Una giornata per celebrare il prof. Alberto Varvaro, in occasione del suo pensionamento. Oltre ad essere stato per alcuni decenni professore di Filologia romanza alla Facoltà di Lettere del Federico II – Ateneo del quale è stato ProRettore dal 1987 al 1993-, il prof. Varvaro è stato membro, negli ultimi anni, del Comitato Scientifico dell’Istituto Italiano di Scienze Umane; e proprio l’Istituto si è fatto promotore dell’iniziativa, proposta che il professore ha accettato a patto che l’incontro si trasformasse in un’occasione per discutere del presente e del futuro della disciplina alla quale lui stesso ha apportato importanti contributi. Così il 15 dicembre nella Sala degli Angeli del Suor Orsola Benincasa – la sede non è stata la Federico II per questioni logistiche e organizzative- i docenti e gli studenti intervenuti hanno potuto assistere ad una discussione sul “Presente e prospettive della filologia romanza”.
Ad aprire il confronto, due allievi eccellenti del prof. Varvaro intervenuti per rendere omaggio al Maestro. Il prof. Marcello Barbato della Université Livre de Bruxelles, che ha tracciato una fenomenologia approfondita degli attuali e recenti studi filosofici, per poi constatare la nuova fase in cui versa la disciplina. “La linguistica romanza è forse in crisi – ha concluso il prof. Barbato- ma non per questo è meno attiva: c’è anzi uno sviluppo di nuove forme, con la conseguente difficoltà di dominare uno spettro plurilingue e di competenze diverse. La ricchezza della disciplina rimane la capacità di non porre limiti né al proprio oggetto di studio né ai propri metodi di lavoro”. Poi il prof. Giovanni Palumbo, dell’Università di Namur, che è partito dalla discussione sul nuovo approccio ai manoscritti e sul cambio di prospettive apportate dalla corrente della “new filology”, per arrivare a constatare il rischio dell’approccio interpretativo postmoderno applicato alla letteratura medievale. “Meglio continuare ad interpretare i testi approfondendo i legami storicamente accertabili”, ha sottolineato il professore, piuttosto che rischiare di applicare ai testi medievali approcci –come ad esempio quello psicanalitico- del tutto distanti dal contesto storico e culturale del tempo. Ma spostandosi a guardare lo stato dell’arte della disciplina nel complesso, anche secondo il prof. Palumbo non si può fare a meno di constatare che “la disciplina è in stato avanzato di estinzione a livello di didattica: soprattutto fuori dall’Italia la Filologia romanza è ridotta spesso a sola linguistica. Il Medioevo è tuttora visto come ‘il segmento meno sexy della letteratura’ e richiede più tempo per essere studiato, appropriandosi di diversi strumenti anche linguistici, altrimenti lo studio si riduce ai soli testi tradotti”. Come far rinascere, dunque, un interesse più ampio intorno alla disciplina? “Agli studenti ricordo – evidenzia il prof. Palumbo- che la Filologia romanza non vuol dire polvere di biblioteche ma viaggi, contatti, amicizie, consultazioni e piccole grandi scoperte; un’esperienza umana concreta. Certo, da piccolo nessuno di noi sognava di fare il filologo romanzo. Ma per iniziare questo percorso più che le discipline e i testi contano le persone incontrate lungo la propria strada. E’ importante che i giovani possano avere la possibilità di incontrare un vero filologo romanzo, capace di parlare con uguale competenza tutte le lingue romanze, dal siciliano al francese. Se poi il maestro in questione riesce ad essere fosforico e scintillante anche quando spiega la grammatica, un incontro del genere può cambiare la vita”. Un’allusione ammirata al maestro Varvaro che suscita in sala meritati applausi.
