I troppo ‘fiduciosi’ sull’esito delle prove intercorso cadono agli esami

Il lavoro si inserisce nell’ambito della letteratura scientifica che punta 

a far luce sulle motivazioni dell’abbandono degli studi

Più uno studente è fiducioso che le prove intercorso abbiano avuto buoni risultati, minori sono le probabilità che venga ammesso all’orale. È il risultato, per certi versi sorprendente, di una ricerca svolta nel primo semestre dello scorso anno accademico dai professori Italo Testa, Silvia Galano ed Oreste Tarallo dei Dipartimenti federiciani di Fisica ‘Ettore Pancini’ e Scienze Chimiche in relazione alle ragazze ed ai ragazzi che frequentano il corso di Fisica ad Ingegneria e quello di Chimica a Biologia. Due materie che sono considerate un ostacolo piuttosto serio dalla maggior parte degli immatricolati. Lo studio è stato pubblicato sullo International Journal of Science Education. In sostanza, dice ad Ateneapoli il prof. Testa, “l’indagine si è avvalsa di questionari distribuiti ai frequentanti nei quali si chiedeva loro, a valle della prova intercorso svoltasi ad ottobre 2021, di valutare come reputavano di aver risposto, quale era il loro grado di fiducia nel buon esito. Come ritenevano di essere andati, quanto si sentivano fiduciosi delle risposte che avevano dato”. Prosegue il docente: “Abbiamo poi confrontato il livello di fiducia, lo abbiamo definito confidenza, ed il risultato finale conseguito all’esame. Abbiamo verificato che chi si sovrastimava non otteneva buoni esiti, riportava voti bassi o non superava l’esame. Chi si sottostimava poi è andato meglio all’esame”. L’eccesso di fiducia, insomma, sfocia a volte nella faciloneria e nella superficialità e, magari, impedisce di percepire fino in fondo quali siano le difficoltà da superare e di mettere nella preparazione tutto l’impegno necessario ad affrontarle. Detta in altri termini, va avanti il prof. Testa, gli studenti che riflettono di più ed hanno migliori risorse cognitive a volte si sentono meno sicuri.

Il test somministrato ai partecipanti per valutare il loro grado di fiducia nel buon esito della prova intercorso che avevano appena svolto prevedeva, per ciascun quiz del compito, la domanda su quanto lo studente era fiducioso di avere risposto in maniera corretta. Ragazze e ragazzi potevano assegnare un voto da uno a cinque: “Abbiamo coinvolto ottantuno immatricolati a Biologia e centoventicinque iscritti al primo anno di Ingegneria”. È evidente, commenta il prof. Testa, che c’è “un effetto psicologico per cui le persone meno competenti credono di avere migliori prestazioni. Chi è troppo sicuro non mette in campo le risorse cognitive adatte per affrontare l’esame”. È in corso un nuovo studio sulla relazione tra i livelli di ansia dichiarati dagli studenti alle prove intercorso e l’esito finale degli esami. “I primi dati – anticipa il docente – confermano che livelli di ansia molto alti influenzano al ribasso la prestazione dello studente”. Il punto, dunque, parrebbe quello di trovare un giusto equilibrio che eviti da un lato di essere preda della faciloneria, del pressapochismo e della superficialità e, dall’altro, di essere travolti da quell’ansia che – non c’è studente universitario il quale non lo sappia – rischia a volte di mandare il cervello in panne e di far dimenticare perfino i concetti basilari della materia sulla quale si svolge l’esame.

Ad Ingegneria solo il 10-20% supera Fisica al primo semestre

Quanti sono in media gli studenti che ad Ingegneria superano l’esame di Fisica alla fine del primo semestre? Risponde Testa: Abbiamo un dieci o venti per cento che supera la prova alla conclusione del primo semestre, poi un altro quaranta o cinquanta per cento tra giugno e luglio. Gli altri, come si suol dire, si trascinano l’esame”. È un problema perché, ribadisce il professore, uno dei segreti per superare Fisica è quello di studiare giorno per giorno, ripetere a casa quello che il docente propone a lezione, esercitarsi costantemente, mantenere un rapporto con il professore al quale porre domande e chiedere delucidazioni, lavorare in collaborazione con gli altri studenti, con i quali ci si può confrontare. Un metodo – si ripete spesso ed è vero – quasi scolastico. Chi frequenta in questa modalità in linea di massima poi a febbraio supera la prova”. Le prove intercorso sono uno strumento molto utile, purché affrontate con lo spirito giusto: “Hanno un valore formativo e consentono di verificare in itinere il proprio livello di preparazione”. Purché – e qui torna in gioco lo studio svolto dal docente e dai suoi due colleghi – non si ecceda in fiducia e faciloneria nel valutare i risultati e si utilizzino per migliorare davvero la propria preparazione in vista dell’esame finale. “Il nostro lavoro – conclude Testa – si inserisce in un’ampia letteratura scientifica che punta a far luce sulle motivazioni che sono alla base dell’abbandono degli studi universitari. Problema serio, non solo in Italia”. Come si apprende dalla ricerca del docente e dei suoi due colleghi, infatti, “le università e gli istituti di istruzione superiore in Europa e nel mondo si trovano sempre più spesso ad affrontare il problema dell’abbandono degli studenti dopo il primo anno. Per i Paesi OCSE, in media, circa il 33% degli studenti iscritti non termina gli studi universitari. In Italia, il tasso di abbandono tra il primo e il secondo anno del corso di studi universitario è in media di circa il 12%, l’abbandono dopo sei anni è di circa il 30%. Corrispondentemente, circa il 40% degli studenti laureati ha subito alcuni ritardi, ovvero ha trascorso all’università almeno un anno oltre la durata legale del Corso di Laurea”.

Fabrizio Geremicca 

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