È stato studiato nel Laboratorio Circe della Vanvitelli. Il racconto del prof. Fabio Marzaioli
Roma, zona Magliana. Il 27 luglio 2007 la quiete viene turbata da un incendio che esplode in un canneto. I Vigili del Fuoco accorrono e domano le fiamme, ma fanno una scoperta incredibile. Sotto la terra divelta c’è uno scheletro parzialmente carbonizzato. Il pensiero va subito a Libero Ricci, pensionato 77enne scomparso in quella zona nell’ottobre 2003. A suffragare l’ipotesi c’è il fatto che sul luogo del ritrovamento vengono rinvenute le chiavi e il portafoglio dell’uomo. Il medico legale non ha dubbi: le spoglie sono di Ricci. Ma la moglie del pensionato non è d’accordo, perché i vestiti ritrovati nel sito non appartengono a suo marito.
I resti vengono quindi inviati in laboratorio. Il medico legale è sicuro della sua teoria, ma ben presto deve ricredersi. I risultati portano infatti alla luce una realtà ben diversa. Le ossa appartengono a cinque persone, due uomini e tre donne – repertati con le sigle M1, M2, F1, F2, F3 – motivo per il quale l’autore della misteriosa e macabra composizione verrà soprannominato ‘il collezionista di ossa’. Nel 2010 la Polizia Scientifica chiede al prof. Fabio Marzaioli, radiocarbonista e docente di Fisica alla Vanvitelli, di datare i reperti con la tecnica del radiocarbonio, utilizzando l’acceleratore di particelle del Circe, laboratorio afferente al Dipartimento di Matematica e Fisica e situato a San Nicola La Strada.
Oggi parla di quello che scoprì insieme al suo team, e lo fa in televisione. È stato due volte ospite a “Chi l’ha visto?”, una su Sky, una a “Quarto Grado” e l’ultima – in ordine d’apparizione – nella puntata dello scorso 20 maggio di “Detectives. Casi risolti e irrisolti”, programma true crime in collaborazione con la Polizia di Stato in onda su Rai 2. “Con la tecnica del carbonio-14, sfruttando l’acceleratore di particelle, è possibile datare i reperti in modo incredibilmente accurato – spiega Marzaioli – Inoltre, rispetto al passato, si può effettuare l’esame in tempi più rapidi e su campioni dalle dimensioni molto ridotte”.
Sono note le applicazioni di questa tecnica nella datazione dei reperti archeologici – esemplare il caso della sindone di Torino – ma il caso del collezionista di ossa ha dimostrato che il suo impiego può essere esteso alle indagini di polizia scientifica. “Quando si parla di accuratezza – continua il docente – ci si riferisce alla precisione con cui è possibile risalire alla collocazione nel tempo di un dato reperto. Per campioni precedenti al 1964 il margine di incertezza è di trent’anni, ma per campioni successivi si riduce ad appena un anno”. Cosa significa? La risposta è nella scienza. In ogni corpo organico è presente il carbonio-14, un isotopo lievemente radioattivo che, a differenza di isotopi stabili come il carbonio-12 e il carbonio-13, inizia a diminuire quando un organismo muore, cioè quando si interrompe il processo di scambio di carbonio con l’atmosfera.
Poiché di questo processo si conoscono molto bene i tempi, è possibile datare un reperto organico basandosi sulla quantità di carbonio-14 che in esso è ancora presente al momento dell’esame. Le centinaia di test nucleari effettuati tra il 1945 e il 1963 hanno rilasciato all’improvviso nell’atmosfera un’incredibile quantità di carbonio-14 – fenomeno noto col nome di ‘bomb spike’ o ‘bomb pulse’ – motivo per il quale i campioni repertati a partire dal 1964 possono essere datati con maggiore accuratezza, essendo in essi presente una maggiore quantità dell’isotopo. Le tecnologie necessarie per l’esame del radiocarbonio sono ad oggi presenti, in Italia, solo in tre città: Caserta, Firenze e Brindisi, motivo per cui il Circe ha svolto nell’indagine un ruolo di primissimo rilievo.
“In base alle analisi effettuate – riprende Marzaioli – abbiamo così datato i resti: F1: donna tra i 45 e i 55 anni morta tra il 2002 e il 2006. F2: donna tra i 20 e i 35 anni deceduta tra il novembre 1992 e il febbraio 1998. F3: donna tra i 35 e i 45 anni morta tra il 1995 e il 2000. M1: uomo tra i 40 e i 50 anni morto tra il 2002 e il 2006. M2: uomo tra i 25 e i 40 anni deceduto tra il 1986 e il 1989”. Abbiamo così uno spaccato – dal 1986 al 2006 – in cui il presunto killer potrebbe aver agito, non escludendo che potrebbe essere ancora a piede libero. Non si tratterebbe di resti recuperati da luoghi di sepoltura, come spiega il docente, “perché i corpi inumati presentano tracce di metalli che nei campioni analizzati non erano presenti”.
A seguito della datazione sono iniziate le ricerche delle persone scomparse in quel lasso di tempo, ma non sono state riscontrate corrispondenze, né qualcuno ha mai reclamato i resti, “e questo alimenta l’ipotesi che, se di un serial killer si è trattato, egli abbia scelto le sue vittime tra le persone poste ai margini della società, come i clochard”. Molti i dettagli macabri della vicenda: “I resti apparivano in perfetta composizione anatomica – cioè la loro posizione era anatomicamente coerente – ed erano di dimensioni quasi identiche. Non c’erano ossa in meno o in sovrannumero, dimostrando che chiunque abbia composto il cadavere disponeva di un’ottima conoscenza dell’anatomia umana. Infine, lo stato di deterioramento dei resti rivela un dettaglio raccapricciante: le vittime potrebbero essere state mutilate, e le singole parti sotterrate”.
Ulteriori dati suggeriscono una possibile traslazione dei resti nel luogo del ritrovamento, avvenuta non meno di quattro anni prima della scoperta. Altro dato, non meno inquietante: l’esame mitocondriale effettuato sul cranio del cadavere rivela un legame di parentela col 77enne scomparso nel 2003, Libero Ricci. “Grazie all’acceleratore di particelle e alle nostre competenze abbiamo potuto datare i reperti con una certa precisione – conclude il docente – ma questo non è stato sufficiente. Il caso rimane ad oggi un mistero, rientrando tra i cold case italiani più inquietanti di sempre”.
Nicola Di Nardo