Studenti in visita al carcere di Rebibbia: si rinnova l’appuntamento annuale della cattedra di Diritto Penale del prof. Bruno Assumma. Lasciati i manuali di studio, il 22 e 30 gennaio, un folto gruppo di ragazzi si è recato a Roma, nell’intento di esperire quella concretezza che troppo spesso manca a Giurisprudenza. Il carcere, il procedimento cautelare dal vivo e la visione dei detenuti sono state, però, immagini molto forti, che nessun libro sa raccontare. Le emozioni provate dai partecipanti sono ancora nitide, ed alcune sono tutt’altro che piacevoli. “Ho aderito all’iniziativa spinto dall’interesse – racconta Gabriele Marasco, studente al III anno – Non abbiamo grandi rapporti con la realtà, questa mi sembrava una buona occasione. Quando sono arrivato nella struttura, ho capito che, pur parlando tanto di carcere, pur studiando le norme, non sapevo proprio cosa significasse varcare quella porta”. Quello che ha colpito maggiormente lo studente: “Il senso di rassegnazione nello sguardo dei detenuti. Deve essere difficile vivere così, senza poter essere liberi, girovagando in una cella. So che queste persone hanno sbagliato, ma la dignità umana viene prima di tutto. Per fortuna ci sono molti educatori e psicologi che danno supporto. Dopo la visita mi sono dovuto un attimo riprendere”. Eppure Rebibbia è uno dei pochi fiori all’occhiello delle carceri italiane. “Mi ha colpito molto l’organizzazione – commenta Martina Guadagno, studentessa al III anno – A Rebibbia c’è tutto quello che si legge nei libri, una forte funzione rieducativa e alcune opportunità per poter studiare o dedicarsi all’arte, alla musica”. Però “percorrere i corridoi non è stato facile e visitare la cella di un ergastolano nemmeno. Se avessi visto quella persona per strada, l’avrei scambiata per mio nonno, invece era un omicida che ci raccontava di sé, spingendoci a rispettare la legge”. L’esperienza “è stata altamente formativa e credo che ogni futuro avvocato dovrebbe entrare in un carcere. Ho seguito il corso del professore ed è stato utile vedere applicati i principi del codice”. Ha partecipato per curiosità Federica Mattozzi: “Mi mancano tanti esami e non ho una particolare predisposizione per il Penale. Eppure l’esperienza andava fatta perché non capita tutti i giorni di toccare con mano ciò che si studia. Ero convinta che i detenuti stessero sempre in cella, invece si possono muovere liberamente nei corridoi e questo mi ha un po’ rincuorato. Le celle sono molto piccole e ospitano 6 o 7 persone, la condizione di quei pochi metri quadri mi ha fatto riflettere, sia sotto un profilo umano che giuridico. Non è stata una gita fra amici universitari, come erroneamente si può credere. L’impatto è stato forte ed ha lasciato il segno”. Sta studiando l’esame di Penale Francesca Manes, che ha trovato nella giornata trascorsa a Rebibbia un forte aiuto per la didattica. “Mi ha colpito il modo in cui, attraverso le predisposizioni dell’Istituto penitenziario, si è data attuazione alla norma – spiega la studentessa al III anno – Mi è sembrata una lezione dal vivo, grazie alle parole di chi ci ha accompagnato. La direttrice del carcere è stata disponibile e molto chiara, i soggetti che hanno sbagliato hanno una giusta pena, al contempo, però, si cerca di salvaguardarne la dignità. Nel contesto di Rebibbia i detenuti possono ritenersi ‘fortunati’: hanno una sala per il lavoro, un’altra dove riciclano i materiali per fare opere che andranno vendute, insomma sono aiutati molto”. Illuminante l’incontro con un criminologo: “ci ha spiegato il suo lavoro e come è difficile gestire i sentimenti di queste persone”. È entusiasta per l’esperienza Luigi Montefusco: “Ci hanno accolto nel teatro dove di solito i detenuti fanno gli spettacoli. Alcuni incaricati e gli agenti di polizia penitenziaria ci hanno spiegato com’è strutturato il carcere, come si svolge la sicurezza, ci hanno mostrato gli spazi liberi e i posti dove prendere un po’ d’aria. Abbiamo percorso tutto l’iter di un detenuto quando viene arrestato: dal rilascio documenti, alla perquisizione, all’infermeria”. La cosa che più ha meravigliato lo studente: “La funzione rieducativa, priorità massima per il carcere. Far capire che c’è tanto altro fuori è stata la cosa che più mi ha emozionato. Alcuni detenuti vanno a scuola, altri lavorano nei call center”. Però: “c’è stata anche la parte triste, quella dei cancelli chiusi e della luce fioca. È lì che si recepisce il vero messaggio del legislatore, il perché delle scelte dietro le misure restrittive, il valore del diritto e le sue risoluzioni. Questi momenti sono stati fondamentali per me, consiglio a tutti gli studenti di partecipare alla visita, vi darà modo di rafforzare l’amore per il diritto”.
Susy Lubrano
Susy Lubrano