Hanno rispettivamente 24 e 22 anni, sono iscritti al secondo anno della Magistrale in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, media del 30: Vincenzo Donnarumma e Giuseppe Di Maio sono due dei sei laureandi selezionati per uno stage che si sostanzia nel tutorato a studenti giapponesi incoming. Tra le mansioni dei tutor: aiutare i colleghi giapponesi nel disbrigo di pratiche burocratiche (la richiesta del permesso di soggiorno per motivi di studio, il rilascio del codice fiscale) e nella ricerca di un alloggio oltre alle attività di scambio linguistico. L’esperienza è stata preceduta da una settimana di warm up. “Le ore di orientamento sono state finalizzate a chiarire dettagliatamente agli studenti la figura che sarebbero andati ad espletare”, spiega la prof.ssa Silvana De Maio, coordinatrice dell’iniziativa, insieme al prof. Oue Junichi.
Un’opportunità ghiotta per mettere in pratica competenze sia linguistiche che di mediazione. “Mi è sembrata da subito un’occasione per unire l’utile al dilettevole. Un modo per mettere in pratica quanto acquisito nel percorso di studio”, commenta Vincenzo. Una chance per avere un pezzo di Giappone a portata d’orecchio. “Sono stato spinto dal desiderio di far pratica con un madrelingua. L’approccio diretto, inoltre, facilita l’immersione nella cultura di arrivo”, aggiunge Giuseppe.
L’esperienza è resa possibile dalla sinergia tra diversi attori: “l’Ufficio Relazioni Internazionali, l’Erasmus Point e il supporto della prof.ssa De Maio”, affermano i due studenti. L’incontro con i partner non è stato un appuntamento “al buio”, i tutor hanno conosciuto i colleghi tramite un primo contatto via web. “Ho preferito scrivere alle ragazze via mail e poi aggiungerle su facebook: oltre che abbassare il filtro affettivo, la modalità di scrittura ti permette di avere il tempo di pensare prima di rispondere”, afferma Vincenzo. “Potevamo contattare gli studenti via Skype, ma i messaggi scritti hanno il vantaggio di non coglierti impreparato sia nella traduzione che nel reperimento delle informazioni”, conferma Giuseppe. In casi di incomprensione, gli studenti ricorrono all’inglese come lingua veicolare, “ma sono pochi i casi in cui non ci capiamo, d’altronde le nostre colleghe non sono una tabula rasa con l’italiano”.
Per le studentesse poco più che ventenni Shina Ono e Miyu Kubota (seguite da Vincenzo) e Kaori Tagahashi e Aya Sugiuchi (seguite da Giuseppe), l’impatto con la burocrazia italiana non è stato del tutto positivo. “La mentalità iper organizzata dei giapponesi non si sposa con la burocrazia di casa nostra. Le ragazze inizialmente erano molto spaventate per l’andirivieni da un ufficio e l’altro, le code estenuanti in Questura e alla Posta”, racconta Vincenzo. A meravigliare le ospiti anche le modalità d’esame. “Sono rimaste piuttosto basite nel constatare che seguiamo contemporaneamente corsi anche annuali prima di sostenere gli esami. Le università giapponesi hanno criteri di accesso abbastanza rigidi, ma poi prevedono verifiche graduali e ravvicinate”, riferisce Giuseppe. “Sono rimaste anche spiazzate dalla mole di studio prevista per alcuni esami e in alcuni casi hanno desistito. Per adesso stanno seguendo i corsi di Filologia e letteratura giapponese, oltre ai corsi di italiano al Cila”, spiega Vincenzo. Il clamore della città e dei partenopei, altro motivo di “shock” culturale. “Per Shina e Miyu è la loro prima volta in Italia. Sono rimaste sorprese dal nostro modo di parlare per strada spesso ad alta voce (nella loro cultura, abituati ad un eloquio basso, è indice di maleducazione), dal brusio di voci tipico dei vicoletti del centro storico”. Studio e non solo: “Le studentesse hanno accolto con piacere e gradito il nostro invito di portarle a visitare gli scavi di Pompei, il Museo Nazionale e le luci di Salerno”. Gli incontri non seguono orari e giorni fissi, ma vengono stabiliti sulla base delle esigenze di entrambe le parti. “Durante la settimana siamo tutti molti impegnati nel seguire i corsi, a volte risulta difficile incrociare i bisogni di ciascuno”, dice Giuseppe. “Capita spesso di vederci nel week end. Una domenica ho invitato Shina e Miyu a pranzo da me. Sono rimaste sbalordite quando hanno scoperto che in famiglia siamo in dieci!”, aggiunge Vincenzo. Ma gli inviti vanno calibrati per evitare malintesi. Comunicare in una lingua straniera significa anche saper interpretare ‘la dimensione nascosta’ tipica della comunicazione non verbale: “La loro reticenza, i loro forse, sono un modo gentile per rifiutare un invito. I tempi di riflessione per i giapponesi sono piuttosto lunghi: insistendo si ottiene l’effetto contrario”.
