Assistere all’allestimento di una mostra didattica al Dipartimento Architettura di Aversa vuol dire essere testimoni di un fermento di idee sotto forma di plastici e visioni planimetriche che mirano alla rigenerazione di un tessuto urbano di inestimabile valenza storica e territoriale. Come la città di Capua, o meglio, quella porzione di territorio che abbraccia la zona del Bastione fino al complesso delle Dame Monache, caratterizzata da alcuni edifici fatiscenti, interruzioni, aperture labili da riformulare con soluzioni che solo un futuro architetto con spirito di innovazione può fornire. Il prof. Massimiliano Rendina ha condotto un Laboratorio di Progettazione architettonica al quale hanno partecipato un’ottantina di studenti che, divisi in gruppi, hanno esposto i loro progetti nella mattinata del 2 marzo, a conclusione di un ciclo di mostre che ha interessato per una settimana il Dipartimento. “È stato un vero e proprio osservatorio di trasformazione del territorio, work in progress – spiega il docente – nel quale i miei studenti si sono impegnati, al fine dell’esame di Progettazione, a rigenerare, riconnettere e ricreare un territorio molto ampio, diviso in tre poli, tenendo conto dell’importanza della città di Capua”. ‘Un margine urbano. Nuove funzioni per la Facoltà di Economia e Commercio di Capua’, il titolo della mostra diretta da Rendina e dai suoi due assistenti, Francesco Iodice e Giuseppe Mascolo, un team che si può rappresentare metaforicamente come a un tavolo con tre piedi in perfetto equilibrio, ognuno con il suo compito, al cui interno convivono tre anime diverse che coincidono con tre linee guida differenti ma che si accordano sugli stessi parametri. Nel caso specifico, sono due le direttive generali esplicate nel piccolo bando di concorso di progettazione: da un lato il forte radicamento al contesto, nella sua accezione positiva, dall’altro il valore oggettuale dell’elemento architettonico che, per quanto ben interpretato e proporzionato all’interno di quell’area specifica, continua ad avere una forza anche oltre il contesto in cui esso è inserito. “L’idea era quella di costruire qualche cosa che ricucisse il rapporto tra città storica e città periferica – racconta Rendina – I ragazzi hanno lavorato su un’area molto ampia focalizzandosi sulla pianificazione di una Casa per gli studenti e di un Campus universitario che arricchisca la storica Facoltà”. Una prima zona in cui prevalentemente ci sono spazi verdi. Una seconda costituita da due strutture settecentesche, la polveriera Borbonica meridionale e settentrionale, la prima collocata presso il convento di Santa Caterina e la seconda presso il complesso di Santa Maria delle Dame Monache, entrambe da riprendere o meno per scopi culturali. La terza zona infine è popolata da edifici di poco conto che ha bisogno di essere rinnovata. Certamente una sfida che gli architetti di domani hanno affrontato con entusiasmo e consapevolezza, inserendo nel loro progetto di riqualificazione oggetti di alcune tesi di laurea in Architettura seguite dal prof. Rendina negli ultimi anni: “la singolarità di questa esperienza di laboratorio – dice – sta anche in questa sorta di progetto nel progetto che molti studenti hanno realizzato, ovvero delle congiunzioni tra la Capua Antica, e cioè l’odierna Santa Maria Capua Vetere, e la Capua Longobarda”. Singolarità ma anche complessità. “Venendo dal primo e secondo anno, i ragazzi sono abituati a fare sperimentazioni tipologiche su case, edifici, singole strutture – spiega l’architetto Francesco Iodice – per la prima volta hanno affrontato un problema di carattere urbano. Piuttosto complesso è stato infatti il confronto simultaneo tra città storica e città periferica e non da meno il dover progettare con una massa già esistente. Il nostro compito è dare loro questa consapevolezza di stare ad operare non più in un lotto ipotetico ma con delle linee, delle gronde, un marciapiede, con una zona reale”. I progetti “sono importanti perché si devono considerare come occasione di rigenerazione urbana – spiega l’architetto Giuseppe Mascolo – Il problema delle nostre città, e quindi dei nostri studenti, è che non hanno un carattere europeo. La cosa importante è dare agli studenti degli input diversi, far capire che ogni architettura non è un’opera d’arte. L’architetto non è uno scultore che può mettersi in studio e modellare la sua architettura, questa è una visione abbastanza arretrata che abbiamo in Italia ancora oggi”.
