il colonialismo”. Tuttavia, c’è poca disponibilità di registrare il passato coloniale negli archivi perché “significherebbe accettare la centralità del colonialismo nella formazione della nostra modernità. Molti vogliono rimuoverlo, però il colonialismo è una ferita aperta per tutti e che ritorna continuamente nel presente e ne è un esempio il fenomeno delle migrazioni attuali. Noi non ci pensiamo, ma anche quando prendiamo il caffè al bar o si cucina un piatto italiano a base di pomodoro, tutto questo è frutto del colonialismo poiché entrambi i prodotti non sono autoctoni”.
Tra le attività in corso, “stiamo cercando di far aprire gli archivi della Mostra d’Oltremare, che fu inaugurata nel maggio del 1940 per mostrare i frutti della potenza dell’impero italiano di allora. Questo aiuta a riflettere su un concetto di archivio molto flessibile, perché non si tratta solo di un oggetto che si apre con le chiavi per consultare documenti. Non vogliamo proporre un contro-archivio, ma una modalità per riconfigurarlo in maniera più aperta e giusta attraverso spazi di potere culturali e politici asimmetrici fino a ieri esclusi. Anche lo spazio urbanistico e architettonico o la Stazione marittima di Napoli, ad esempio, sono archivi di un passato coloniale”.
Agli incontri si utilizzeranno strumenti e linguaggi alternativi “presi in prestito dalle filosofie e dalla poetica fornita dalla musica e dalla letteratura. Centrale sarà il ruolo dell’arte: anche se le arti visive non vengono spesso considerate archivi, l’operato artistico sarà forma di ricerca”. Infatti il seminario intende diffondere l’idea che “anche l’arte contemporanea, così come la musica o la letteratura, possa diventare dispositivo critico per viaggiare oltre i limiti imposti dalle discipline autorizzate a parlare del passato, quali la sociologia o l’antropologia”, sostiene il prof. Chambers. E aggiunge: “io parlerò, ad esempio, delle idee della musica come archivio in cui possiamo trovare sospese nel suono storie e culture che la storiografia ufficiale non vuole ascoltare e ancora della realtà geografica e geopolitica del Mediterraneo come un archivio più complesso considerando anche la sponda africana e asiatica, non solo la parte europea”.
Quest’iniziativa va di pari passo a un altro seminario organizzato dal Centro Studi Postcoloniali e di Genere fino al mese di giugno dal titolo “Borderscapes”, rivolto anch’esso a studenti dei Corsi di Laurea Magistrali e dottorandi e che si presenta come uno spazio di discussione transdisciplinare: “interagiranno docenti e ospiti esterni attraverso tavole rotonde in cui ognuno approfondirà argomenti basati sul proprio interesse personale e meno legati a una prospettiva esclusivamente disciplinare. Si tratta di un laboratorio molto più sperimentale e coltiviamo l’idea di trasformarlo in uno spazio in cui gli studenti potranno presentare i propri lavori e ricerche”, conclude il docente.
Sabrina Sabatino
Gli studenti avranno l’occasione di partecipare a dibattiti critici intorno alla questione dell’archivio, preminente negli ultimi quarant’anni, e le sue più recenti interpretazioni in una prospettiva post-coloniale e di genere. “Le origini del progetto sono legate a una proposta dell’artista Alessandra Cianelli e sono anche frutto di una ricerca durata quattro anni finanziata dall’Unione Europea – il progetto MeLa – con lo scopo di ripensare il museo europeo alla luce delle migrazioni. In questo programma è stato svolto tutto un lavoro sugli archivi per indagare a fondo di chi sono la memoria e la storia e capire se il museo, nato due secoli fa, è stato elaborato per rappresentare la cultura e anche il potere occidentale”, racconta il prof. Chambers. E continua: “adesso ci sono altre storie che attraversano gli spazi europei e che fanno parte di essi, senza gli archivi sarebbe impossibile riconfigurare il senso del passato. L’obiettivo è quello di ospitare le culture che sono state strutturalmente escluse dal museo concepito in modo tradizionale includendo la presenza di altri elementi che, pur non facendo parte degli archivi, invadono il presente”.
Durante i seminari, “si partirà dall’analisi del concetto di archivio e dall’idea di un passato rimosso per tracciare altre memorie definendo così uno spazio critico in cui ci si ritrova a fare i conti con vicende non registrate che arrivano dal futuro e spezzano la spiegazione lineare e pulita dei tempi storici”. Riaprire un archivio può essere, però, un’operazione dolorosa “perché il museo rappresenta la memoria della nazione, infatti non è un caso che nasca insieme allo stato moderno ottocentesco e nel momento in cui l’Europa si è affermata a livello planetario attraverso il colonialismo”. Tuttavia, c’è poca disponibilità di registrare il passato coloniale negli archivi perché “significherebbe accettare la centralità del colonialismo nella formazione della nostra modernità. Molti vogliono rimuoverlo, però il colonialismo è una ferita aperta per tutti e che ritorna continuamente nel presente e ne è un esempio il fenomeno delle migrazioni attuali. Noi non ci pensiamo, ma anche quando prendiamo il caffè al bar o si cucina un piatto italiano a base di pomodoro, tutto questo è frutto del colonialismo poiché entrambi i prodotti non sono autoctoni”.
Tra le attività in corso, “stiamo cercando di far aprire gli archivi della Mostra d’Oltremare, che fu inaugurata nel maggio del 1940 per mostrare i frutti della potenza dell’impero italiano di allora. Questo aiuta a riflettere su un concetto di archivio molto flessibile, perché non si tratta solo di un oggetto che si apre con le chiavi per consultare documenti. Non vogliamo proporre un contro-archivio, ma una modalità per riconfigurarlo in maniera più aperta e giusta attraverso spazi di potere culturali e politici asimmetrici fino a ieri esclusi. Anche lo spazio urbanistico e architettonico o la Stazione marittima di Napoli, ad esempio, sono archivi di un passato coloniale”.
Agli incontri si utilizzeranno strumenti e linguaggi alternativi “presi in prestito dalle filosofie e dalla poetica fornita dalla musica e dalla letteratura. Centrale sarà il ruolo dell’arte: anche se le arti visive non vengono spesso considerate archivi, l’operato artistico sarà forma di ricerca”. Infatti il seminario intende diffondere l’idea che “anche l’arte contemporanea, così come la musica o la letteratura, possa diventare dispositivo critico per viaggiare oltre i limiti imposti dalle discipline autorizzate a parlare del passato, quali la sociologia o l’antropologia”, sostiene il prof. Chambers. E aggiunge: “io parlerò, ad esempio, delle idee della musica come archivio in cui possiamo trovare sospese nel suono storie e culture che la storiografia ufficiale non vuole ascoltare e ancora della realtà geografica e geopolitica del Mediterraneo come un archivio più complesso considerando anche la sponda africana e asiatica, non solo la parte europea”.
Quest’iniziativa va di pari passo a un altro seminario organizzato dal Centro Studi Postcoloniali e di Genere fino al mese di giugno dal titolo “Borderscapes”, rivolto anch’esso a studenti dei Corsi di Laurea Magistrali e dottorandi e che si presenta come uno spazio di discussione transdisciplinare: “interagiranno docenti e ospiti esterni attraverso tavole rotonde in cui ognuno approfondirà argomenti basati sul proprio interesse personale e meno legati a una prospettiva esclusivamente disciplinare. Si tratta di un laboratorio molto più sperimentale e coltiviamo l’idea di trasformarlo in uno spazio in cui gli studenti potranno presentare i propri lavori e ricerche”, conclude il docente.
Sabrina Sabatino