Zombie all’Università

A Studi Umanistici non ci si annoia mai. Nel pomeriggio del 9 novembre l’Aula Piovani pullula di studenti, docenti e ospiti vari, curiosi di saperne qualcosa in più su un tema che da millenni non smette di affascinare e, sì, terrorizzare. Si parla di vampiri, fantasmi, spiriti, zombie, lupi mannari e altre creature della notte. “Perché lo facciamo?”, esordisce uno degli organizzatori dell’evento, il prof. Pasquale Palmieri, in apertura della due giorni intitolata ‘Morti viventi. Storia e mitografia del ritornante’. Semplicemente, “perché ci piacciono”. Insomma, un convegno che nasce dall’unione di forze e passioni condivise, quasi per scherzo tra colleghi. Prende subito la palla al balzo il Prorettore Arturo De Vivo: “La notte dei morti viventi di Romero: un film che è diventato cult, per ragioni che non esulano gli studi accademici, anzi. Noi ce ne occupiamo con le nostre competenze: quelle di storici, filologi, studiosi di letteratura, cinefili e quant’altro. Non solo per omaggiare una pietra miliare dell’horror, ma per scoprire cosa la storiografia può dirci su figure che continuano a pervadere l’immaginario contemporaneo”. Tant’è che il motore dell’iniziativa, spiega il prof. Gianni Maffei, è quello di “attraversare la mitografia del ritornante, dal Medioevo ai giorni nostri, in cui al posto del sofisticato Conte Dracula ci sono le serie tv americane di successo”. Dai videogiochi di Resident Evil agli episodi di The Walking Dead o le atmosfere cupe dei film di Tim Burton, “la figura del morto vivente non può che essere analizzata nelle sue espressioni letterarie, sociali, politiche e religiose, senza trascurare un aspetto legato alla cultura popolare”. Diversi, perciò, i piani d’indagine e le prospettive adottate da ciascun relatore: “dalla filosofia naturale alla medicina, dall’ambito teologico-dottrinale alla giurisdizione comparata fino allo studio delle identità sociali”, spiega il prof. Palmieri. Il tutto attraverso gli strumenti della critica testuale e della ricerca storica, sottolinea la prof.ssa Anna Maria Raio, docente di Storia Moderna. Del resto, “cosa studiano gli storici se non i morti?”. I presunti vampiri sono stati “fin dall’inizio un fenomeno creato dai media”, continua la docente, riferendosi alle strane notizie pubblicate sulle gazzette del Settecento, “in circolazione nel settore orientale dell’Impero asburgico, su cui gli illuministi non mancarono poi di esprimersi, ritenendo il cosiddetto ‘bevitore di sangue’ la punta dell’iceberg dei danni che le superstizioni avevano apportato alle comunità”.
Dal Medioevo all’età moderna, santi contro vampiri
Un passaggio chiave per la diffusione di miti e leggende, alimentati dalle paure diffuse nei villaggi rurali del XVIII secolo, è radicato già nel folklore medievale, “a partire dal quale – dice il prof. Francesco Storti – subentra uno scarto con l’età classica, in cui ‘umani’ era sinonimo di ‘mortali’, laddove invece nel Medioevo predomina tutto un altro atteggiamento culturale, cioè che la presenza della morte avviene in assenza della fine”. Nessuna contraddizione, dunque, tra terreno e soprannaturale, entrambi gli aspetti incarnati dal ritornante. Ciononostante, “secondo la teoria degli spiriti, nell’oscillazione cielo-terra il corpo può trasformarsi e predisporsi al riuso, in attesa del giudizio universale”. Qual è dunque il significato religioso che si cela dietro i semimorti? “A seguito del Concilio di Trento, emerse una differenza netta tra cattolici e luterani: i primi credevano nell’esistenza di un Purgatorio, negato però dai protestanti”, spiega il prof. Francesco Paolo de Ceglia dell’Università di Bari. Tuttavia, “se la soglia tra la vita e la morte per i cattolici è rigidissima, per i protestanti la morte si consuma nel tempo, ragion per cui è ammessa una zona intermedia in cui sono compresi demoni, mostri e prodigi”. È a partire dall’età moderna che, sulla base di questo assunto, l’Europa si è spaccata in due: “i cattolici, in virtù delle reliquie, hanno introdotto il culto dei santi, in concomitanza a quello di quei martiri che avevano onorato Dio, viceversa gli anticattolici hanno ammesso l’esistenza delle anime dannate”. In questo scontro tra santi e vampiri, ciò che li rende assimilabili è l’importanza del sangue. Prova ne sia il miracolo di San Gennaro, “e di casi analoghi nella letteratura agiografica, del sangue dei morti solidificato che ribolle alla presenza del sangue dell’altro, ossia ciò che di più vivo hanno i vivi”. Anche nella Francia rivoluzionaria “la fobia della morte, legata alla paura del contagio, le morti violente o a casi di sepolture premature, proiettò lo stato d’ansia di un’epoca in esseri chimerici o spaventosi. La stessa Maria Antonietta veniva ritratta con sembianze vampiresche”, illustra il prof. Diego Carnevale, napoletano di nascita e docente presso la Birkbeck University Londra. Leitmotiv che – secondo la prof.ssa Vanessa Harding, in trasferta dalla stessa Università londinese – assume le forme di un mito urbano già a partire dal Cinquecento, “nell’epoca delle crisi epidemiche e delle stragi religiose, a Parigi, Venezia o Londra chiunque cominciò ad essere ossessionato dall’idea di un redivivo che potesse resuscitare dalla tomba per nutrirsi della carne dei vivi e contagiarli del suo morbo. Addirittura si andavano a dissotterrare i morti in cerca dei segni della loro corruzione fisica”. Elemento che consente alla studiosa di passare in rassegna i rituali e le pratiche funerarie, diverse per classe sociale, dall’uso del fuoco alla sepoltura di massa fino alla costruzione dei cimiteri. Dalla platea non mancano domande come: I vampiri sono i fantasmi? Gli studi di demonologia sono attendibili? Oppure, le stregonerie esistono ancora? Ebbene, la risposta degli intellettuali si fa scettica. Se non altro sono proprio questi gli stimoli che hanno ispirato la penna di celebri scrittori come John Polidori, Bram Stoker o più recentemente di Anne Rice. Fatto sta che, attraversando i secoli nel corso del dibattito, i punti di contatto con la modernità si moltiplicano. Del resto, “già Voltaire menzionava vampiri – riprende il prof. Palmieri – un po’ diversi però, senza aglio o paletti, affaristi che alla luce del sole succhiavano il sangue del popolo, senza essere neppure morti, ma solo corrotti”. Una considerazione quest’ultima non del tutto trapassata nell’era presente. Ciò che è interessante rilevare è, tuttavia, il modo in cui si è trasformata l’immagine del vampiro nelle mentalità collettive di ieri e oggi: “Hanno qualcosa in comune i vecchi e nuovi vampiri?”, è il quesito che chiude la prima giornata del convegno. “Moltissimo”, risponde il prof. Maffei, “ci sono delle costanti perché il connubio tra storia e letteratura sfocia in un’altra storia comune, quella delle emozioni”.
Sabrina Sabatino
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