Numerosi i vantaggi del tutorato: “è utile per chiunque voglia andare in Giappone. Fai pratica con la lingua e conosci le sfumature del gergo giovanile, impari come comportarti ed evitare di fare gaffe!” (Vincenzo); “Conoscere coetanei stranieri aiuta ad essere più spigliato verso le persone di altre culture” (Giuseppe).
Per i due studenti il periodo di tutorato, iniziato ad ottobre, terminerà ufficialmente a gennaio, ma l’impegno morale li spingerà a proseguire la loro attività di supporto oltre le 125 ore previste per l’acquisizione dei 5 crediti. “Nessuno ci obbliga, ma non abbandoneremo le nostre colleghe: oltretutto abbiamo stretto con loro legami d’amicizia”.
Una possibilità per prolungare l’immersione in una lingua la cui passione è nata già prima dell’ingresso all’università. “A sedici anni, incuriosito dagli ideogrammi che vedevo nei cartoni, decisi di studiare la lingua da autodidatta. Poi ho frequentato lezioni private con un professore. Ho poi scelto un Corso di Scienze Politiche a L’Orientale in modo da abbinare alle competenze linguistiche altre più strumentali”, afferma Vincenzo. “Sono sempre stato affascinato dal metodo di scrittura di questa lingua e dal mistero che avvolge questo Paese”, dice Giuseppe.
Una passione che li indurrà a tentare una prima collocazione post laurea direttamente nel Paese del Sol Levante. “Ho intenzione di partecipare ai bandi di concorso dell’Ateneo per borse di studio in Giappone. La mia massima aspirazione sarebbe intraprendere la carriera diplomatica, ma non mi faccio illusioni” (Vincenzo). “Per affinare le proprie competenze è indispensabile andare sul posto. Mi piacerebbe proseguire gli studi in Giappone, magari con un Master” (Giuseppe).
Rosaria Illiano
Un’opportunità ghiotta per mettere in pratica competenze sia linguistiche che di mediazione. “Mi è sembrata da subito un’occasione per unire l’utile al dilettevole. Un modo per mettere in pratica quanto acquisito nel percorso di studio”, commenta Vincenzo. Una chance per avere un pezzo di Giappone a portata d’orecchio. “Sono stato spinto dal desiderio di far pratica con un madrelingua. L’approccio diretto, inoltre, facilita l’immersione nella cultura di arrivo”, aggiunge Giuseppe.
L’esperienza è resa possibile dalla sinergia tra diversi attori: “l’Ufficio Relazioni Internazionali, l’Erasmus Point e il supporto della prof.ssa De Maio”, affermano i due studenti. L’incontro con i partner non è stato un appuntamento “al buio”, i tutor hanno conosciuto i colleghi tramite un primo contatto via web. “Ho preferito scrivere alle ragazze via mail e poi aggiungerle su facebook: oltre che abbassare il filtro affettivo, la modalità di scrittura ti permette di avere il tempo di pensare prima di rispondere”, afferma Vincenzo. “Potevamo contattare gli studenti via Skype, ma i messaggi scritti hanno il vantaggio di non coglierti impreparato sia nella traduzione che nel reperimento delle informazioni”, conferma Giuseppe. In casi di incomprensione, gli studenti ricorrono all’inglese come lingua veicolare, “ma sono pochi i casi in cui non ci capiamo, d’altronde le nostre colleghe non sono una tabula rasa con l’italiano”.