La parola passa poi ad illustre collega di Varvaro: Philippe Ménard della Sorbona di Parigi, che analizza le ultime evoluzioni degli ambiti di studio in cui si può dividere la disciplina romanza. Ménard passa dall’analisi degli sviluppi nella paleografia a quelli nello studio delle grafie medievali e forme dialettali, dalla morfologia e sintassi alla stilistica, dal folklore alle possibilità dell’informatica a servizio della linguistica, per poi concludere: “su quasi tutti questi argomenti i lavori di Alberto Varvaro hanno portato molte luci. Le generazioni di oggi e quelle future se ne devono ispirare per andare avanti”.
Viola Sarnelli
Ad aprire il confronto, due allievi eccellenti del prof. Varvaro intervenuti per rendere omaggio al Maestro. Il prof. Marcello Barbato della Université Livre de Bruxelles, che ha tracciato una fenomenologia approfondita degli attuali e recenti studi filosofici, per poi constatare la nuova fase in cui versa la disciplina. “La linguistica romanza è forse in crisi – ha concluso il prof. Barbato- ma non per questo è meno attiva: c’è anzi uno sviluppo di nuove forme, con la conseguente difficoltà di dominare uno spettro plurilingue e di competenze diverse. La ricchezza della disciplina rimane la capacità di non porre limiti né al proprio oggetto di studio né ai propri metodi di lavoro”. Poi il prof. Giovanni Palumbo, dell’Università di Namur, che è partito dalla discussione sul nuovo approccio ai manoscritti e sul cambio di prospettive apportate dalla corrente della “new filology”, per arrivare a constatare il rischio dell’approccio interpretativo postmoderno applicato alla letteratura medievale. “Meglio continuare ad interpretare i testi approfondendo i legami storicamente accertabili”, ha sottolineato il professore, piuttosto che rischiare di applicare ai testi medievali approcci –come ad esempio quello psicanalitico- del tutto distanti dal contesto storico e culturale del tempo. Ma spostandosi a guardare lo stato dell’arte della disciplina nel complesso, anche secondo il prof. Palumbo non si può fare a meno di constatare che “la disciplina è in stato avanzato di estinzione a livello di didattica: soprattutto fuori dall’Italia la Filologia romanza è ridotta spesso a sola linguistica. Il Medioevo è tuttora visto come ‘il segmento meno sexy della letteratura’ e richiede più tempo per essere studiato, appropriandosi di diversi strumenti anche linguistici, altrimenti lo studio si riduce ai soli testi tradotti”. Come far rinascere, dunque, un interesse più ampio intorno alla disciplina? “Agli studenti ricordo – evidenzia il prof. Palumbo- che la Filologia romanza non vuol dire polvere di biblioteche ma viaggi, contatti, amicizie, consultazioni e piccole grandi scoperte; un’esperienza umana concreta. Certo, da piccolo nessuno di noi sognava di fare il filologo romanzo. Ma per iniziare questo percorso più che le discipline e i testi contano le persone incontrate lungo la propria strada. E’ importante che i giovani possano avere la possibilità di incontrare un vero filologo romanzo, capace di parlare con uguale competenza tutte le lingue romanze, dal siciliano al francese. Se poi il maestro in questione riesce ad essere fosforico e scintillante anche quando spiega la grammatica, un incontro del genere può cambiare la vita”. Un’allusione ammirata al maestro Varvaro che suscita in sala meritati applausi.
La parola passa poi ad illustre collega di Varvaro: Philippe Ménard della Sorbona di Parigi, che analizza le ultime evoluzioni degli ambiti di studio in cui si può dividere la disciplina romanza. Ménard passa dall’analisi degli sviluppi nella paleografia a quelli nello studio delle grafie medievali e forme dialettali, dalla morfologia e sintassi alla stilistica, dal folklore alle possibilità dell’informatica a servizio della linguistica, per poi concludere: “su quasi tutti questi argomenti i lavori di Alberto Varvaro hanno portato molte luci. Le generazioni di oggi e quelle future se ne devono ispirare per andare avanti”.
Viola Sarnelli