Correva il febbraio dell’anno 1909, e negli Stati Uniti il Partito socialista proponeva l’istituzione di una giornata internazionale della donna. Una semplice idea, che tuttavia avrebbe necessitato di anni – decenni, se si pensa che l’Italia si accodò solo nel 1922 – per attecchire nel nerbo culturale occidentale ed essere riconosciuta universalmente come caposaldo celebrativo per i diritti delle donne. Una data, quella dell’8 marzo, con la quale la Federico II ha deciso di confrontarsi presentando un nuovo insegnamento per il Corso di Laurea Magistrale in Psicologia – dedicato espressamente alla docente di Agraria Adalgisa Nicolai, vittima di femminicidio. Lunedì, alle ore 14 sulla piattaforma Teams (codice 2kaklt9), la prof.ssa Caterina Arcidiacono, docente di Psicologia generale e ideatrice del progetto, metterà sul piatto l’obiettivo dirimente di “Benessere e salute bio-psico-sociale: Donne, istituzioni e interventi”: la promozione del superamento di ogni forma di discriminazione sessuale e in particolare di violenza sulle donne. Il corso, aperto a tutte le studentesse e agli studenti di Ateneo per 8 crediti formativi (56 ore), si sviluppa in “forma interattiva di intesa con la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio – spiega la prof.ssa Arcidiacono – nonché su ogni forma di violenza di genere del Senato della Repubblica, il CUG di Ateneo, la sezione Antidiscriminazione e Cultura delle Differenze di Sinapsi e con l’intervento di studiose/i, di organismi di Ateneo e della società civile”. Dunque, l’intento è quello di gettare uno sguardo profondo su un fenomeno dalle mille – e subdole – sfaccettature e dotare i partecipanti di tutti gli strumenti critici necessari per affondare a piene mani nell’ampio spettro di problematiche relative all’affermazione dei diritti delle donne. Da un prospettiva ecologica alle implicazioni culturali e sociali delle differenze sessuali e di genere; dagli effetti della cultura patriarcale alla violenza e alla diseguaglianza; dagli stereotipi, rappresentazioni e identità sessuale, al sesso, orientamento sessuale in psicologia e psicoanalisi. Insomma, stimolare le coscienze per sensibilizzare.
“Bisogna partire da un assunto fondamentale – ribadisce con forza Arcidiacono – ogni episodio di violenza sulle donne assume sempre i tratti della semplice contingenza, senza che venga ascritto alla generalità del fenomeno. Chi apostrofa le donne con espressioni fuori luogo è reputato solo un burlone. Così pure chi palpa. Insomma, si fa fatica a riconoscere, in certi atteggiamenti, la matrice patriarcale che sta alla base del rapporto tra uomo e donna. Il genere maschile gode sempre di una grande tolleranza. Ecco quindi che, se da un lato i fatti acuti sembrano essere distanti da noi, roba da telegiornale, dall’altro pure i più piccoli episodi vengono trattati alla stregua di momenti insignificanti. Il patriarcato, così, riesce a far sparire il fenomeno. Quando le donne non accettano quelle regole, gli uomini cadono in uno stato di insicurezza soggettiva, che si sostanzia nell’esercizio della violenza, palese o silente che sia”. Appare evidente quindi la necessità di affrontare il problema della violenza di genere in modo collettivo. Hanno suscitato scalpore, nell’accezione positiva dell’espressione, i fatti accaduti a Genova solo qualche giorno fa. Circa un centinaio di uomini, dotati di mascherine rosse, sciarpe rosse, cartelli e simboli tipicamente femminili, si sono radunati in piazza De Ferrari per lanciare un messaggio chiaro dopo l’ennesimo femminicidio, avvenuto lo scorso 19 febbraio ai danni di Clara Ceccarelli. Detto altrimenti: la violenza di genere riguarda tutta la società.
A testimonianza che fenomeni di tal fatta si annidano nella quotidianità – e che sono strettamente legati alle dinamiche sociali prodotte da una determinata contingenza storica – parlano chiaro i dati Istat, soprattutto quelli relativi ai periodi di lockdown. Stando al solo 2020, anno monopolizzato dal Covid, laddove le famiglie sono state più a stretto contatto e hanno trascorso più tempo assieme, è aumentato il rischio che le donne e i figli siano stati esposti alla violenza soprattutto alla luce di perdite economiche e di lavoro. “In realtà, agli albori della chiusura, la prima reazione è stata di assoluto silenzio. Sono pervenute pochissime chiamate ai centri antiviolenza – chiarisce la prof.ssa Arcidiacono – solo dopo qualche mese sono aumentate a dismisura le richieste di intervento”. E se c’è chi spesso addita al sistema legislativo troppe mancanze nei confronti delle donne, la docente precisa che in realtà “l’assetto italiano non è cattivo, ma deve entrare nelle mentalità di forze dell’ordine, famiglie, dell’intera comunità. Il problema è ecologico”.