Tanti, diversi ed innovativi i progetti esposti che trasudano ore ed ore di studio, notti insonni e lo spirito di squadra. Dallo studio territoriale sulla zona totale della città fino ai piccoli dettagli, aiutandosi con una metodologia che prevede ancora la realizzazione di plastici, oggi che il disegno è diventato purtroppo virtuale. Come è successo a Francesco Tondi che, insieme a Giovanni Mastrominico ed Alessandro Santi, ha dato nuova vita alla vecchia Polveriera: “abbiamo lavorato su due aree, una a ridosso del fiume e un’altra che si trova a ridosso della Polveriera – illustra orgoglioso il suo progetto – La nostra azione ha riguardato la prima macro–area con la costruzione di un mega edificio con 200 alloggi che ospita tutti gli studenti di un ipotetico campus universitario in prossimità delle Dame Monache. Per quanto riguarda invece l’area più piccola, abbiamo attuato un’opera di riqualificazione: abbiamo ripreso la Polveriera e trasformata in un’area espositiva accessibile, creando anche un museo e delle abitazioni per gli ospiti”. Una sorta di rivitalizzazione di un’area che non è destinata affatto a diventare nel tempo una zona viva attraverso progetti che siano non solo esteticamente apprezzabili ma anche funzionali, che possano dialogare tra loro attraverso dei collegamenti tra le varie aree prese in considerazione e favorire una certa dinamicità. E c’è chi ha preservato e tutelato l’ambiente. “Il verde spettacolare della prima area lo abbiamo conservato il più possibile – racconta Michela Alfieri – gli alberi estirpati li abbiamo utilizzati in altre zone per non abbatterli”. “Abbiamo lavorato pensando a ciò che farebbe piacere a studenti come noi – aggiunge Claudia Capone – Ci siamo messi nei panni dei destinatari e abbiamo progettato pensando a cosa realmente serve a uno studente”. L’architettura è un lavoro minuzioso per creare qualcosa di spettacolare e, perché no, di tecnologico che valorizzi il panorama circostante. “Abbiamo inserito l’edificio per gli alloggi nella prima area e creato dei percorsi che confluiscono tutti nella zona più grande, e cioè quella della Polveriera – spiega emozionata Maria Antonietta Santangelo, portavoce del gruppo di lavoro formato da Alessia Ascione, Daniele Bove e Mariarosaria Cavaliere – Qui abbiamo realizzato una sorta di polo multifunzionale, dove ubicare ristoranti, uffici, negozi. Abbiamo, inoltre, riqualificato le strutture già esistenti: la Polveriera è diventata un auditorium mentre la Scuderia è diventata un edificio a torre alta da dove osservare il centro storico di Capua, dai Bastioni alle Dame Monache passando per la maggior parte delle Chiese Longobarde”.
Claudia Monaco
Tanti, diversi ed innovativi i progetti esposti che trasudano ore ed ore di studio, notti insonni e lo spirito di squadra. Dallo studio territoriale sulla zona totale della città fino ai piccoli dettagli, aiutandosi con una metodologia che prevede ancora la realizzazione di plastici, oggi che il disegno è diventato purtroppo virtuale. Come è successo a Francesco Tondi che, insieme a Giovanni Mastrominico ed Alessandro Santi, ha dato nuova vita alla vecchia Polveriera: “abbiamo lavorato su due aree, una a ridosso del fiume e un’altra che si trova a ridosso della Polveriera – illustra orgoglioso il suo progetto – La nostra azione ha riguardato la prima macro–area con la costruzione di un mega edificio con 200 alloggi che ospita tutti gli studenti di un ipotetico campus universitario in prossimità delle Dame Monache. Per quanto riguarda invece l’area più piccola, abbiamo attuato un’opera di riqualificazione: abbiamo ripreso la Polveriera e trasformata in un’area espositiva accessibile, creando anche un museo e delle abitazioni per gli ospiti”. Una sorta di rivitalizzazione di un’area che non è destinata affatto a diventare nel tempo una zona viva attraverso progetti che siano non solo esteticamente apprezzabili ma anche funzionali, che possano dialogare tra loro attraverso dei collegamenti tra le varie aree prese in considerazione e favorire una certa dinamicità. E c’è chi ha preservato e tutelato l’ambiente. “Il verde spettacolare della prima area lo abbiamo conservato il più possibile – racconta Michela Alfieri – gli alberi estirpati li abbiamo utilizzati in altre zone per non abbatterli”. “Abbiamo lavorato pensando a ciò che farebbe piacere a studenti come noi – aggiunge Claudia Capone – Ci siamo messi nei panni dei destinatari e abbiamo progettato pensando a cosa realmente serve a uno studente”. L’architettura è un lavoro minuzioso per creare qualcosa di spettacolare e, perché no, di tecnologico che valorizzi il panorama circostante. “Abbiamo inserito l’edificio per gli alloggi nella prima area e creato dei percorsi che confluiscono tutti nella zona più grande, e cioè quella della Polveriera – spiega emozionata Maria Antonietta Santangelo, portavoce del gruppo di lavoro formato da Alessia Ascione, Daniele Bove e Mariarosaria Cavaliere – Qui abbiamo realizzato una sorta di polo multifunzionale, dove ubicare ristoranti, uffici, negozi. Abbiamo, inoltre, riqualificato le strutture già esistenti: la Polveriera è diventata un auditorium mentre la Scuderia è diventata un edificio a torre alta da dove osservare il centro storico di Capua, dai Bastioni alle Dame Monache passando per la maggior parte delle Chiese Longobarde”.
Claudia Monaco