Filologia giapponese, prova intercorso all’aperto

“Sfrattati dall’aula, siamo finiti nella piazzetta antistante Palazzo Giusso, praticamente in giardino. È assurdo che in un intero edificio non si riesca a trovare nemmeno un’aula libera per trenta persone. Sappiamo che questi eventi sono all’ordine del giorno, ma vogliamo essere tutelati almeno il giorno di una prova”, afferma Manuela, iscritta a Lingue e Culture comparate, nel raccontare l’evento che ha coinvolto gli studenti di Lingua Giapponese e scombussolato la verifica di Filologia, programmata per giovedì 18 novembre. Delusione e rabbia da parte di chi non è riuscito a concentrarsi: “dal giapponese antico alla musica in sottofondo, non ci siamo fatti mancare niente. Uno studente dovrebbe avere il diritto almeno di un posto a sedere per sottoporsi ad uno scritto nelle condizioni più favorevoli possibili, e non sotto al sole quando nessuno ci dava tregua con un vociare continuo”, continua il collega Giuseppe. 
Altri studenti al terzo anno di Lingue e Culture orientali e africane con amarezza parlano di ‘compromesso’: “il guaio è che, pur di sostenere la prova e trarne vantaggio, ci tocca accettare queste soluzioni penose. Ma è il colmo farsi distrarre dai piccioni e dai cani intorno. Anche i passanti ci scattavano foto sconcertati. Solo da noi si vede un gruppo di studenti costretti a sostenere una prova, per giunta scritta, con il foglio sulle ginocchia in mezzo ad una piazza con una confusione assurda. Ci sono quattro sedi principali, ma dov’è l’università?”, afferma Marilena. 
Tuttavia, i docenti non si lasciano fermare da niente e da nessuno pur di portare a termine la prova: “eppure, la colpa non è loro. Sono problemi da risolvere a monte: nemmeno spostarsi in massa in un’altra sede, dopo aver prolungato i tempi d’attesa, sarebbe stato opportuno per quel giorno. Molte volte ci capita di dover sostenere esami senza sapere dove si svolgano e di girovagare per le portinerie elemosinando informazioni con il panico che aumenta”, dice Serena di Lingue e Culture comparate. Poi aggiunge: “durante la prova, chiunque poteva passare tra di noi indisturbato e non è stato affatto bello lasciarsi prendere in giro dalle persone del quartiere, che erano sedute sulle panchine accanto a noi. Molti si avvicinavano per chiedere ‘come si dice questa parola in giapponese?’. Ho avuto l’impressione che il clima fosse quello di una barzelletta, invece è tutto molto triste”.
S.Sab.
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