Avrebbe dovuto partecipare a Nablus ad una Spring School organizzata dall’Ateneo Federico II in collaborazione con la locale Università. Il tema era quello del rafforzamento delle iscrizioni delle donne nei Corsi di Laurea dove si studiano le discipline STEM (Matematica, Chimica, Ingegneria tra gli altri). Argomento al quale la prof.ssa Antonella Liccardo, che insegna Fisica teorica, dedica da tempo impegno e passione. Così non è stato: la docente è stata rimandata indietro dai militari israeliani, che controllano il confine tra Giordania e Cisgiordania. È lei stessa che racconta la sua esperienza.
“Domenica 27 aprile – riferisce – insieme a Chiara Boni, una giovane ricercatrice, eravamo partite per andare a Nablus, in Palestina. Dovevamo essere lì per l’incontro promosso dai due Atenei, il mio e quello An Najah, palestinese, sull’empowerment femminile nelle discipline STEM, nell’ambito del progetto Suleia. Con le nostre colleghe palestinesi avevamo lavorato a lungo alla preparazione di questo evento. Per me e Chiara andare in presenza a Nablus rispondeva ad una precisa scelta politica di solidarietà rispetto alle persone con le quali collaboriamo lì e con il popolo palestinese”.
Lunedì 28 aprile all’alba, dunque, docente e ricercatrice partono da Amman, in Giordania, dirette al confine con la Palestina, precisamente al King Hussein Brdge/Allenbay, che è controllato dall’esercito israeliano. “Abbiamo trascorso – riferisce Liccardo – sei ore negli uffici della frontiera israeliana, durante le quali abbiamo risposto ad infinite ed insistenti domande sul motivo del viaggio. Ci hanno chiesto dettagli di ogni genere su chi ci aveva invitato e perché, inclusa la richiesta di documento di riconoscimento della nostra referente a Nablus, sul nostro assetto familiare e lavorativo, sui viaggi pregressi. Ci hanno chiesto pure dettagli sulla nostra personale volontà e disponibilità di andare in Westbank, sul programma dettagliato di ogni singolo giorno che avremmo trascorso in Cisgiordania. Ancora, ci hanno interrogate su eventuali persone conosciute a Nablus, su prenotazioni di volo, alberghi, sulle nostre spese”.
Va avanti Liccardo: “Fra un interrogatorio e l’altro, la giovane soldatessa israeliana spariva per ritornare con nuove domande per noi”. Trascorrono ore, poi la soldatessa riappare e comunica alla docente e alla ricercatrice che non possono entrare in Cisgiordania, nonostante abbiano regolarmente il visto ELA. Il motivo? “A loro dire, per partecipare ad una conferenza in Westbank, sebbene senza compenso e come invitate per due soli giorni, ci saremmo dovute accordare con un certo ufficio governativo chiamato COGAT e con esso avremmo dovuto coordinare tutti i nostri spostamenti”. Cosa è il COGAT? “Dal sito della Farnesina risulta che l’organismo vada consultato solo per soggiorni di lavoro superiori a 90 giorni.
La sensazione netta è che si sia trattato di una scusa per non farci entrare. Se non ci fosse stato questo motivo, ne avrebbero trovato un altro”. Liccardo e Boni, ricevuta la comunicazione del diniego, chiedono di riavere indietro i documenti. “Ci hanno costretto – racconta la docente – ad un’attesa di altre tre ore senza alcuna motivazione e senza alcuna notizia. Durante questo intervallo di tempo abbiamo chiamato il consolato a Tel Aviv e Gerusalemme, il nostro Ateneo ha contattato l’ambasciata, ma è stato tutto completamente inutile.
Dopo tre ore, ancora senza documenti, ci hanno rimesso su un pullman e riportate a nostre spese alla frontiera giordana. I nostri documenti hanno fatto un passamano tra una serie di persone, incluso l’autista del bus che ci ha riportato in Giordania. Solo dopo che ci hanno portato fisicamente fuori dalla frontiera giordana abbiamo potuto riavere i nostri passaporti”. Commenta Liccardo: “Abbiamo potuto constatare in piccolissima parte il sentimento di frustrazione che i palestinesi devono subire quotidianamente alle frontiere e ai check point”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 8 – 2025 – Pagina 12