Una scelta opportunistica si trasforma nell’occasione della vita e il sogno di un bambino, dedicarsi anima e corpo al calcio, diventa realtà. È la storia di Vincenzo La Marca, 26 anni, laureato Triennale in Economia Aziendale alla Federico II, oggi impegnato nel settore commerciale della Pro Vercelli, squadra che milita nel Campionato di serie B.
“Ho praticato il calcio fino all’età di quattordici anni, quando ho capito che era meglio dedicarsi allo studio. La passione è rimasta e, oggi, quando mi trovo a dieci metri dal rettangolo di gioco è come se fossi in vacanza”, racconta Vincenzo. Tutto è cominciato seguendo i seminari sul calcio organizzati dal prof. De Ianni durante il corso di Storia dell’Industria, scelto per il giusto numero di crediti previsti per l’insegnamento opzionale del suo piano di studio (“Ma non sapevo bene di cosa si trattasse”).
Comincia a seguire un seminario dopo l’altro e resta così colpito dagli argomenti affrontati e dalle opportunità professionali, da decidere di fare del calcio l’oggetto della propria tesi di laurea: “dal momento che il padre del professore era stato un dirigente dell’Internapoli, per molti anni la seconda squadra della città, decidemmo di occuparcene”, ricorda Vincenzo che per la tesi ha intervistato figure storiche dell’ambiente calcistico partenopeo, dall’allenatore Gianni Di Marzio a Corrado Ferlaino, presidente del Napoli d’oro degli anni ‘80.
Dopo la laurea, in attesa di cominciare il percorso specialistico, inizia a inviare curriculum in tutta Italia, finché non lo contatta proprio la Pro Vercelli, interessata al suo lavoro di tesi, che gli offre un’esperienza non retribuita nel settore commerciale.
Per conciliare più necessità, decide di iscriversi all’Università Bicocca di Milano e di convertire questo tirocinio nello stage curriculare obbligatorio per i laureandi Magistrali in Economia Aziendale: “nel frattempo la squadra è retrocessa in Promozione, dove non è richiesta alcuna figura esperta di Marketing. Ho mantenuto, però, rapporti costanti con la dirigenza, ho studiato e quando la società è ritornata in serie B sono stato richiamato. Adesso siamo a metà classifica e, almeno per il momento, stiamo rispettando tutti gli obiettivi di inizio stagione, anche grazie al lavoro del direttore sportivo Stefano Bordone che, con il monte ingaggi più basso del campionato, è riuscito a fare un miracolo”.
Dell’esperienza accademica napoletana conserva un ottimo ricordo: “non mi è stata utile in termini di contatti, ma ascoltare tutti quegli aneddoti e seguire un percorso didattico che ci ha fatto vedere il calcio da più punti di vista mi ha formato ed ha trasformato la mia passione di tifoso nell’ambizione di diventare qualcuno in questo mondo”. Anche al Napoli? “Sinceramente no. Il coinvolgimento sarebbe eccessivo, anche se quello sta arrivando anche con la Pro Vercelli a cui mi dedico ventiquattro ore su ventiquattro”.
Ai corsisti che intendono far fruttare questa esperienza culturale consiglia determinazione, umiltà, professionalità. Poi di seguire le indicazioni del docente e non dimenticare mai che esiste una componente di rischio: “si tratta di un circuito per molti versi chiuso. Impegnandosi, si possono aprire degli spiragli ma il destino dipende da undici persone che tirano calci e, se retrocedi, non conta quanto hai agito bene strategicamente. È l’unica cosa che turba e mette un po’ di pressione”.
“Ho praticato il calcio fino all’età di quattordici anni, quando ho capito che era meglio dedicarsi allo studio. La passione è rimasta e, oggi, quando mi trovo a dieci metri dal rettangolo di gioco è come se fossi in vacanza”, racconta Vincenzo. Tutto è cominciato seguendo i seminari sul calcio organizzati dal prof. De Ianni durante il corso di Storia dell’Industria, scelto per il giusto numero di crediti previsti per l’insegnamento opzionale del suo piano di studio (“Ma non sapevo bene di cosa si trattasse”).
Comincia a seguire un seminario dopo l’altro e resta così colpito dagli argomenti affrontati e dalle opportunità professionali, da decidere di fare del calcio l’oggetto della propria tesi di laurea: “dal momento che il padre del professore era stato un dirigente dell’Internapoli, per molti anni la seconda squadra della città, decidemmo di occuparcene”, ricorda Vincenzo che per la tesi ha intervistato figure storiche dell’ambiente calcistico partenopeo, dall’allenatore Gianni Di Marzio a Corrado Ferlaino, presidente del Napoli d’oro degli anni ‘80.
Dopo la laurea, in attesa di cominciare il percorso specialistico, inizia a inviare curriculum in tutta Italia, finché non lo contatta proprio la Pro Vercelli, interessata al suo lavoro di tesi, che gli offre un’esperienza non retribuita nel settore commerciale.
Per conciliare più necessità, decide di iscriversi all’Università Bicocca di Milano e di convertire questo tirocinio nello stage curriculare obbligatorio per i laureandi Magistrali in Economia Aziendale: “nel frattempo la squadra è retrocessa in Promozione, dove non è richiesta alcuna figura esperta di Marketing. Ho mantenuto, però, rapporti costanti con la dirigenza, ho studiato e quando la società è ritornata in serie B sono stato richiamato. Adesso siamo a metà classifica e, almeno per il momento, stiamo rispettando tutti gli obiettivi di inizio stagione, anche grazie al lavoro del direttore sportivo Stefano Bordone che, con il monte ingaggi più basso del campionato, è riuscito a fare un miracolo”.
Dell’esperienza accademica napoletana conserva un ottimo ricordo: “non mi è stata utile in termini di contatti, ma ascoltare tutti quegli aneddoti e seguire un percorso didattico che ci ha fatto vedere il calcio da più punti di vista mi ha formato ed ha trasformato la mia passione di tifoso nell’ambizione di diventare qualcuno in questo mondo”. Anche al Napoli? “Sinceramente no. Il coinvolgimento sarebbe eccessivo, anche se quello sta arrivando anche con la Pro Vercelli a cui mi dedico ventiquattro ore su ventiquattro”.
Ai corsisti che intendono far fruttare questa esperienza culturale consiglia determinazione, umiltà, professionalità. Poi di seguire le indicazioni del docente e non dimenticare mai che esiste una componente di rischio: “si tratta di un circuito per molti versi chiuso. Impegnandosi, si possono aprire degli spiragli ma il destino dipende da undici persone che tirano calci e, se retrocedi, non conta quanto hai agito bene strategicamente. È l’unica cosa che turba e mette un po’ di pressione”.