Per le studentesse poco più che ventenni Shina Ono e Miyu Kubota (seguite da Vincenzo) e Kaori Tagahashi e Aya Sugiuchi (seguite da Giuseppe), l’impatto con la burocrazia italiana non è stato del tutto positivo. “La mentalità iper organizzata dei giapponesi non si sposa con la burocrazia di casa nostra. Le ragazze inizialmente erano molto spaventate per l’andirivieni da un ufficio e l’altro, le code estenuanti in Questura e alla Posta”, racconta Vincenzo. A meravigliare le ospiti anche le modalità d’esame. “Sono rimaste piuttosto basite nel constatare che seguiamo contemporaneamente corsi anche annuali prima di sostenere gli esami. Le università giapponesi hanno criteri di accesso abbastanza rigidi, ma poi prevedono verifiche graduali e ravvicinate”, riferisce Giuseppe. “Sono rimaste anche spiazzate dalla mole di studio prevista per alcuni esami e in alcuni casi hanno desistito. Per adesso stanno seguendo i corsi di Filologia e letteratura giapponese, oltre ai corsi di italiano al Cila”, spiega Vincenzo. Il clamore della città e dei partenopei, altro motivo di “shock” culturale. “Per Shina e Miyu è la loro prima volta in Italia. Sono rimaste sorprese dal nostro modo di parlare per strada spesso ad alta voce (nella loro cultura, abituati ad un eloquio basso, è indice di maleducazione), dal brusio di voci tipico dei vicoletti del centro storico”. Studio e non solo: “Le studentesse hanno accolto con piacere e gradito il nostro invito di portarle a visitare gli scavi di Pompei, il Museo Nazionale e le luci di Salerno”. Gli incontri non seguono orari e giorni fissi, ma vengono stabiliti sulla base delle esigenze di entrambe le parti. “Durante la settimana siamo tutti molti impegnati nel seguire i corsi, a volte risulta difficile incrociare i bisogni di ciascuno”, dice Giuseppe. “Capita spesso di vederci nel week end. Una domenica ho invitato Shina e Miyu a pranzo da me. Sono rimaste sbalordite quando hanno scoperto che in famiglia siamo in dieci!”, aggiunge Vincenzo. Ma gli inviti vanno calibrati per evitare malintesi. Comunicare in una lingua straniera significa anche saper interpretare ‘la dimensione nascosta’ tipica della comunicazione non verbale: “La loro reticenza, i loro forse, sono un modo gentile per rifiutare un invito. I tempi di riflessione per i giapponesi sono piuttosto lunghi: insistendo si ottiene l’effetto contrario”.
Numerosi i vantaggi del tutorato: “è utile per chiunque voglia andare in Giappone. Fai pratica con la lingua e conosci le sfumature del gergo giovanile, impari come comportarti ed evitare di fare gaffe!” (Vincenzo); “Conoscere coetanei stranieri aiuta ad essere più spigliato verso le persone di altre culture” (Giuseppe).
Per i due studenti il periodo di tutorato, iniziato ad ottobre, terminerà ufficialmente a gennaio, ma l’impegno morale li spingerà a proseguire la loro attività di supporto oltre le 125 ore previste per l’acquisizione dei 5 crediti. “Nessuno ci obbliga, ma non abbandoneremo le nostre colleghe: oltretutto abbiamo stretto con loro legami d’amicizia”.
Una possibilità per prolungare l’immersione in una lingua la cui passione è nata già prima dell’ingresso all’università. “A sedici anni, incuriosito dagli ideogrammi che vedevo nei cartoni, decisi di studiare la lingua da autodidatta. Poi ho frequentato lezioni private con un professore. Ho poi scelto un Corso di Scienze Politiche a L’Orientale in modo da abbinare alle competenze linguistiche altre più strumentali”, afferma Vincenzo. “Sono sempre stato affascinato dal metodo di scrittura di questa lingua e dal mistero che avvolge questo Paese”, dice Giuseppe.
Una passione che li indurrà a tentare una prima collocazione post laurea direttamente nel Paese del Sol Levante. “Ho intenzione di partecipare ai bandi di concorso dell’Ateneo per borse di studio in Giappone. La mia massima aspirazione sarebbe intraprendere la carriera diplomatica, ma non mi faccio illusioni” (Vincenzo). “Per affinare le proprie competenze è indispensabile andare sul posto. Mi piacerebbe proseguire gli studi in Giappone, magari con un Master” (Giuseppe).
Rosaria Illiano