Ogni femminicidio, al di là delle analisi specifiche, è figlio di rapporti materiali ben definiti. Ma al tempo stesso, quando le cronache sono costrette a registrare l’ennesimo episodio di violenza, si rivelano anfratti sempre più nascosti e apparentemente trascurabili. Un nome: Tiziana Cantone. Un nome che è esempio di come la vessazione non si declini nella sola accezione fisica. “L’online è a tutti gli effetti una nuova forma di violenza, perché si attua nella violazione della privacy delle persone, dell’immagine, e nell’esercizio di un continuo controllo sul proprio partner”, conclude Arcidiacono.
“Bisogna partire da un assunto fondamentale – ribadisce con forza Arcidiacono – ogni episodio di violenza sulle donne assume sempre i tratti della semplice contingenza, senza che venga ascritto alla generalità del fenomeno. Chi apostrofa le donne con espressioni fuori luogo è reputato solo un burlone. Così pure chi palpa. Insomma, si fa fatica a riconoscere, in certi atteggiamenti, la matrice patriarcale che sta alla base del rapporto tra uomo e donna. Il genere maschile gode sempre di una grande tolleranza. Ecco quindi che, se da un lato i fatti acuti sembrano essere distanti da noi, roba da telegiornale, dall’altro pure i più piccoli episodi vengono trattati alla stregua di momenti insignificanti. Il patriarcato, così, riesce a far sparire il fenomeno. Quando le donne non accettano quelle regole, gli uomini cadono in uno stato di insicurezza soggettiva, che si sostanzia nell’esercizio della violenza, palese o silente che sia”. Appare evidente quindi la necessità di affrontare il problema della violenza di genere in modo collettivo. Hanno suscitato scalpore, nell’accezione positiva dell’espressione, i fatti accaduti a Genova solo qualche giorno fa. Circa un centinaio di uomini, dotati di mascherine rosse, sciarpe rosse, cartelli e simboli tipicamente femminili, si sono radunati in piazza De Ferrari per lanciare un messaggio chiaro dopo l’ennesimo femminicidio, avvenuto lo scorso 19 febbraio ai danni di Clara Ceccarelli. Detto altrimenti: la violenza di genere riguarda tutta la società.
A testimonianza che fenomeni di tal fatta si annidano nella quotidianità – e che sono strettamente legati alle dinamiche sociali prodotte da una determinata contingenza storica – parlano chiaro i dati Istat, soprattutto quelli relativi ai periodi di lockdown. Stando al solo 2020, anno monopolizzato dal Covid, laddove le famiglie sono state più a stretto contatto e hanno trascorso più tempo assieme, è aumentato il rischio che le donne e i figli siano stati esposti alla violenza soprattutto alla luce di perdite economiche e di lavoro. “In realtà, agli albori della chiusura, la prima reazione è stata di assoluto silenzio. Sono pervenute pochissime chiamate ai centri antiviolenza – chiarisce la prof.ssa Arcidiacono – solo dopo qualche mese sono aumentate a dismisura le richieste di intervento”. E se c’è chi spesso addita al sistema legislativo troppe mancanze nei confronti delle donne, la docente precisa che in realtà “l’assetto italiano non è cattivo, ma deve entrare nelle mentalità di forze dell’ordine, famiglie, dell’intera comunità. Il problema è ecologico”.
Ogni femminicidio, al di là delle analisi specifiche, è figlio di rapporti materiali ben definiti. Ma al tempo stesso, quando le cronache sono costrette a registrare l’ennesimo episodio di violenza, si rivelano anfratti sempre più nascosti e apparentemente trascurabili. Un nome: Tiziana Cantone. Un nome che è esempio di come la vessazione non si declini nella sola accezione fisica. “L’online è a tutti gli effetti una nuova forma di violenza, perché si attua nella violazione della privacy delle persone, dell’immagine, e nell’esercizio di un continuo controllo sul proprio partner”, conclude Arcidiacono.
Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli su www.ateneapoli.it